Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25964 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2021, (ud. 05/03/2021, dep. 24/09/2021), n.25964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33476-2019 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 80415740580;

– intimato –

avverso il decreto n. 27/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositato il 04/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI

MILENA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di L’Aquila, con decreto n. 27/2019, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da R.L. L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter avverso il provvedimento che aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda citata L., ex art. 2-bis, riconosceva l’indennizzo in Euro 4.500,00, determinandolo in Euro 500,00 per ciascuno dei nove anni di durata irragionevole del processo presupposto, liquidando le spese di lite in favore del difensore dell’opponente.

Avverso il decreto della Corte di appello di L’Aquila propone ricorso per cassazione il R., fondato su due motivi, formulato il secondo in via subordinata.

Il Ministero dell’economia e delle finanzi è rimasto intimato.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– va preliminarmente rilevato che dovendo essere il ricorso disatteso per le ragioni di cui in prosieguo, la Corte è esentata dal valutare le questioni processuali in ordine alla regolarizzazione del contraddittorio, ovvero altre relative all’esercizio di facoltà defensionali da parte degli intimati o intimandi, dovendo farsi applicazione del principio della “ragione più liquida”, in base al quale – quand’anche dei relativi adempimenti sussistesse effettiva necessità – la loro effettuazione pur nell’ininfluenza sull’esito del giudizio sarebbe lesiva del principio della ragionevole durata del processo (v. Cass. sez. U. n. 26373 del 2008; Cass. sez. U. n. 6826 del 2010; Cass. n. 2723 del 2010; Cass. n. 15106 del 2013; Cass. sez. U. n. 23542 del 2015);

– passando all’esame del primo motivo, il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 2-bis e degli artt. 6 e 13 CEDU, nonché dell’art. 111 Cost. ritenendo non corretta la quantificazione dell’ammontare dell’indennizzo riconosciuto alla luce dei parametri della giurisprudenza CEDU e di legittimità.

La censura circa la violazione dei criteri CEDU per la liquidazione dell’indennizzo, determinato l’ammontare in Euro 500,00 per ogni anno di ritardo, è infondata essendo precluso alla Corte di cassazione sindacare la concreta determinazione del “quantum” dell’indennizzo operata dal giudice di merito, trattandosi di valutazione di fatto, nella specie comunque compreso tra il minimo ed il massimo prevista dalla legge (Cass. n. 14521 del 2019).

Ed invero, da un lato va evidenziato che la domanda di equo indennizzo è successiva all’entrata in vigore della novella introdotta con D.L. n. 83 del 2012, per essere stato il ricorso depositato il 09.03.2015, per cui il giudice di merito non è vincolato al rispetto dei parametri elaborati – anche grazie al contributo della giurisprudenza della C.E.D.U. – nella vigenza del dato normativo previgente. Parametri che peraltro, anche in precedenza, ben potevano essere derogati dal giudice, in considerazione dell’esito del giudizio presupposto e quindi del patema d’animo correlato all’irragionevole durata di esso.

In proposito, già Cass. n. 21840 del 2009 aveva affermato che “In tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purché motivate e non irragionevoli” (conf. Cass. n. 17922 del 2010).

La successiva Cass. n. 23034 del 2011, aveva specificato il principio, pronunciandosi sempre nei binari della derogabilità dei parametri C.E.D.U. in presenza di “ragioni speciali per una liquidazione in misura diversa”.

Nel quadro normativo vigente al momento dell’introduzione della domanda della ricorrente (2015), invece, il giudice deve fare riferimento, nella determinazione dell’equo indennizzo derivante dall’irragionevole durata del giudizio presupposto, da un lato ai valori minimi e massimi indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 1 , (nel testo novellato dalla L. n. 208 del 2015, applicabile ratione temporis ai ricorsi depositati a decorrere dal 1.1.2016), e dall’altro ai parametri elencati al medesimo art. 2-bis, comma 2, tra i quali rientra anche l’apprezzamento dell’esito del giudizio nel cui ambito il ritardo si è maturato. Inoltre, egli ha la facoltà di applicare “nel caso di integrale rigetto delle domande della parte ricorrente” la specifica decurtazione di un terzo prevista dall’art. 2-bis, comma 1-ter della normativa in esame.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente applicato il dato normativo in vigore al momento del deposito del ricorso introduttivo e ha determinato l’indennizzo in coerenza con i criteri ivi indicati. Ne’ è possibile, da parte di questa Corte, sindacare la concreta determinazione del quantum dell’indennizzo operata dal giudice di merito, trattandosi di valutazione di fatto, ovvero l’applicazione della riduzione di cui al richiamato art. 2-bis comma 1-ter, in quanto esplicazione di potere discrezionale il cui esercizio è rimesso al predetto giudice di merito;

con secondo motivo formulato in via subordinata, il ricorrente denuncia la illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis in riferimento al sistema della Convenzione e all’art. 117 Cost..

