Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25976 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 16/11/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 16/11/2020), n.25976

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26518-2016 proposto da:

ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA ATLETICA RIETI, in persona del

legale rappresentante pro tempore, G.S. in proprio,

T.L. in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

APPIA NUOVA, 59, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA VIARANI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARIELLA CARI;

– ricorrenti –

contro

V.K.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE

FILIBERTO 109, presso lo studio dell’avvocato ERMANNO IENCINELLA,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3842/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/09/2016 r.g.n. 2855/2013.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

V.K.G. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Rieti con cui erano state respinte le sue domande dirette alla condanna della A.S.D. Atletica Rieti (oltre al L.R. T. ed a G.S. in proprio) al pagamento, in suo favore, di Euro 70.098,55, oltre indennità sostitutiva del preavviso, a titolo di retribuzioni non percepite per l’attività di lavoro subordinato prestata in favore della ASD dal luglio 2001 al dicembre 2005.

Nella resistenza delle controparti, la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata l’8.9.16, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava gli appellati in solido al pagamento in favore della V.K. di Euro 34.426,92 oltre accessori di legge (ritenendo sussistente un rapporto di lavoro subordinato part-time), compensando per metà le spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso la ASD, il T. ed il G., affidato a cinque motivi, cui resiste la lavoratrice con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 416 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 4), avendo la Corte ritenuto essersi formata la prova della subordinazione (delle prestazioni lavorative della ricorrente) in virtù del principio di non contestazione, laddove invece la sussistenza delle stessa era stata contestata negli atti di primo e secondo grado.

Il motivo è infondato posto che, come sottolineato dagli stessi ricorrenti, la sentenza impugnata ha accertato l’esistenza della subordinazione sulla base delle unanimi deposizioni dei testi escussi (pag. 9 ricorso).

Col secondo motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame di fatti decisivi e controversi in relazione alla sussistenza o meno del vincolo di subordinazione (ex art. 360 c.p.c., n. 5), essendosi ritenuta formata la prova della subordinazione sulla base delle deposizioni di tre testi, senza che si sia tenuto conto del fatto decisivo e controverso della qualificazione fornita dalla K. alla sua rinuncia alla collaborazione con l’associazione, incompatibile con un vincolo di subordinazione.

Il motivo, che presenta diversi profili di inammissibilità stante la richiesta rivisitazione delle deposizioni testimoniali ivi indicate, è comunque infondato basandosi sulla pretesa definizione dell’attività lavorativa svolta dalla K. come collaborazione, concetto presente nell’archetipo stesso della subordinazione di cui all’art. 2094 c.c..

Col terzo motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame di fatti decisivi e controversi in relazione alla sussistenza o meno della sporadicità delle prestazioni (ex art. 360 c.p.c., n. 5), essendosi ritenuta formata la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato senza che si sia tenuto conto del fatto decisivo e controverso della natura episodica e sporadica delle prestazioni, quantomeno negli anni 2001, 2002 e 2003, anni in cui risultano agli atti solo 2 “emails” per il primo anno, un fax e una “email” per il secondo e 1 “email” per il terzo.

Il motivo è inammissibile in quanto diretto alla rivalutazione del materiale istruttorio, in contrasto col novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza considerare che la sentenza impugnata ha accertato che la K. svolse sempre mansioni di segretaria e ricevette molte decine di emails (messaggi di posta elettronica contenenti direttive di lavoro) in tale periodo dal G..

Col quarto motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame di fatti decisivi e controversi in relazione alla sussistenza o meno della gratuità delle prestazioni (art. 360 c.p.c., n. 5), essendosi ritenuta formata la prova della esistenza del rapporto di lavoro subordinato senza che si sia tenuto conto del fatto decisivo e controverso che la V.K. fosse una volontaria della organizzazione del Meeting di Atletica.

Anche tale motivo è inammissibile impingendo nel merito e nelle deposizioni testimoniali raccolte, di cui si pretende una diversa valutazione in contrasto col novellato l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Col quinto motivo, relativamente alla posizione di T.L. in proprio, denunciano la violazione dell’art. 38 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 posto che il presidente e legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta (obbligata in via principale) è stato condannato in solido con l’associazione, in difetto del presupposto di legge dell’aver agito in nome e per conto dell’associazione, giacchè la prospettazione attorea era pacificamente nel senso che alla sua assunzione avesse provveduto in via esclusiva il vice presidente.

Il motivo è fondato.

L’art. 38 c.c., prevede, allo scopo di contemperare l’autonomia patrimoniale dell’associazione ed il diritto di credito dei terzi nei suoi confronti, per un verso che “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti (solo) sul fondo comune” e per altro verso che “Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.

Ne consegue che i (meri) rappresentanti dell’associazione (nella specie il T., presidente) non rispondono in proprio delle obbligazioni assunte dall’associazione (cfr. Cass. n. 8752/17), potendo i creditori far valere i loro diritti solo sul fondo comune (art. 37 c.c.), rispondendo invece personalmente solo coloro che hanno agito personalmente in nome e per conto dell’associazione (nella fattispecie pacificamente il G.).

Il principio dell’irrilevanza della sola carica di legale rappresentante è confermato dalla responsabilità sussistente anche per i rappresentanti dell’associazione che abbiano tuttavia di fatto gestito il rapporto di lavoro (Cass. n. 12886/14).

La sentenza impugnata deve dunque cassarsi in relazione all’ultima censura accolta, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia e segnatamente per accertare in quale misura la K. possa far valere in tutto o in parte le sue pretese sul fondo comune dell’Associazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso ed accoglie il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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