Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25965 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2021, (ud. 05/03/2021, dep. 24/09/2021), n.25965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34802-2019 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ABBATE FERDINANDO EMILIO, MANFREDI MARA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 53075/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositato il 04/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI

MILENA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Roma, con decreto n. 53075/2018, accogliendo parzialmente l’opposizione proposta da P.F. L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter avverso il provvedimento di rigetto della domanda citata legge, ex art. 2-bis, condannava il Ministero della giustizia al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 1.600,00 a titolo di indennizzo per la violazione del termine di durata ragionevole del procedimento e per l’effetto liquidava le spese processuali in complessivi Euro 1.269,00.

Avverso il decreto della Corte di appello di Roma il P. propone ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo.

Il Ministero della giustizia è rimasto intimato.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 91 c.p.c., 3, punto 5, art. 2233 c.c., comma 2, del D.M. n. 55 del 2014 e del D.M. n. 37 del 2018, per avere la Corte di appello liquidato globalmente le spese di lite delle due fasi del giudizio di merito.

A detta del ricorrente, l’importo delle spese di lite liquidato dalla Corte di appello di Roma sarebbe al di sotto dei valori minimi individuati dal D.M. n. 55 del 2014 e dalle relative Tabelle poiché per il procedimento monitorio sarebbe previsto un importo minimo di Euro 1.708,50, pari ad Euro 1.198,50 per la fase dell’opposizione ed Euro 510,00 per quella monitoria.

La censura, sotto entrambi i profili, è infondata.

Questa Corte ha già chiarito (v. Cass. 22 dicembre 2016 n. 26851) che l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass. n. 19348/15; analogamente, Cass. n. 20463/15). Il tutto avviene a (quasi) perfetta somiglianza con il procedimento per decreto ingiuntivo (al cui archetipo il legislatore si è dichiaratamente ispirato), col quale il procedimento ex lege Pinto condivide una prima fase, che si svolge inaudita altera parte e che termina con la provocatio ad opponendum, e una seconda fase d’opposizione, caratterizzata da un contraddittorio pieno e da una cognizione esaustiva.

Quest’ultima termina con un provvedimento che ha carattere sostitutivo del decreto emesso in sede monitoria solo se ed in quanto l’opposizione sia accolta in tutto o in parte. In tal caso, infatti, l’esito dichiarativo finale è difforme dall’accertamento compiuto con il decreto opposto, che pertanto va necessariamente revocato. Di riflesso, sostituendosi a quest’ultimo il decreto collegiale quale unica statuizione di merito, viene meno anche il capo relativo alle spese liquidate in favore della parte istante e poste a carico di quella erariale ai sensi dell’ultima parte della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5. Spese che, pertanto, devono essere (non più semplicemente liquidate ma) regolate a misura dell’intera vicenda processuale e non soltanto della fase d’opposizione, in base al criterio di soccombenza e mediante una valutazione complessiva del procedimento di equa riparazione.

Al pari dell’opposizione a decreto ingiuntivo (sulle cui spese per l’ipotesi di accoglimento v. Cass. n. 19120/09), anche il giudizio inscenato ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter costituisce una struttura procedimentale essenzialmente unitaria. E dunque, in caso di accoglimento dell’opposizione deve essere altrettanto indivisibile la statuizione sulle spese (salvo il giudice dell’opposizione le regoli diversamente secondo le due fasi, solo per esprimere una consapevole tecnica di compensazione totale o parziale).

Il quadro appena delineato muta radicalmente se, invece, l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter è respinta, poiché il decreto monocratico sopravvive tanto nel suo contenuto dichiarativo quanto nel capo che liquida le spese. Con la conseguenza che il regolamento che ne segue in sede di opposizione, non potendo riguardare anche le spese, ormai intangibili, della fase monitoria, è ulteriore e autonomo.

Solo che a differenza dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., le cui spese in caso di rigetto non possono essere stabilite in maniera contraddittoria rispetto al decreto ingiuntivo, dato il principio per cui la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata a pagare neppure una frazione delle spese (giurisprudenza costante: cfr. per tutte e fra le tante, Cass. n. 15317 del 2013), l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter non accolta può legittimamente condurre a un tale esito.

