Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25967 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2021, (ud. 05/03/2021, dep. 24/09/2021), n.25967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14763-2020 proposto da:

B.P., B.R., B.E., BI.PA.,

BI.RO., M.G., F.S., B.B.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato MARCO BARBARO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. cronol. 2213/2019 della CORTE D’APPELLO di

FIRENZE, depositato il 13/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Firenze, con decreto n. 2213/2019, accogliendo l’opposizione proposta da B.P., M.G., B.R., Bi.Ro., Bi.Pa., F.S., B.E. e B.B. ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, avverso il provvedimento di parziale accoglimento della domanda ex art. 2 bis Legge cit., condannava il Ministero della giustizia al pagamento in favore dei ricorrenti della somma di Euro 3.600,00 ciascuno a titolo di indennizzo per la violazione del termine di durata ragionevole del procedimento e liquidava le spese processuali in complessivi Euro 1.269,00 per compensi ed Euro 112,31 per esborsi, compensate quelle della fase.

Avverso il decreto della Corte di appello di Firenze gli originari ricorrenti propongono ricorso per cassazione, fondato su tre motivi, cui resiste il Ministero della giustizia con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa

applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, per avere la Corte distrettuale erroneamente compensato le spese della fase di opposizione.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, nonché degli artt. 10,11 e 91 c.p.c., della L. n. 247 del 2012, art. 13, del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2 e al D.M. n. 55 del 2014, tab. 12 all., per avere la corte distrettuale, a detta dei ricorrenti, liquidato l’importo delle spese di lite al di sotto dei valori minimi individuati dal D.M. n. 55 del 2014 e dalle relative Tabelle per essere il valore della causa pari ad Euro 28.800,00, pari alla somma dell’indennizzo riconosciuto a ciascuno degli otto ricorrenti.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, comma 3, con riferimento all’art. 737 c.p.c. e al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, per omessa motivazione sul mancato aumento dei compensi per ogni soggetto in più oltre il primo avente la stessa posizione processuale.

Le censure, da trattare unitariamente per la complessiva tenuta delle argomentazioni, sono infondate.

Questa Corte ha già chiarito (v. Cass. 22 dicembre 2016 n. 26851) che l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass. n. 19348/15; analogamente, Cass. n. 20463/15). Il tutto avviene a (quasi) perfetta somiglianza con il procedimento per decreto ingiuntivo (al cui archetipo il legislatore si è dichiaratamente ispirato), col quale il procedimento ex lege Pinto condivide una prima fase, che si svolge inaudita altera parte e che termina con la provocatio ad opponendum, e una seconda fase d’opposizione, caratterizzata da un contraddittorio pieno e da una cognizione esaustiva.

Quest’ultima termina con un provvedimento che ha carattere sostitutivo del decreto emesso in sede monitoria solo se ed in quanto l’opposizione sia accolta in tutto o in parte. In tal caso, infatti, l’esito dichiarativo finale è difforme dall’accertamento compiuto con il decreto opposto, che pertanto va necessariamente revocato. Di riflesso, sostituendosi a quest’ultimo il decreto collegiale quale unica statuizione di merito, viene meno anche il capo relativo alle spese liquidate in favore della parte istante e poste a carico di quella erariale ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, u.p.. Spese che, pertanto, devono essere (non più semplicemente liquidate ma) regolate a misura dell’intera vicenda processuale e non soltanto della fase d’opposizione, in base al criterio di soccombenza e mediante una valutazione complessiva del procedimento di equa riparazione.

Al pari dell’opposizione a decreto ingiuntivo (sulle cui spese per l’ipotesi di accoglimento v. Cass. n. 19120/09), anche il giudizio inscenato ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, costituisce una struttura procedimentale essenzialmente unitaria. E dunque, in caso di accoglimento dell’opposizione deve essere altrettanto indivisibile la statuizione sulle spese (salvo il giudice dell’opposizione le regoli diversamente secondo le due fasi, solo per esprimere una consapevole tecnica di compensazione totale o parziale).

Il quadro appena delineato muta radicalmente se, invece, l’opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, è respinta, poiché il decreto monocratico sopravvive tanto nel suo contenuto dichiarativo quanto nel capo che liquida le spese. Con la conseguenza che il regolamento che ne segue in sede di opposizione, non potendo riguardare anche le spese, ormai intangibili, della fase monitoria, è ulteriore e autonomo.

Solo che a differenza dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., le cui spese in caso di rigetto non possono essere stabilite in maniera contraddittoria rispetto al decreto ingiuntivo, dato il principio per cui la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata a pagare neppure una frazione delle spese (giurisprudenza costante: cfr. per tutte e fra le tante, Cass. n. 15317 del 2013), l’opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, non accolta può legittimamente condurre a un tale esito.

