Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25981 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. I, 24/09/2021, (ud. 23/06/2021, dep. 24/09/2021), n.25981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2642/2018 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in Liquidazione, in persona del Curatore

avv. C.G.D., domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Iuliano Damiano, giusta procura

speciale per Notaio N.B. di Napoli – Rep. n. (OMISSIS),

nominato in sostituzione dell’avvocato Di Nanni Carlo, deceduto.

– ricorrente –

contro

R.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via XX Settembre

n. 3, presso lo studio dell’avvocato D’Attorre Giacomo, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Nardone Antonio,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

T.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via degli

Avignonesi n. 5, presso lo studio dell’avvocato Abbamonte Andrea,

rappresentato e difeso dall’avvocato Fierro Mauro, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Assicuratori dei Lloyd’s di Londra, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

delle Quattro Fontane n. 161, presso lo studio dell’avvocato Foglia

Guido, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Di Peio

Filippo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

F.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via Eustachio

Manfredi n. 5, presso lo studio dell’avvocato Mazzeo Luca, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ponti Luca, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Sara Assicurazioni S.p.a., Unipolsai Assicurazioni S.p.a.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 4180/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con atto di citazione notificato il 31/10/2007 la società (OMISSIS) SRL in liquidazione (di seguito, anche, (OMISSIS)) convenne in giudizio F.C. e T.A., dinanzi al Tribunale di Napoli, per sentire riconoscere la responsabilità degli stessi, quali amministratori succedutisi nella gestione della società, al risarcimento dei danni derivanti da alcune condotte contestate nel predetto atto, nella misura di Euro 8.000.000,00.

Con separato atto di citazione del 29/1/2009 la (OMISSIS) convenne in giudizio R.E., succeduto nell’amministrazione della società, per sentire riconoscere anche la responsabilità di quest’ultimo.

I giudizi vennero riuniti.

I convenuti si costituirono eccependo la rinuncia all’azione di responsabilità nei confronti di F. e di T., Deliberata dall’assemblea dei soci di (OMISSIS), rispettivamente il 26 novembre 2002 ed il 29 novembre 2004 e, comunque, l’infondatezza delle pretese.

Si costituirono altresì le quattro compagnie assicuratrici chiamate in garanzia da T. (Assicuratori dei Lloyd’s di Londra, Sara Assicurazioni SPA, Compagnia Assicuratrice Unipol SPA, Fondiaria SAI SPA).

All’udienza del 4/3/2014 la domanda risarcitoria venne ridotta dell’importo di Euro 5.600.000,00, o della diversa somma ritenuta congrua dal Tribunale.

All’udienza del 13/5/25014 il Giudice istruttore formulò una proposta transattiva ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c., che prevedeva il pagamento da parte dei convenuti dell’importo di Euro 100.000,00, omnicomprensivo. Non essendo stato raggiunto l’accordo in ordine a tale proposta, la causa venne riservata in decisione.

Con la sentenza n. 965/2015 il Tribunale rigettò tutte le domande. Condannò l’attrice al pagamento delle spese di lite, oltre all’importo di Euro 20.000,00 ciascuno, in favore di F., T. e R., ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, in considerazione della mancata adesione alla proposta conciliativa formulata ex art. 185 bis c.p.c., alla quale i tre convenuti avevano aderito.

La (OMISSIS) propose appello al quale resistettero tutte le controparti.

Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte distrettuale di Napoli ha accolto in parte l’appello, segnatamente escludendo la condanna di

(OMISSIS) ex art. 96 c.p.c., comma 3; ha, invece, rigettato nel resto il gravame, provvedendo alla nuova statuizione sulle spese.

(OMISSIS) SRL in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione con cinque mezzi. Hanno replicato con separati controricorsi T.A., R.E., F.C. e gli Assicuratori dei Lloyd’s che hanno assunto il rischio di cui al certificato n. (OMISSIS). R. e F. hanno depositato anche memoria a corredo.

Sara Assicurazioni SPA ed UnipolSai Assicurazioni SPA sono rimaste intimate.

