Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2598 del 02/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 2598 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

ORDINANZA
sul ricorso 12178-2012 proposto da:
DALMINE S.P.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ANTONIO NIBBY 7, presso lo studio dell’avvocato
GIANCARLO GUARINO, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati LUCA ROPOLO, DIEGO
DIRUTIGLIANO, giusta delega in atti;

– ricorrente contro

2017
4121

DALMAGGIONI GEMMA, MAFFIOLETTI ELIO, MAEFIOLETTI
CLAUDIA,

MAFFIOLETTI

BARBARA,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso lo
studio dell’avvocato RENATO MACRO, rappresentati e

Data pubblicazione: 02/02/2018

difesi dagli avvocati ANTONIO NOTAPO, ALESSANDRO
BALDASSARRE, giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 446/2011 della CORTE D’APPELLO

di BRESCIA, depositata il 12/11/2011 R.G.N. 198/2011.

, RG 12t78/12

RILEVATO

Che con sentenza n.788/10 il Tribunale di Bergamo, all’esito di c.t.u.,
in accoglimento della domanda di Dalmaggiore Gemma, Maffioletti
Claudia, Barbara ed Elio, eredi di Maffioletti Franco, condannava la
Dalmine s.p.a., datrice di lavoro del congiunto dal 1971 al 1987, al
risarcimento del danno biologico e morale sofferto dal loro dante causa

professionale del mesotelioma pleurico e il nesso causale con
l’omissione colposa di misure di sicurezza idonee a prevenire e
diminuire l’inalazione di polveri di amianto, presenti sul luogo di lavoro
in ragione della attività produttiva svolta dalla società convenuta,
condannava la società al risarcimento del danno biologico pari ad
€.305.636,77, calcolato sull’invalidità temporanea progressiva (del 50,
70 e 100%) accertata in vita, tenendo conto dell’età del lavoratore e
della necessaria personalizzazione legata alla particolare afflittività
della malattia.
Appellava la Dalmine ribadendo le difese già svolte e sostenendo la
mancata prova del nesso causale, avendo il Maffioletti
precedentemente lavorato in altri settori esposti all’amianto;
l’impossibilità di prevenire l’evento con le conoscenze e i mezzi a
disposizione all’epoca del fatto e l’insussistenza della responsabilità per
la compiuta adozione di tutte le misure di sicurezza possibili e
conosciute; contestava inoltre la quantificazione del danno effettuata
secondo le cd. tabelle di Milano, in luogo dell’applicazione delle tabelle
INAIL che ormai comprendevano il danno biologico, il criterio di calcolo
e comunque l’eccessivo ammontare della somma riconosciuta.
Resistevano gli eredi Maffioletti, proponendo appello incidentale sulla
insufficiente liquidazione del danno.
Che con sentenza depositata il 19.11.11, la Corte d’appello di Brescia
respingeva l’appello principale e, in accoglimento dell’incidentale,
rideterminava il risarcimento del danno in €.335.436,77, oltre
accessori.
Che per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società
Dalmine, affidato a due motivi, cui resistono gli eredi Maffioletti con
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ed acquisito ‘iure hereditatis’: la sentenza, accertata l’eziopatologia

- RG 12(78/12

controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380
bis c.p.c.

CONSIDERATO
Che con il primo motivo la ricorrente denuncia una insufficiente e
contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi, quali la
conoscenza della pericolosità dell’inalazione di polveri di amianto

lesivo; la presenza di polveri d’amianto presso lo stabilimento Dalmine;
l’irrilevanza, in questa sede (potendo gli eredi agire separatamente) di
altre pregresse esposizioni (in edilizia) di durata circa ventennali, assai
più pericolose di quelle inerenti la lavorazione del cemento amianto per
l’assenza di misure di prevenzione; la recezione integrale della c.t.u.
espletata in primo grado, che aveva trascurato una serie di elementi
rilevanti al fine delle conclusioni rassegnate;
che il motivo è infondato, posto che l’esposizione all’inalazione di fibre
di amianto presso la Dalmine è risultata ampiamente dimostrata e che
la censura si sostanzia in un vizio motivo inammissibile in quanto
semplicemente diretto ad una diversa valutazione dei fatti e
segnatamente, per quanto qui interessa, quanto alla particolarmente
accurata ricostruzione della conoscenza, dal punto di vista scientifico,
della pericolosità dell’esposizione a polveri di amianto sin dagli anni
’60, contenuta nella sentenza impugnata.
2.- Che con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la
violazione degli artt. 40 e 41 c.p. in combinato disposto con gli artt.
2043 e 2087 c.c., lamentando che la sentenza impugnata ritenne la
sussistenza di una piena responsabilità della Dalmine nella causazione
dell’evento, in forza del principio dell’equivalenza delle cause, senza
valutare adeguatamente se l’esposizione a polveri di amianto presso i
precedenti datori di lavoro (anni ’50-’70) potesse essere stata causa
esclusiva dell’evento. Evidenzia che dal punto di vista scientifico una
volta insorta la malattia (che può essere asintomatica per molti anni),
l’esposizione ulteriore all’inalazione di polveri di amianto (il lavoratore
prestò la sua opera presso Dalmine dal 1971 al 1988) non influenzano
la patologia.
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quanto meno dagli anni ’60; la conseguente prevedibilità dell’evento

