Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25959 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2021, (ud. 05/03/2021, dep. 24/09/2021), n.25959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20760-2019 proposto da:

R.N., D.G., d.g., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA FERRANTE;

– ricorrenti –

Contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. cronol. 352/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositato il 07/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

FALASCHI MILENA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Roma, con decreto n. 352/2019, rigettando l’opposizione proposta da D.M.L., P.A., R.N., D.M.R., d.g. e D.G. ex art. 5-ter avverso il provvedimento di parziale accoglimento della domanda citata L. n. 89 del 2001, ex art. 2 bis, riconosceva la congruità delle spese liquidate in monitorio in favore dei ricorrenti in Euro 450,00, con compensazione delle spese di fase.

Avverso il decreto della Corte di appello di Roma propongono ricorso per cassazione i soli R., D. e D., fondato su sostanziali tre motivi.

Ti Ministero della giustizia è rimasto intimato.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte di merito, per quanto attiene alla domanda in ordine alla liquidazione delle spese, esaminato unicamente il secondo motivo di censura.

La censura è inammissibile prima che infondata risultando dal provvedimento impugnato che le censure formulate in sede di opposizione attenevano esclusivamente alla liquidazione delle spese, la cui soluzione ha argomentato; né nel ricorso vengono riprodotte le asserite diverse deduzioni di cui al primo mezzo dell’opposizione;

– con il secondo ed il terzo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, anche per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti per motivazione apparente tautologica e apodittica, per avere la Corte di appello liquidato globalmente le spese di lite delle due fasi del giudizio di merito.

A detta dei ricorrenti, l’importo delle spese di lite liquidato dalla Corte di appello di Roma sarebbe al di sotto dei valori minimi individuati dal D.M. n. 55 del 2014 e dalle relative Tabelle poiché per il procedimento monitorio sarebbe previsto un importo minimo di Euro 675,00 e per il giudizio di opposizione innanzi alla medesima Corte di appello sarebbe previsto un importo minimo di Euro 236,00. La Corte avrebbe, dunque, dovuto condannare il Ministero al pagamento delle spese di lite per un importo complessivo di Euro 1.552,50 ovvero di Euro 984,91.

Le censure, che possono essere trattate congiuntamente vertendo entrambe sulla liquidazione delle spese di lite, sono infondate.

Questa Corte ha già chiarito (v. Cass. 22 dicembre 2016 n. 26851) che l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass. n. 19348 del 2015; analogamente, Cass. n. 20463 del 2015). Il tutto avviene a (quasi) perfetta somiglianza con il procedimento per decreto ingiuntivo (al cui archetipo il legislatore si è dichiaratamente ispirato), col quale il procedimento ex lege Pinto condivide una prima fase, che si svolge inaudita altera parte e che termina con la provocatio ad opponendum, e una seconda fase d’opposizione, caratterizzata da un contraddittorio pieno e da una cognizione esaustiva.

Quest’ultima termina con un provvedimento che ha carattere sostitutivo del decreto emesso in sede monitoria solo se ed in quanto l’opposizione sia accolta in tutto o in parte. In tal caso, infatti, l’esito dichiarativo finale è difforme dall’accertamento compiuto con il decreto opposto, che pertanto va necessariamente revocato. Di riflesso, sostituendosi a quest’ultimo il decreto collegiale quale unica statuizione di merito, viene meno anche il capo relativo alle spese liquidate in favore della parte istante e poste a carico di quella erariale ai sensi dell’ultima parte della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5. Spese che, pertanto, devono essere (non più semplicemente liquidate ma) regolate a misura dell’intera vicenda processuale e non soltanto della fase d’opposizione, in base al criterio di soccombenza e mediante una valutazione complessiva del procedimento di equa riparazione.

Al pari dell’opposizione a decreto ingiuntivo (sulle cui spese per l’ipotesi di accoglimento v. Cass. n. 19120 del 2009), anche il giudizio inscenato ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter costituisce una struttura procedimentale essenzialmente unitaria. E dunque, in caso di accoglimento dell’opposizione deve essere altrettanto indivisibile la statuizione sulle spese (salvo il giudice dell’opposizione le regoli diversamente secondo le due fasi, solo per esprimere una consapevole tecnica di compensazione totale o parziale).