In prossimità dell’adunanza camerale il Fallimento della (OMISSIS) SRL in liquidazione si è costituito, qualificandosi come ricorrente, mediante deposito di procura speciale notarile con sostituzione del difensore già costituito, deceduto, giusta autorizzazione del Giudice delegato, ed ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Preliminarmente va disattesa la richiesta, avanzata da F., di declaratoria di interruzione del giudizio a seguito del sopravvenuto fallimento della società ricorrente, dichiarato con sentenza del Tribunale di Napoli n. 6/2019, perché nel giudizio di Cassazione non rileva la sopravvenuta dichiarazione di fallimento della parte, dal momento che, in tale giudizio, caratterizzato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo, potendo assumere rilievo la sussistenza della causa interruttiva nell’eventuale giudizio di rinvio (Cass. n. 4480 del 20/05/1997; Cass. n. 27143 del 15/11/2017). Va rimarcato che, nel caso in esame, il Fallimento si è costituito subentrando nella posizione processuale della ricorrente.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2393 c.c., commi 1 e 6, per avere la Corte di appello ritenuto ammissibile e legittima la preventiva rinunzia, da parte di una SRL, a promuovere azione di responsabilità contro il cessato amministratore.

A parere del ricorrente la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere legittime le delibere del 26/11/2002 e del 29/1/2004 con cui la società, in occasione della sostituzione degli amministratori F. e T., ne aveva ratificato l’operato dichiarando di rinunciare a promuovere l’azione di responsabilità nei loro confronti, oltre che nel ritenere inammissibile una successiva revoca delle delibere stesse perché coinvolgente i diritti di terzi, nella specie i cessati amministratori.

La censura, sviluppata su plurimi profili, si appunta sulla statuizione con cui i giudici del gravame hanno affermato che la Delibera declinatoria dell’azione di responsabilità sociale, assunta dopo la cessazione dell’incarico, non era invalida perché il suo oggetto era determinabile.

Il ricorrente, richiamata la giurisprudenza che ha affermato la nullità dei patti parasociali che impegnano i soci a votare in assemblea contro l’eventuale proposta di intraprendere l’azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori (Cass. n. 10215 del 28/04/2010), perché stipulati nell’interesse di singoli soci a detrimento dell’interesse generale della società, ne trae argomento per sostenere che la Delibera con cui la società, a fine mandato, rinuncia preventivamente a promuovere l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, in relazione al danno che potrebbe palesarsi, è nulla per illiceità della causa.

Ne desume, quindi, che detta Delibera potrebbe sempre essere revocata e/o modificata, anche implicitamente, come a suo parere sarebbe avvenuto con la Delibera 4 luglio 2007, che aveva autorizzato l’azione di responsabilità nei confronti di F. e T..

Ritornando quindi, sul tema della illiceità delle delibere di rinuncia, il ricorrente aggiunge che la rinuncia all’azione di responsabilità non può essere ammessa “in bianco”, quando non si siano ancora manifestate le conseguenze dannose delle condotte poste in essere dagli amministratori.

Ancora, aggiunge che la rinuncia o la transazione in merito all’azione di responsabilità può intervenire solo dopo che l’azione sia stata già incardinata.

Esaminando, quindi, il contenuto delle due delibere declinatorie dell’azione di responsabilità, il ricorrente insiste sulla genericità della formula di esonero dall’azione di responsabilità ivi utilizzata, priva del riferimento a fatti specifici, e richiama i principi affermati da Cass. n. 20884 dell’8/10/2010.

Aggiunge, quindi, che al momento in cui furono adottate le delibere dalla società, non era ancora possibile valutare, nella loro totalità, le conseguenze dannose che l’operato degli amministratori aveva prodotto sul patrimonio della società e che – nel caso specifico – la effettiva lesione del patrimonio sociale si era manifestata dopo il fallimento del socio dominante ((OMISSIS)) – che aveva assunto le contestate delibere di rinunzia – e la nomina del liquidatore della (OMISSIS) SRL.

2.2. Il motivo è inammissibile perché prescinde dal considerare la pluralità di rationes decidendi espresse dalla Corte distrettuale, autonome e sufficienti a fondare sul piano logico e giuridico la pronuncia.