Si consideri che l’opposizione può essere attivata sia dalla parte erariale, che subisce l’ingiunzione di cui al decreto pronunciato ai sensi dell’art. 3, comma 5, sia da quella privata insoddisfatta da tale provvedimento, nel qual caso l’opposizione è necessitata dalla non riproponibilità della domanda (L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6). Quest’ultima ipotesi s’invera allorché il decreto monocratico abbia respinto in toto ovvero abbia accolto parzialmente la domanda d’equa riparazione, escludendo una o più voci di danno o liquidandole in misura inferiore al richiesto.

Su tale premessa positiva, questa Corte ha già avuto occasione di affermare il principio secondo cui l’opposizione ex art. 5-ter della parte privata insoddisfatta dall’esito della fase monitoria ha carattere pretensivo, a differenza di quella erariale che ha sempre e solo natura difensiva (cfr Cass. n. 26851 del 2016 cit.). Pertanto, salvo l’ipotesi di opposizione incidentale, il Ministero opposto, avendo prestato acquiescenza al decreto emesso ai sensi dell’art. 3, comma 5, affronta un giudizio che non aveva interesse a provocare e del quale, se vittorioso, non può sopportare le spese.

Di conseguenza queste ultime nel caso di rigetto dell’opposizione vanno regolate in maniera del tutto autonoma, anche a carico integrale della parte privata opponente, ancorché essa abbia diritto a ripetere quelle liquidate nel decreto monocratico che abbia accolto solo parzialmente la domanda di equa riparazione.

L’affermata unitarietà del procedimento della L. n. 89 del 2001 e il suo esito finale allorché, come nel caso in oggetto, resti comunque accertata la responsabilità dello Stato per la durata irragionevole del giudizio presupposto, non consentono di evocare, in funzione di contrasto, il principio per cui la parte vittoriosa non può soggiacere al pagamento delle spese sostenute da quella soccombente, con la conseguenza che la tutela del diritto all’equa riparazione non resta monca, ma soddisfatta dalle spese della fase monitoria; il di più provocato da un’opposizione infondata è correttamente posto a carico della parte opponente, salvo ricorrano ipotesi di compensazione ai sensi dell’art. 92 c.p.c., cpv..

Da quanto sopra discende che seppure non appare corretta l’affermazione della Corte territoriale laddove nella specie ha compensato le spese del giudizio della fase di opposizione, tuttavia dovendo le stesse essere liquidate in via unitaria per essere stata l’opposizione comunque proposta dagli originari ricorrenti, tenuto conto del valore della causa – che va calcolato con riferimento alla singola domanda e non già dalla sommatoria delle stesse, ai sensi dell’art. 10 c.p.c., comma 2 – deve ritenersi che la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessive Euro 1408,31, si pone nei limiti imposti dal decreto, avuto riguardo ai parametri tariffari contemplati dal D.M. n. 55 del 2014. Infatti, la somma totale liquidabile per lo scaglione 1.001 – 5.200 sarebbe di Euro 1.198,50, così computata: Euro 255,00 per la fase di studio della controversia (a fronte di Euro 510,00 come importo medio ordinario); Euro 255,00 per la fase introduttiva del giudizio (a fronte di Euro 510,00 quale importo medio ordinario); Euro 238,50 per la fase istruttoria (per effetto della riduzione del 70%, applicabile per tale voce, rispetto alla somma ordinaria prevista in tabella di Euro 945,00); Euro 405,00 per la fase decisionale (a fronte di Euro 810,00 quale importo medio ordinario).

Quanto al profilo della censura attinente alla mancata applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, secondo cui: “Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti”, va data continuità all’orientamento di questa Corte, già applicato nella vigenza del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, abrogato comma 4, a tenore del quale con riguardo alla liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente, il riconoscimento della maggiorazione del venti per cento della parcella unica nel caso di assistenza e difesa di più parti aventi la stessa posizione processuale non comporta l’introduzione di un minimo inderogabile della tariffa, bensì importa l’esercizio di un potere discrezionale del giudice, non sindacabile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2019 n. 8299; Cass. 10 gennaio 2017 n. 269; Cass. 21 luglio 2011 n. 16040; Cass. 2 febbraio 2007. n. 2254);

In conclusione, il ricorso va dunque nel suo complesso respinto, anche se deve sul punto della compensazione delle spese della fase di opposizione correggersi parzialmente la motivazione della corte del merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, nel senso sopra indicato.

Le spese di legittimità, stante l’intervenuta correzione della motivazione del provvedimento impugnato, si ritiene sussistere giusti motivi per la compensazione fra le parti.

Non vi è l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato (v. D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 e Cass., Sez. Un., 28 maggio 2014 n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

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