Il quadro appena delineato muta radicalmente se, invece, l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter è respinta, poiché il decreto monocratico sopravvive tanto nel suo contenuto dichiarativo quanto nel capo che liquida le spese. Con la conseguenza che il regolamento che ne segue in sede di opposizione, non potendo riguardare anche le spese, ormai intangibili, della fase monitoria, è ulteriore e autonomo.

Solo che a differenza dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., le cui spese in caso di rigetto non possono essere stabilite in maniera contraddittoria rispetto al decreto ingiuntivo, dato il principio per cui la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata a pagare neppure una frazione delle spese (giurisprudenza costante: cfr. per tutte e fra le tante, Cass. n. 15317 del 2013), l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter non accolta può legittimamente condurre a un tale esito.

Si consideri che l’opposizione può essere attivata sia dalla parte erariale, che subisce l’ingiunzione di cui al decreto pronunciato ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, sia da quella privata insoddisfatta da tale provvedimento, nel qual caso l’opposizione è necessitata dalla non riproponibilità della domanda (L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6). Quest’ultima ipotesi s’invera allorché il decreto monocratico abbia respinto in toto ovvero abbia accolto parzialmente la domanda d’equa riparazione, escludendo una o più voci di danno o liquidandole in misura inferiore al richiesto.

Su tale premessa positiva, questa Corte ha già avuto occasione di affermare il principio secondo cui l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter della parte privata insoddisfatta dall’esito della fase monitoria ha carattere pretensivo, a differenza di quella erariale che ha sempre e solo natura difensiva (cfr Cass. n. 26851 del 2016 cit.). Pertanto, salvo l’ipotesi di opposizione incidentale, il Ministero opposto, avendo prestato acquiescenza al decreto emesso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, affronta un giudizio che non aveva interesse a provocare e del quale, se vittorioso, non può sopportare le spese.

Di conseguenza queste ultime nel caso di rigetto dell’opposizione vanno regolate in maniera del tutto autonoma, anche a carico integrale della parte privata opponente, ancorché essa abbia diritto a ripetere quelle liquidate nel decreto monocratico che abbia accolto solo parzialmente la domanda di equa riparazione.

L’affermata unitarietà del procedimento della L. n. 89 del 2001 e il suo esito finale allorché, come nel caso in oggetto, resti comunque accertata la responsabilità dello Stato per la durata irragionevole del giudizio presupposto, non consentono di evocare, in funzione di contrasto, il principio per cui la parte vittoriosa non può soggiacere al pagamento delle spese sostenute da quella soccombente, con la conseguenza che la tutela del diritto all’equa riparazione non resta monca, ma soddisfatta dalle spese della fase monitoria; il di più provocato da un’opposizione infondata è correttamente posto a carico della parte opponente, salvo ricorrano ipotesi di compensazione ai sensi dell’art. 92, cpv. c.p.c.

Ed è ciò che ha fatto la Corte territoriale nella specie, allorché proposta opposizione dalla parte privata rimasta insoddisfatta dall’esito della fase monitoria e, dunque, con carattere pretensivo, ha ritenuto di compensale le spese di giudizio di opposizione.

Di converso per quanto riguarda la fase monitoria, in base al criterio della soccombenza, a misura dell’intera vicenda processuale, essendo stato individuato lo scaglione dalla stessa difesa fino ad Euro 5.200,00, applicando la massima riduzione ai singoli importi spettanti per ciascuna voce, ai sensi del citato D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, si perviene al riconoscimento della somma totale di Euro 362,25 (così computata: Euro 67,50 per la fase di studio della controversia (a fronte di Euro 135,00 come importo medio ordinario); Euro 67,50 per la fase introduttiva del giudizio (a fronte di Euro 135,00 quale importo medio ordinario); Euro 51,00 per la fase istruttoria (e non Euro 119,00, come richiesto dal ricorrente, computando l’importo liquidato quale risultante per effetto della riduzione del 70% – applicabile per tale voce rispetto alla somma ordinaria prevista in tabella di Euro 170,00); Euro 100,00 per la fase decisionale (a fronte di Euro 200,00 quale importo medio ordinario)), liquidato il maggiore importo di Euro 450,00 “evidentemente tenendo conto anche della pluralità dei ricorrenti (v. pag. 2 del provvedimento impugna to).

In conclusione, il ricorso va respinto.

In assenza di difese svolte dalla parte erariale, nessuna pronuncia sulle spese.

Non vi è l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato (v. D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 e Cass., Sez. Un., 28 maggio 2014 n. 11915).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

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