Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25959 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 31/10/2017, (ud. 18/05/2017, dep.31/10/2017),  n. 25959

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30111-2011 proposto

POSTE ITALIANE S.P.A. C.E. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA,

58, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CARUSO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONINO SIRACUSA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9097/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/12/2010, R. G. N. 1390/2006.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza in data 15 dicembre 2010, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato la nullità dei termini apposti ai contratti stipulati tra Poste Italiane s.p.a. e F.O. dal 1 febbraio al 30 aprile 2002 e dal 2 luglio al 30 settembre 2002, la sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato dal 1 febbraio 2002 e condannato la società datrice al pagamento a titolo risarcitorio delle retribuzioni maturate dal 1 luglio 2004, data di costituzione in mora, alla scadenza del triennio dalla cessazione di fatto del rapporto (e pertanto dal 30 giugno 2004: scadenza dell’ultimo dei cinque contratti stipulati), oltre accessori: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva rigettato le domande del lavoratore;

che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso con cinque motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., artt. 115,116,244 e 253 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, per erronea attribuzione dell’onere probatorio della ricorrenza delle ragioni tecniche e organizzative (peraltro documentata in base ai suindicati accordi sindacali), alla società datrice (cui invece spettante solo in caso di proroga e non di prima istituzione del contratto), anzichè della loro insussistenza alla lavoratrice (primo motivo); erronea e insufficiente motivazione sul fatto controverso della mancata ammissione del capitolo di prova dedotto sub 11), decisivo ai fini dell’integrazione probatoria della ricorrenza delle suddette ragioni (secondo motivo); violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, art. 4, comma 2, art. 12 preleggi, art. 1362 c.c. ss., art. 1325 c.c. ss., per esclusione delle ragioni sostitutive per ferie indicate nel (secondo) contratto a termine dal 2 luglio al 30 settembre 2002, nell’irrilevanza della sostituzione di lavoratore non in ferie, ma in malattia, atteso il potere di autorganizzazione datoriale, che rende possibile l’utilizzazione del personale, anche a termine, secondo i più opportuni spostamenti interni, così realizzando un insieme di sostituzioni successive per scorrimento a catena (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,1223,2094,2099 e 2697 c.c., per inesistenza di un obbligo retributivo a carico datoriale dalla data di messa in mora, in difetto di prestazione lavorativa, anzichè dall’effettiva ripresa del servizio, nè risarcitorio in favore del lavoratore (quarto motivo); applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale ius superveniens operante in tutti i giudizi pendenti (quinto motivo);

che ritiene il collegio che i primi due motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, siano inammissibili;

che essi, infatti, non colgono esattamente la ratio decidendi della sentenza, posto che si muovono nell’ottica di un regime normativo (D.Lgs. n. 368 del 2001) diverso da quello (ai sensi dell’art. 25 CCNL 11 gennaio 2001 e L. n. 56 del 1987, art. 23, in applicazione della disciplina transitoria della L. n. 368 del 2001, art. 11) che il Tribunale (senza alcuna contestazione dalle parti: Cass. 28 gennaio 2009, n. 2175) ha ritenuto regolare i primi due contratti a termine e di cui la Corte territoriale ha preso atto (terz’ultimo e penultimo capoverso di pg. 3 della sentenza): pure difettando gli stessi di una specifica confutazione della mancanza di prova di effettività della causale ritenuta dalla Corte territoriale (per le ragioni esposte dal terzo capoverso di pg. 5 al primo di pg. 6 della sentenza);

che in ogni caso è pure infondata la negata attribuzione al datore di lavoro dell’onere probatorio delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, giustificanti l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1: invece coerente con la natura della contrattazione a termine alla stregua di regime derogatorio alla forma comune del rapporto di lavoro, a tempo indeterminato (Cass. 27 marzo 2014, n. 7244; Cass. 21 maggio 2008, n. 12985), comportante a maggior ragione detto onere probatorio a carico datoriale, esplicitamente riconosciuto (D.Lgs. cit., art. 4, comma 2) nell’ipotesi di proroga del termine (Cass. 21 gennaio 2016, n. 1058);

che il terzo motivo è assorbito dalla conversione del rapporto da tempo determinato a indeterminato per l’accertata nullità del primo contratto (in conseguenza dell’inammissibilità dei due primi motivi);

che invece è fondato il quinto motivo (con assorbimento del quarto), per la ritenuta corretta interpretazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nel senso che la violazione di norme di diritto possa concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano applicabili al rapporto dedotto in giudizio perchè dotate di efficacia retroattiva: in tal caso essendo ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta; neppure nel caso di specie sussistendo il limite del giudicato, precluso anche, qualora la sentenza si componga di più parti connesse tra loro in un rapporto per il quale l’accoglimento dell’impugnazione nei confronti della parte principale determini necessariamente anche la caducazione della parte dipendente, dalla proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale, pur in assenza di impugnazione specifica della parte dipendente (Cass. s.u. 27 ottobre 2016, n. 21691);

che pertanto il ricorso deve essere accolto in relazione al quinto motivo, dichiarati inammissibili i primi due ed assorbiti il terzo e il quarto, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte controricorrente ai sensi dell’art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (per tutte: Cass. 10 luglio 2015, n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (per tutte: Cass. 17 febbraio 2016, n. 3062).

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo, assorbiti il terzo e il quarto, inammissibili i primi due; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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