Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25978 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 16/11/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 16/11/2020), n.25978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 110-2020 proposto da:

T.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FELICE PATRUNO;

– ricorrente –

contro

– MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI BARI, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12,

ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2158/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/10/2019 R.G.N. 2370/2018.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza del 15 ottobre 2019, la Corte d’Appello di Bari, confermava la decisione resa dal Tribunale di Bari e rigettava la domanda proposta da T.A. nei confronti del Ministero dell’Interno, della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari con l’intervento del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bari, avente ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato e in via subordinata e gradata della protezione sussidiaria e umanitaria; che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto insussistenti i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato per non essere state neppure dedotte situazioni di persecuzione personale e diretta nè della protezione sussidiaria per non essere ravvisabile in relazione al rimpatrio il rischio di incorrere in un danno grave, neppure in relazione alle caratteristiche del Paese di provenienza la Costa d’Avorio, la cui situazione quanto alla sicurezza generale risulta migliorata al punto da non costituire serio pericolo per la vita di qualunque civile che si trovi suul suo territorio, non ravvisabili le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria, stante l’assenza di una condizione, anche sopravvenuta di integrazione nel nostro Paese ed in difetto di specifiche ragioni di vulnerabilità attuale o emergente come conseguenza del rimpatrio;

che per la cassazione di tale decisione ricorre T.A., affidando l’impugnazione a tre motivi, in relazione alla quale il Ministero dell’Interno si è limitato a rilasciare delega per la difesa nell’udienza di trattazione mentre la Commissione Territoriale, il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bari ed il Procuratore generale della Corte di Cassazione parimenti intimati non hanno svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia il carattere apparente della motivazione e conseguentemente la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2, avendo la Corte territoriale fondato il rigetto della domanda su un giudizio di inattendibilità del dedotto basato su supposizioni ed apprezzamenti non riconducibili a contraddizioni o antinomie logiche che ne pregiudichino la veridicità;

– che, con il secondo motivo, denunziando il vizio di motivazione per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte della Corte territoriale della situazione lavorativa reperita dal ricorrente in Italia, tale da attestare una condizione di integrazione nel nostro Paese viceversa negata in radice dalla Corte medesima;

che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, comma 2 è prospettata in relazione al preteso scostamento che la valutazione negativa resa dalla Corte territoriale in ordine all’insussistenza dei requisiti legittimanti la concessione della protezione umanitaria farebbe registrare rispetto ai criteri legali quali interpretati da questa Corte;

che il primo motivo deve ritenersi infondato, fondandosi la valutazione espressa dalla Corte territoriale in ordine all’inattendibilità del narrato da parte dell’istante sul riferimento a quanto con riguardo alle vicende oggetto di quel narrato risulta dalla documentazione esaminata in sede amministrativa in termini di radicale smentita delle dichiarazioni rese dall’istante e da questi non contestante in sede di gravame;

che il secondo ed il terzo motivo, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, risultano parimenti infondati, non ravvisandosi il denunziato scostamento rispetto all’orientamento espresso da questa Corte in ordine ai requisiti per la concessione della protezione umanitaria atteso che, secondo il richiamato orientamento (cfr. Cass. 23 febbraio 2018 n. 4455), il livello di integrazione conseguito nel nostro Paese, comunque rimesso all’apprezzamento in fatto del giudice del merito, non rileva ove isolatamente ed astrattamente considerato, ponendosi quale mero parametro di una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine volta alla rilevazione di situazioni di particolare vulnerabilità la cui tutela, in termini di esclusione del rimpatrio, si impone laddove questo determini il ritorno dell’istante a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona che ne integrano la dignità, situazioni di vulnerabilità che lo stesso ricorrente ha ritenuto, in conformità al richiamato orientamento di questa Corte, superare il mero dato del conseguimento di una posizione di lavoro in Italia e che qui invoca alla rinfusa, dal pericolo di vita, alla situazione di violenza generalizzata nel Paese di provenienza, alla condizione di povertà alla quale ivi era ridotto per la persecuzione subita, senza neppure preoccuparsi di confutare l’esito contrario dell’accertamento compiuto;

che, pertanto, il ricorso va rigettato senza attribuzione delle spese per non aver il Ministero e commissione territoriale svolto alcuna attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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