- RG 12(78/12

Che il motivo è infondato, avendo la corte di merito correttamente ed
ampiamente evidenziato ed accertato, anche dal punto di vista
scientifico, che la probabilità di contrarre il mesioteloma aumenta in
modo più che proporzionale rispetto alla durata dell’esposizione ed alla
quantità di polveri inalate, mentre la società ricorrente non aveva
comunque offerto alcuna concreta prova che l’esposizione a polveri di
amianto del Maffioletti presso le (dedotte) precedenti lavorazioni in

in misura tale da determinare da sola il verificarsi dell’evento. Del resto
la circostanza che la patologia sia stata accertata nel 2004, a distanza
di oltre trent’anni dall’inizio delle lavorazioni presso la Dalmine, è
assolutamente in linea con quanto affermato dalla società stessa circa
la lunghissima possibile latenza della sintomatologia, pervenendo così
la sentenza impugnata ad affermare la certa responsabilità, almeno
concausale, di Dalmine nella determinazione dell’evento (come peraltro
accertato dal c.t.u. nominato in primo grado), anche considerata
l’acclarata carenza di adeguati dispositivi di sicurezza predisposti dalla
società Dalmine.
3.- Che con il terzo motivo la società denuncia la violazione degli artt.
1223, 1226 e 2056 c.c., oltre ad omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione sulla quantificazione del risarcimento del danno. Lamenta
che la sentenza impugnata liquidò erroneamente, ed in contrasto coi
principi enunciati in sede di legittimità circa la necessità di un criterio di
liquidazione tendenzialmente unico e coincidente con quello adottato
dal Tribunale di Milano (Cass. n. 12408\11), provvide a liquidare il
danno non patrimoniale sofferto dal Maffioletti dalla diagnosi della
malattia sino al decesso in €.1.000 al giorno, in luogo di €.800, facendo
così riferimento ad una prassi liquidatoria propria anziché a quelle
espresse dal Tribunale di Milano, senza peraltro giustificare in alcun
modo tale deroga e senza chiarire le particolarità del caso concreto.
Che il motivo è infondato in quanto la giurisprudenza di questa Corte
ha chiarito che nella liquidazione del danno biologico, quando manchino
criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui
all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo l’uniformità di giudizio a
fronte di casi analoghi (prendendo come riferimento le tabelle del
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edilizia (anni ’50-’70), fosse avvenuta ed in qual misura, e soprattutto

RG 12178/12

Tribunale di Milano), ma anche una adeguata valutazione delle
circostanze del caso concreto (da ultimo Cass. n. 28290\11). Va del
resto evidenziato che questa Corte ha altresì affermato che la
liquidazione del danno non patrimoniale presuppone una valutazione
necessariamente equitativa, la quale non è censurabile in Cassazione,
sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano
manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente

esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente
sproporzionato per eccesso o per difetto (Cass. n.13153\17).
Che nella specie la corte di merito ha ampiamente motivato il suo
discostamento dai parametri invocati dalla ricorrente in base alla
sopravvivenza relativamente breve dal momento della diagnosi (2004)
sino a quello del decesso (2005), con le annesse ed ingravescenti
sofferenze, soprattutto nelle ultime fasi di vita del Maffioletti.
Che non v’è dunque spazio per l’invocato vizio motivazionale, anche
considerato che in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che
denunci, quale vizio di motivazione, l’insufficiente giustificazione logica
dell’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove, non può
limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze
istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile corrispondenza
alla realtà fattuale, poiché è necessario che tale spiegazione logica
alternativa appaia come l’unica possibile (cfr. Cass. n. 25927\15).
4.-Che il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per
esborsi, €.6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali
nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.
Roma, così deciso nella Adunanza camerale del 24 ottobre 2017

contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune

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