Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25967 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. I, 05/12/2011, (ud. 18/11/2011, dep. 05/12/2011), n.25967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.T. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in Roma Via Cassiodoro 1/A presso lo studio dell’avv.

Bianca Maria Castoldi, rappresentata e difesa dall’avv.to REDINI

Giandolfo per procura speciale in calce al ricorso per cassazione

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato e

domiciliato presso i suoi uffici in Roma, Via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Caltanissetta, emesso il

7 febbraio 2008, depositato il 22 febbraio 2008, R.G. n. 178/07

R.C.C.;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 18 novembre

2011 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, che ha

concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che la Corte ha deliberato di adottare la motivazione semplificata della decisione;

Rilevato che:

1. M.T. propone ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Caltanissetta menzionato in epigrafe sostenendo che, nell’accogliere parzialmente la sua domanda di equa riparazione per la irragionevole durata del giudizio civile instaurato con citazione del 30 novembre 1979 e definito in appello con sentenza dell’11 marzo 2005, la Corte nissena ha violato le direttive indicate nella sentenza (n. 1844/2007) della Corte di Cassazione emessa su ricorso per cassazione della M. avverso la precedente liquidazione dell’equa riparazione operata dalla stessa Corte di appello con decreto n. 64 del 12/14 novembre 2003.

2. La ricorrente deduce cinque motivi di ricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 13, 34, 41, 53 CEDU e artt. 1223, 1226, 1227, 2056 c.c. e la violazione delle direttive della Corte di Cassazione sulla necessità di riverificare la durata ragionevole del processo presupposto in relazione all’intero procedimento durato 24 anni e 4 mesi (e quindi non solo in relazione al giudizio di appello). La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se alla Corte di appello di Caltanissetta, in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 1844/07 emessa dalla Corte di Cassazione il 31 ottobre 2006, sia da ritenere consentito o meno, alla luce degli artt. 6 paragrafo 1, 13, 34, 41 e 53 della C.E.D.U., contestualmente agli artt. 1223, 1226, 1227, 2056 c.c. (il cui rispetto è stato espressamente invocato nella pronuncia n. 1844/07 della S.C.) che un procedimento che non presenti, come nel caso che qui interessa, una particolare complessità, nè necessiti di una articolata attività istruttoria, possa fisiologicamente avere una durata, nel primo e nel secondo grado, di ben 24 anni e 4 mesi, dei quali solo 9 anni e 4 mesi possono essere riconosciuti imputabili a ritardi ingiustificabili e nonostante la Cassazione, nel cassare il precedente decreto e nel disporre il rinvio, abbia anche stabilito che la Corte di Caltanissetta era tenuta a condurre verifica sulla durata ragionevole del processo presupposto in relazione all’intero procedimento nel quale si è articolato, sino alla data della sua definizione, ovvero sino alla data di presentazione del ricorso per equa riparazione, nel rispetto dei principi elaborati in sede europea.

4. Con il secondo motivo si deduce falsa applicazione degli artt. 175, 182 c.p.c. e art. 81 disp. att. c.p.c., in palese contrasto con le direttive impartite con la sentenza n. 1844/07 che ha disposto il rinvio chiedendo alla Corte di appello di tenere conto dei principi elaborati in materia dalla Comunità europea. La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se sia consentito di ritenere congrua o meno, alla luce degli artt. 175 e 182 c.p.c. e dell’art. 81 d. att. c.p.c. e delle prescrizioni specificamente dettate alla Corte di appello dalla sentenza n. 1844/07 della S.C., la durata complessiva di 24 anni e 4 mesi di giudizio, indicando in soli 9 anni e 4 mesi il periodo di durata irragionevole e ritenendo il periodo restante come fisiologico all’attività istruttoria espletata.

5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e in palese contrasto con le direttive impartite dal Supremo Collegio con la sentenza n. 1844/07 che ha disposto il rinvio.

6. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al divieto di reformatio in pejus. La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se sia da ritenere consentito o meno alla luce del divieto di reformatio in pejus, principio cardine dell’ordinamento processuale penale e civile, la sensibile riduzione della liquidazione delle spese a favore della parte ricorrente che, in prima battuta, aveva ottenuto il riconoscimento di Euro 1.500,00 per la copertura delle spese e, a seguito di riassunzione effettuata in omaggio a quanto disposto da codesto S.C. e senza che la disposizione specifica sulle spese fosse stata impugnata neanche incidentalmente da controparte, si è vista dimezzare tale importo, pur avendo dovuto affrontare ulteriori e gravosi esborsi.

7. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c. e al D.M. n. 127 del 2004, artt. 1-4. La ricorrente pone alla Corte il seguente quesito di diritto se, alla luce dei principi che informano la liquidazione delle spese di giustizia alla parte che ottiene il riconoscimento dei propri diritti, che la Corte di appello di Caltanissetta abbia liquidato le spese relative al giudizio di cassazione e quelle relative al secondo giudizio di rinvio senza rispettare almeno i minimi tabellari di onorari e diritti essenziali, effettuando quindi liquidazioni inferiori ad Euro 1.327,00 per il giudizio di cassazione e di euro 1049 per il secondo procedimento davanti alla Corte di appello stessa in sede di rinvio.

8. Si difende con controricorso il Ministero intimato.

9. La Corte ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Ritenuto che:

10. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili per l’incorretta formulazione dei quesiti che esprime la genericità e indeterminatezza delle censure mosse alla decisione impugnata attraverso una deduzione puramente assertiva come quella per cui sarebbe da considerare incongrua la determinazione in soli 9 anni e 4 mesi del periodo di durata irragionevole del processo, a fronte di una sua durata complessiva di 24 anni e 4 mesi, indicando e ritenendo il periodo restante come fisiologico all’attività istruttoria espletata. La decisione impugnata attraverso una meticolosa ricostruzione dell’iter istruttorie ha individuato dei periodi di stasi del processo durati complessivamente 9 anni e quattro mesi che ha ritenuto non imputabili alle parti mentre ha implicitamente considerato fisiologica la restante durata del processo in considerazione non solo della complessità della controversia e della istruttoria ma anche e soprattutto a causa di eventi non ascrivibili alla amministrazione della giustizia quali l’interruzione per due volte del processo per morte delle parti, l’astensione dei difensori dalle udienze, la cancellazione della causa per due volte ex art. 309 c.p.c., la richiesta di integrazione del contraddittorio, la richiesta di rinvii per l’espletamento di attività istruttorie già fissate o per adempimenti processuali già programmati, il tempo intercorso fra il deposito della sentenza di primo grado e la proposizione dell’appello. La ricorrente avrebbe dovuto quindi indicare specificamente (anche sotto il profilo della inidoneità o del difetto della motivazione) in che misura e per quali ragioni lo scostamento dai normali parametri di determinazione della ragionevole durata del processo operato dalla Corte d’appello abbia escluso ingiustificamente la imputazione di tempi di durata del processo ascrivibili invece all’amministrazione della giustizia.

11. Il terzo motivo è del tutto indeterminato e non presenta nonostante un generico riferimento all’art. 366 bis c.p.c., una sintesi idonea a identificare l’oggetto della controversia sul quale si appunta la censura di omissione o contraddittorietà della motivazione ovvero le ragioni per le quali l’insufficienza della motivazione la renderebbe inidonea a giustificare la decisione adottata dalla Corte di appello.

12. Il quarto motivo è assorbito dall’esame del successivo.

13. Il quinto motivo è fondato quanto alla determinazione delle spese dei due giudizi di merito che vanno rideterminate come segue 600,00 Euro per diritti, Euro 1.200,00 per onorari e Euro 50,00 per spese. La liquidazione in 900,00 Euro delle spese del giudizio di cassazione non appare in contrasto con i minimi tariffari indicati dalla stessa parte ricorrente.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbito il quarto, e rigetta i restanti motivi, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e liquida le spese dei due giudizi di merito in Euro 600,00 per diritti, Euro 1.200,00 per onorari e Euro 50,00 per spese.

Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in 650,00 Euro, oltre 100,00 Euro per spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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