Va rammentato, come da consolidato principio, che, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, il ricorso che non formuli specifiche doglianze – o formuli doglianze infondate – avverso una di tali rationes decidendi è inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse, perché le censure relative alle altre ragioni non potrebbero comunque condurre, stante la infondatezza delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. U. n. 7931 del 29/03/2013; Cass. n. 11493 del 11/05/2018; Cass. n. 13880 del 06/07/2020).

2.3. Tanto premesso in diritto, si deve osservare che, nel presente caso, il giudice del gravame, pur avendo disatteso gli argomenti dedotti dalla società a sostegno della tesi dell’illiceità delle delibere di rinuncia all’azione di responsabilità proposta, non ha ritenuto che la rinuncia costituisse un impedimento all’accertamento della denunciata responsabilità ed ha successivamente affermato “Va comunque osservato che come si vedrà (e come evidenziato già anche dal tribunale), nel caso di specie nessun danno in concreto è stato cagionato alla società, circostanza che consente quindi di superare la questione, nei termini prospettati, relativa alla validità delle delibere di rinuncia…” (fol. 28 della sent. imp.).

Di fatto, nel prosieguo della sentenza, la Corte di appello, lungi dal formalizzare una pronuncia di inammissibilità dell’azione di responsabilità proposta nei confronti di due degli amministratori ( F. e T.) in ragione della intervenuta Delibera di rinuncia, ha esaminato nel merito le relative domande risarcitorie, così come ha esaminato nel merito la domanda proposta nei confronti di R., pervenendo ad escludere, all’esito della compiuta disamina di tutte le condotte contestate agli ex amministratori, che dalle stesse fosse scaturito un danno.

2.4. Non vi è dubbio che l’accertamento, all’esito dell’esame delle vicende societarie dedotte a sostegno dell’azione di responsabilità, con cui la Corte di appello, confermando la decisione di primo grado, ha affermato che in concreto nessun danno era stato cagionato alla società da alcuno dei tre amministratori convenuti in giudizio – accertamento non utilmente censurato dal ricorrente, come si vedrà all’esito dell’esame degli ulteriori motivi di ricorso, cui si rinvia-rende inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, la presente censura, in quanto l’eventuale accoglimento di quest’ultima non potrebbe comunque condurre, stante l’infondatezza delle altre, alla cassazione della decisione stessa.

3.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2475 ter c.c. e art. 2476 c.c., commi 1 e 5, per avere la Corte di appello omesso di rilevare il conflitto di interessi in cui F. versava nello stipulare – come amministratore delle società venditrici – il contratto di vendita delle quote di (OMISSIS), di cui era ugualmente amministratore.

La censura critica la decisione della Corte distrettuale laddove ha negato l’esistenza di un conflitto di interessi di F. nella stipula del contratto preliminare del 12/11/2002 tra le società acquirenti Mekfin SPA, Fullfin SRL, ed Elifin SRL – da lui rappresentate – e le società venditrici (OMISSIS) SPA e Maxfin SRL, contratto avente ad oggetto le quote della (OMISSIS), conflitto che – a dire del ricorrente – sussisteva perché F., quale amministratore di (OMISSIS), non aveva la possibilità di disporre – abusando della stessa carica in altre società del capitale della società da lui amministrata e perché egli aveva sacrificato l’interesse della (OMISSIS) a vantaggio delle società venditrici, da lui ugualmente amministrate.

Il ricorrente sostiene che il conflitto di interessi è fonte di responsabilità per gli amministratori perché integra il divieto di scelte gestorie contrarie alla legge ed allo statuto.

3.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

3.3. Va precisato che, poiché la contestazione si riferisce ad un contratto preliminare concluso il 12/11/2002, non risulta pertinente il richiamo all’art. 2475 ter c.c. e art. 2476 c.c., commi 1 e 5, entrati in vigore, nella loro attuale formulazione, a decorrere dal 1 gennaio 2004, come disposto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 3 e, quindi, non applicabili nel caso di specie soggetto alla disciplina dettata dagli artt. 2391 e 2487 c.c., nella versione vigente in epoca anteriore alla anzidetta riforma.