Si consideri che l’opposizione può essere attivata sia dalla parte erariale, che subisce l’ingiunzione di cui al decreto pronunciato ai sensi dell’art. 3, comma 5, sia da quella privata insoddisfatta da tale provvedimento, nel qual caso l’opposizione è necessitata dalla non riproponibilità della domanda (. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6). Quest’ultima ipotesi s’invera allorché il decreto monocratico abbia respinto in toto ovvero abbia accolto parzialmente la domanda d’equa riparazione, escludendo una o più voci di danno o liquidandole in misura inferiore al richiesto.

Su tale premessa positiva, questa Corte ha già avuto occasione di affermare il principio secondo cui l’opposizione ex art. 5-ter della parte privata insoddisfatta dall’esito della fase monitoria ha carattere pretensivo, a differenza di quella erariale che ha sempre e solo natura difensiva (cfr Cass. n. 26851 del 2016 cit.). Pertanto, salvo l’ipotesi di opposizione incidentale, il Ministero opposto, avendo prestato acquiescenza al decreto emesso ai sensi dell’art. 3, comma 5, affronta un giudizio che non aveva interesse a provocare e del quale, se vittorioso, non può sopportare le spese.

Di conseguenza queste ultime nel caso di rigetto dell’opposizione vanno regolate in maniera del tutto autonoma, anche a carico integrale della parte privata opponente, ancorché essa abbia diritto a ripetere quelle liquidate nel decreto monocratico che abbia accolto solo parzialmente la domanda di equa riparazione.

L’affermata unitarietà del procedimento della L. n. 89 del 2001 e il suo esito finale allorché, come nel caso in oggetto, resti comunque accertata la responsabilità dello Stato per la durata irragionevole del giudizio presupposto, non consentono di evocare, in funzione di contrasto, il principio per cui la parte vittoriosa non può soggiacere al pagamento delle spese sostenute da quella soccombente, con la conseguenza che la tutela del diritto all’equa riparazione non resta monca, ma soddisfatta dalle spese della fase monitoria; il di più provocato da un’opposizione infondata è correttamente posto a carico della parte opponente, salvo ricorrano ipotesi di compensazione ai sensi dell’art. 92, cpv. c.p.c..

Ed è ciò che ha fatto la Corte territoriale nella specie, allorché proposta opposizione dalla parte privata rimasta insoddisfatta dall’esito della fase monitoria e, dunque, con carattere pretensivo, ha liquidato le spese di giudizio in base al criterio della soccombenza, a misura dell’intera vicenda processuale, per cui applicando la massima riduzione ai singoli importi spettanti per ciascuna voce, ai sensi del citato D.M., art. 4, comma 1, è pervenuta al riconoscimento della somma totale di Euro 1.269,00 che non è in misura inferiore a quelli minimi di cui alla tabella 12 allegata al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, tenuto conto del valore della causa (da Euro 1.101,00 ad Euro 5.200,00) ed applicando la riduzione massima in ragione della speciale semplicità dell’affare D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4, (Cass. 15 dicembre 2017 n. 30286; Cass. 31 gennaio 2017 n. 2386; Cass. 16 settembre 2015 n. 18167).

Infatti, ai sensi del citato D.M., art. 4, comma 1, la somma totale liquidabile sarebbe di Euro 1.198,50, così computata: Euro 255,00 per la fase di studio della controversia (a fronte di Euro 510,00 come importo medio ordinario); Euro 255,00 per la fase introduttiva del giudizio (a fronte di Euro 510,00 quale importo medio ordinario); Euro 238,50 per la fase istruttoria (per effetto della riduzione del 70%, applicabile per tale voce, rispetto alla somma ordinaria prevista in tabella di Euro, 945,00); Euro 405,00 per la fase decisionale (a fronte di Euro 810,00 quale importo medio ordinario).

In conclusione, il ricorso va respinto.

In assenza di difese svolte dalla parte erariale, nessuna pronuncia sulle spese. Non vi è l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato (v. D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 e Cass., Sez. Un., 28 maggio 2014 n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

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