Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25966 del 05/12/2011
Cassazione civile sez. I, 05/12/2011, (ud. 14/11/2011, dep. 05/12/2011), n.25966
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –
Dott. RORDORF Renato – Consigliere –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25612/2009 proposto da:
F.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI 5, presso l’avvocato ABBAMONTE ANDREA,
rappresentato e difeso dall’avvocato PISCITELLI Mario, giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro
tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– resistente –
avverso il decreto n. 5844/2008 cron. della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositato il 12/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
14/11/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
DESTRO Carlo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1.- Con il decreto impugnato (dep. il 25.9.2008) la Corte di merito ha provveduto sulla domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta da parte ricorrente.
Il giudizio presupposto di cui è dedotta 1’irragionevole durata è stato instaurato dinanzi al TAR Campania il 17.10.1997 ed è stato definito con sentenza del 18.7.2007. La Corte di appello, rilevato che dalla sentenza del TAR si evinceva l’evidente infondatezza della pretesa di parte attrice (perchè secondo la consolidata giurisprudenza dei TAR le ore settimanali di straordinario non rientrano nello stipendio inteso come paga tabellare), ha rigettato la domanda richiamando la giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte (1338/2004) e ritenendo, in presenza di giurisprudenza consolidata, la consapevolezza del ricorrente in ordine alla infondatezza della propria pretesa, compensando le spese.
Contro il detto decreto parte attrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a un motivo.
L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.
2.1.- Con l’unico motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e formula il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “se è illegittimo il decreto della Corte di appello che abbia rigettato la domanda di risarcimento del danno ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, e segg., ritenendo che la consapevolezza, nella parte, della infondatezza della propria istanza nel giudizio che ha avuto durata non ragionevole esclude che la parte stessa possa aver subito alcun pregiudizio”.
3. – Il ricorso è fondato perchè in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la circostanza che la causa di merito abbia avuto esito negativo, sia pure prevedibile, è irrilevante ai fini del riconoscimento del danno non patrimoniale, giacchè l’esito favorevole della lite non condiziona il diritto alla ragionevole durata del processo, nè incide di per se sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessiva durata della causa, salvo che essa si sia resa responsabile di lite temeraria o, comunque, di un vero e proprio abuso del processo; l’esito sfavorevole del giudizio può tuttavia incidere riduttivamente sulla misura dell’indennizzo, allorchè la domanda sia stata proposta in un contesto tale da renderla, se non temeraria, comunque fortemente aleatoria (Sez. 1, Sentenza n. 24107 del 13/11/2009).
Cassato il decreto impugnato, la Corte può decidere la causa nel merito e, stante la durata complessiva del giudizio presupposto di 9 anni e 9 mesi circa, ritenuta quella ragionevole pari a tre anni, per il ritardo di sei anni e nove mesi deve essere liquidato un indennizzo per danno non patrimoniale di Euro 5.999,00. Ciò alla luce della giurisprudenza per la quale la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1000 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (Sez. 1, Sentenza n. 21840 del 14/10/2009).
Le spese processuali – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.
PQM
La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 5.999,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:
che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge;
e per il giudizio di legittimità, in Euro 965,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011