3.4. Ad ogni modo, va osservato che rettamente la Corte distrettuale ha escluso la ricorrenza del conflitto di interessi da parte di F. in merito alla conclusione del contratto preliminare del 12/11/2002.

Secondo quanto previsto dall’art. 2391 c.c. “L’amministratore, che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e deve astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione stessa. In caso d’ inosservanza, l’amministratore risponde delle perdite che siano derivate alla società dal compimento dell’operazione (…)”: invero, il conflitto di interessi presuppone che l’attività denunciata sia stata svolta dall’amministratore nell’esercizio delle funzioni gestorie compiute in nome e per conto della società.

Nel caso di specie tale fattispecie non ricorreva in quanto – come accertato dalla Corte di appello e non smentito dal ricorrente – F., nella stipula dell’anzidetto contratto preliminare, ebbe ad agire quale amministratore di altre società e non della (OMISSIS), che non era affatto parte contrattuale: il contratto aveva infatti ad oggetto il trasferimento delle quote di partecipazione al capitale sociale della (OMISSIS), operazione rientrante nell’esercizio dei poteri propri del soggetto titolare delle quote stesse, non della (OMISSIS).

3.5. Presenta, invece, evidenti profili di inammissibilità la denuncia, laddove si sostiene che F. avrebbe disposto del capitale sociale: l’uso del termine “capitale sociale” risulta utilizzato in modo improprio, perché non viene affatto chiarito se e quali furono le operazioni sul capitale sociale a cui ci si intende riferire, considerata anche la genericità nell’esposizione del contenuto del contratto preliminare.

3.6. La decisione e’, pertanto, immune da vizi e la censura sollecita impropriamente e non in conformità con la previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il riesame del merito.

4.1. Con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello omesso di valutare i fatti contestati agli amministratori come fonte di danno per la società, collegati alle seguenti operazioni: 1) l’acquisto da parte di (OMISSIS) SRL nel 2002, all’epoca amministrata da F., della partecipazione in I.C.S. SPA e la mancanza di iniziative da parte del successivo amministratore T. per riparare agli effetti dell’illegittimo acquisto; 2) la mancata sottoscrizione della ricostituzione del capitale sociale di I.C.S. da parte di T., all’epoca amministratore di (OMISSIS), lasciando che fosse sottoscritto per intero dalla sola (OMISSIS); 3) l’acquisto della partecipazione al 100% di Uni.Com Partecipazioni SRL ed il mancato adempimento dell’obbligazione contrattuale, addebitando la responsabilità dell’acquisto a F. (all’epoca amministratore) ed al successivo amministratore T.; 4) la responsabilità di R., amministratore dal 29/1/2004 al 14/8/2006 per tutte le violazioni commesse dagli amministratori che lo avevano preceduto; 5) la responsabilità personale di R. per il mancato incasso del credito verso la Maxfin, che aveva liberato, sostituendola con una debitrice insolvente, la (OMISSIS) poi fallita.

Il ricorrente sostiene di avere fornito la prova della non corretta tenuta delle scritture contabili e della duplicazione del libro giornale, nel quale erano stati esposti dati diversi, che aveva determinato la incomprensibilità delle operazioni.

Ripercorre le varie operazioni, proponendo una valutazione delle stesse diverse ed alternativa rispetto a quella compiuta dalla Corte di appello.

4.2. Il motivo è inammissibile.

4.3. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 22397 del 06/09/2019).

Inoltre, in attuazione del principio della libera valutazione delle prove ex art. 116 c.p.c.. “Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto” (Cass. n. 29730 del 29/12/2020; Cass. n. 3601 del 20/02/2006).

4.4. Nel caso in esame, la Corte di appello ha esaminato tutti i fatti (fol. 8/36 della sent. imp.) ed ha escluso, attraverso la valutazione delle complesse risultanze istruttorie con dovizia di argomenti ed approfondita analisi, compiuta in conformità con gli anzidetti principi, che le condotte ascritte agli amministratori, ove riscontrate, avessero causato in concreto un danno alla società; ha rimarcato, piuttosto, che gli effetti apparentemente negativi delle diverse operazioni succedutesi nel tempo erano stati di volta in volta neutralizzati proprio dagli amministratori, nel dinamico svolgimento dell’attività gestoria.

