Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25971 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. III, 16/11/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 16/11/2020), n.25971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29405-2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROBERTO DENTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1327/2019 della CORTE D’APPELLO DI MILANO,

depositata il 26/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

C.A., cittadino senegalese, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire violenze nel quadro di instabilità del proprio paese;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento C.A. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 21/11/2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza in data 26/3/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’assenza di attendibilità del racconto del ricorrente; 2) dalla mancanza, nel Senegal, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato (come documentato dal sito “(OMISSIS)” e “da altri siti Internet”); 3) della genericità dei fatti narrati dal ricorrente (non adeguatamente allegati e giustificati) tali da impedire l’esercizio dei poteri di integrazione istruttoria d’ufficio;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da C.A. con ricorso fondato su un unico articolato motivo d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa;

considerato che, con l’unico motivo proposto, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale erroneamente negato il riconoscimento della c.d. protezione sussidiaria, senza procedere a un’adeguata analisi critica delle attuali condizioni socio – politico del proprio paese di origine (indipendentemente dall’attendibilità del racconto del ricorrente), e per avere erroneamente negato la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in assenza di alcuna adeguata valutazione comparativa tra la situazione attuale del ricorrente e quella cui sarebbe eventualmente esposto in caso di rimpatrio;

il motivo è fondato;

osserva, al riguardo il Collegio come, secondo l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte (qui integralmente condiviso e ribadito, al fine di assicurarne continuità), in tema di protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, vada esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, a nulla rilevando, a tal fine, la ritenuta non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Sez. 1, Ordinanza n. 14283 del 24/05/2019, Rv. 654168 – 01);

sul punto, varrà evidenziare come la protezione sussidiaria, nel caso di cui all’art. 14, lett. c), cit., vada accordata per il sol fatto che il richiedente provenga da territorio interessato da situazioni di violenza indiscriminata: situazioni in cui il livello del conflitto armato in corso è tale che l’interessato, rientrando in quel paese o in quella regione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, C. 285/12, Diakitè; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130);

al riguardo, proprio la mancata personalizzazione del rischio preso in considerazione dall’art. 14, lett. c), dà ragione della sostanziale irrilevanza dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente che invochi tale forma di protezione;

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, contempla, infatti, i criteri che la commissione e il giudice debbono seguire ove “taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove”: tali elementi o aspetti del narrato sono considerati veritieri – come si è visto – se ricorrano le condizioni indicate nelle lettere da a) ad e) del predetto comma 5;

il presupposto della norma è, evidentemente, l’esistenza di fatti che ineriscono alla vicenda individuale del richiedente, ma che costui, pur avendone l’onere non sia in grado di suffragare con una prova piena: fatti rispetto ai quali non sia nemmeno possibile l’acquisizione officiosa di elementi istruttori da parte del giudice;

la forma di protezione di cui all’art. 14, lett. c), prescinde, viceversa, da fatti che attengano a una vicenda individuale che il richiedente abbia l’onere di allegare e provare;

chi invochi la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), non si trova nella necessità di fornire ragguagli circa la propria storia personale: correlativamente, non ha l’esigenza di avvalersi dei criteri posti dall’art. 3, comma 5, per colmare le lacune probatorie che quella storia evidenzi;

il fatto costituivo della forma di protezione in esame è infatti la situazione di pericolo generalizzato dato dalla violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato nel paese o nella regione in cui l’istante deve essere rimpatriato;

la prova di tale situazione, in difetto di attivazione della parte, va acquisita d’ufficio dal giudice: come è stato efficacemente rilevato da questa Corte, quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Cass. 28 giugno 2018, n. 17069);

può dirsi, dunque, che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, agiscono come correttivi di un onere probatorio del richiedente riferito alla sua vicenda personale; poichè tale vicenda non rileva con riguardo alla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. cit., ex art. 14, lett. c) (sempre che non si discuta della provenienza dell’istante), non può nemmeno configurarsi, in relazione ad essa, quella situazione di deficit probatorio che il cit. art. 3, comma 5, presuppone: e ciò rende inoperanti i criteri posti dalla detta norma per supplire a una carenza siffatta;

esclusa l’applicazione dei detti criteri, deve conseguentemente negarsi che il giudizio di credibilità o non credibilità delle dichiarazioni rese dal dichiarante sortisca conseguenze preclusive per l’accesso al diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

ciò posto, fermo che, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente, al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01);

nel caso di specie, la corte territoriale non ha adeguatamente assolto ai propri doveri di cooperazione istruttoria nei termini specificati, essendosi inammissibilmente limitata al richiamo (peraltro generico e del tutto laconico) dei contenuti del sito “(OMISSIS)”, di per sè inidonei (per le preminenti finalità di assistenza al turismo che connota la fonte) a fornire informazioni pienamente adeguate e attendibili sulle effettive situazioni di criticità del tessuto sociale, politico ed economico dei territori considerati, e in ogni caso di per sè insuscettibili di escludere il ricorso dei presupposti necessari ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria;

quanto alla negata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, è appena il caso di rilevare come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 02), peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, risulta essersi unicamente limitato al rilievo della genericità delle informazioni fornite dal ricorrente e della inattendibilità del relativo racconto di vita, trascurando totalmente di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. ‘minimo costituzionalè;

sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del ricorso, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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