Anche siffatta censura è priva di pregio.

Occorre premettere che vanno riconosciuti come “principi generali” del diritto comunitario (oggi, del diritto dell’Unione) le statuizioni contenute nella Convenzione EDU e tale impostazione non è messa in crisi dalla sostituzione della locuzione “rispetta” (presente nel vecchio testo dell’art. 6 del Trattato) con l’espressione “fanno parte” (del nuovo testo dello stesso art. 6), in quanto, come affermato dalla sentenza n. 349 del 2007 della Corte costituzionale, già la precedente giurisprudenza della Corte di giustizia – che la statuizione in esame è volta a recepire – era costante nel ritenere che i diritti fondamentali, enucleabili dalla CEDU e dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, facessero “parte integrante” dei principi generali del diritto comunitario di cui il giudice comunitario era chiamato a garantire il rispetto.

Ciò puntualizzato, deve ribadirsi, in punto di infondatezza della doglianza sulla considerazione esclusiva della durata eccedente quella ragionevole, che, in tema di equa riparazione conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la valutazione equitativa dell’indennizzo a titolo di danno non patrimoniale è soggetta, per specifico rinvio contenuto nella L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, all’art. 6 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848), al rispetto delle Convenzione medesima, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo; tale rispetto non concerne, però, anche il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo dell’indennizzo, essendo peraltro il giudice nazionale vincolato al rispetto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non toccando tale diversità di calcolo la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass., sez. 1, 22 agosto 2011, n. 17440; Cass. n. 23154 del 2012; Cass. n. 4973 del 2013).

Del resto, siffatto approdo non collide con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale – nei precedenti Martinetti e Cavazzuti c. Italia del 20 aprile 2010, Delle Cave e Corrado c. Italia del 5 giugno 2007 e Simaldone c. Italia del 31 marzo 2009 – “ha osservato che il solo indennizzo, come previsto dalla Legge Italiana n. 89 del 2001, del pregiudizio connesso alla durata eccedente il ritardo non ragionevole, si correla ad un margine di apprezzamento di cui dispone ciascuno Stato aderente alla CEDU, che può istituire una tutela per via giudiziaria coerente con il proprio ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in conformità al livello di vita del Paese, conseguendone che il citato metodo di calcolo previsto dalla legge italiana, pur non corrispondendo in modo esatto ai parametri enunciati dalla Corte EDU, non è in sé decisivo, purché i giudici italiani concedano un indennizzo per somme che non siano irragionevoli rispetto a quelle disposte dalla CEDU per casi simili” (Cass., sez. 1, 11 gennaio 2011, n. 478).

Con la conseguenza che deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, aggiunto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, convertito dalla L. n. 134 del 2012, nella parte in cui limita l’importo liquidabile dal giudice a titolo di equa riparazione ad una somma di denaro non inferiore a 500,00 Euro e non superiore a 1.500,00 Euro, atteso che la stessa Corte Europea ha riconosciuto possibile derogare agli ordinari criteri di liquidazione dell’indennizzo su base annua, e che questa Corte, nella vigenza della precedente disciplina dell’equa riparazione da irragionevole durata del processo, aveva avuto modi) reiteratamente di affermare che il criterio di 500,00 Euro per anno di ritardo non può ritenersi, di per sé, irragionevole e inidoneo ad assicurare un adeguato ristoro alla parte interessata.

Del pari è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1-bis, aggiunto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, convertito dalla L. n. 134 del 2012, censurato per contrasto con l’art. 6 a CEDU e quindi con l’art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui si afferma che si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado e di un anno per il giudizio di legittimità, si deve rilevare la stessa è del pari manifestamente infondata, atteso che la disciplina nazionale non fa che recepire le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU e di questa Corte di legittimità, sicché appare certamente infondato il prospettato dubbio di legittimità costituzionale.

In conclusione, il ricorso va respinto.

In assenza di difese svolte dalla parte erariale, nessuna pronuncia sulle spese. Non vi è l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato (v. D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 e Cass., Sez. Un., 28 maggio 2014 n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

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