A fronte di ciò, la censura sollecita un complessivo riesame delle emergenze istruttorie e propone inammissibilmente una diversa valutazione delle stesse.

5.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 184 e 346 c.p.c., per avere la Corte di appello ritenuto inammissibile la richiesta istruttoria di espletamento di CTU per la quantificazione dei danni subiti da (OMISSIS), formulata in primo grado e rinnovata con l’atto di appello.

Il ricorrente sostiene che sulla base della documentazione prodotta – adeguatamente considerata – la consulenza non poteva considerarsi esplorativa.

Sostiene, quindi, che comunque i danni avrebbero potuto essere determinati sulla base dei principi espressi da Cass. Sez. U. n. 9100/2015, attesa l’inattendibilità delle scritture contabili redatte dai convenuti.

5.2. Il motivo è infondato.

5.3. La consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario e potendo la motivazione dell’eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass. n. 326 del 13/01/2020).

Nel caso di specie la consulenza era stata sollecitata per quantificare il danno; ne consegue che, una volta acclarata l’assenza del danno, con accertamento che non risulta utilmente contrastato, ogni questione circa la sua quantificazione è ultronea e priva di rilievo.

Non è pertinente, inoltre, il richiamo alla sentenza a Sezioni Unite n. 9100/2015, sia perché la liquidazione equitativa presuppone, comunque, l’accertamento che un danno vi sia stato, sia perché riguarda la distinta fattispecie dell’azione di responsabilità promossa dal curatore in seguito alla declaratoria di fallimento della società danneggiata, ipotesi che nella specie -al momento della decisione di appello – non sussisteva.

6.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 106 c.p.c., nonché dell’art. 1917 c.c., per avere la Corte di appello condannato la (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali anche in favore delle società assicuratrici, terzi chiamati in causa dal convenuto T. ai sensi dell’art. 106 c.p.c., per essere garantito in caso di soccombenza.

6.2. Il motivo è infondato, essendosi allineata la Corte di appello al principio della soccombenza.

6.3. Giova rammentare che “La parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che esse hanno sostenuto a cagione del processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi, il che si verifica quando l’attore, come fatti costitutivi di un medesimo evento dannoso, ed in funzione di un’unica domanda di risarcimento dei danni, deduca, in via alternativa o solidale, comportamenti illeciti di soggetti diversi; in questo caso, la partecipazione al giudizio del soggetto la cui responsabilità viene esclusa trova comunque causa nella “vocatio” in “ius” operata dall’attore, cui viene legittimamente riferita la situazione di soccombenza” (Cass. n. 20335 del 15/10/2004; n. 25141 del 27/11/2006) e che “In materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.” (Cass. n. 13229 del 16/06/2011).

6.4. Nel caso di specie, la chiamata in causa delle società assicuratrici è stata senz’altro resa necessaria dell’azione promossa dalla società, parte rimasta infine soccombente, (tra le tante Cass. 10 febbraio 1972, n. 366; Cass. 24 maggio 1979, n. 3010), sicché la condanna risponde altresì al principio di causalità in quanto la statuizione della Corte d’appello è conforme al principio secondo cui le spese sostenute dal terzo chiamato in causa su istanza di parte o d’ufficio, quando non ricorrano giusti motivi per la compensazione, sono legittimamente poste a carico dell’attore soccombente, a nulla rilevando che questi non abbia formulato domanda alcuna nei confronti dello stesso terzo evocato in giudizio (Cass. n. 7674 del 21/3/2008; Cass. n. 24788 del 5/12/2016).

7. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dai controricorrenti che liquida in Euro 12.000,00, per ciascuno, in favore di F. e R., ed in Euro 9.000,00, per ciascuno, in favore di T. e Assicuratori dei Lloyd’s, oltre, per ognuno, Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

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