Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25957 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2021, (ud. 05/03/2021, dep. 24/09/2021), n.25957

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7789-2019 proposto da:

D.L., D.P., D.G., in proprio e quali

figlie ed eredi di D.D., C.S., C.I., in

proprio e quali figlie ed eredi di D.I., elettivamente

domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato GIANDOMENICO

DANIELE;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. cronol. 1460/2018 della CORTE D’APPELLO di

FIRENZE, depositato l’01/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

FALASCHI MILENA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Firenze, con decreto n. 146/2018 depositato il 1 agosto 2018, in accoglimento dell’opposizione proposta dal Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter, avverso il decreto del magistrato designato che accogliendo la domanda di equa riparazione formulata da D.G., D.L., D.P., C.S. e C.I., quest’ultime in proprio e in qualità di eredi di D.I., a sua volta figlia ed erede di D.D., liquidava l’indennizzo in complessivi Euro 3.733,33 e in Euro 700,00 le spese del procedimento, ritendo fondata l’eccezione spiegata dall’Amministrazione ad avviso della quale nulla spettava alle ricorrenti a titolo di indennizzo per il giudizio pensionistico di guerra introdotto, rispettivamente, dal padre e dal nonno dinanzi alla Corte dei Conti, Sez. giur. Toscana con ricorso del 03.06.1969 dichiarata l’interruzione del processo con provvedimento del 03.08.1999, per manifesta infondatezza della domanda azionata nel giudizio presupposto L. n. 89 del 2001, ex art. 2, comma 2, come si evinceva delle medesimo motivazioni del provvedimento definitorio.

Avverso il decreto della Corte di appello fiorentina propongono ricorso per cassazione le D. e le C., fondato su due motivi, cui resiste il Ministero intimato con controricorso.

La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel senso della fondatezza del ricorso, è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Atteso che:

– con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, censurando il decreto impugnato nella parte in cui la corte d’appello, con motivazione contraddittoria e non aderente al quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, ha qualificato come temeraria la lite sottesa al procedimento presupposto.

Il motivo è fondato.

Occorre precisare che la manifesta infondatezza delle pretese delle ricorrenti, attualmente rilevante ai fini del rigetto della domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 2 quinquies, come modificata dalla L. stabilità 2015, art. 1, comma 777, è stata ritenuta dalla Corte distrettuale sulla base delle argomentazioni svolte dalla Corte dei Conti nella sentenza n. 39 del 2016 circa la non spettanza di alcun emolumento al reduce per mancata presentazione della domanda nel termine di cinque anni dalla cessazione del servizio di guerra.

Orbene in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass. SU n. 1338 del 2004; Cass. n. 24696 del 2011; Cass. n. 53 del 2016).

In caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione non è condizionato dalla scarsa entità della posta in gioco, salvo che la parte non abbia promosso una lite temeraria o non abbia abusato del processo (Cass. n. 15905 del 2015; Cass. n. 23721 del 2015). Non influisce sulla configurabilità di un danno non patrimoniale il fatto che la controversia irragionevolmente protrattasi abbia avuto esito sfavorevole, se non nei casi in cui sia ravvisabile un vero e proprio abuso del processo, configurabile allorquando risulti che il soccombente abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui alla citata L. n. 89 del 2001 (Cass. n. 53 del 2016): la configurabilità del danno risarcibile ai sensi della L. n. 89 del 2001, non può essere, infatti, esclusa in ragione dell’esito sfavorevole del giudizio, a meno che dagli atti processuali non risulti la prova che la parte, che richiede il risarcimento del danno, abbia proposto una lite temeraria al solo fine di conseguire la irragionevole durata del giudizio, mentre la mera consapevolezza della scarsa probabilità di successo dell’iniziativa giudiziaria è irrilevante al fine di escludere il diritto al risarcimento del danno, potendo semmai rilevare ai fini della quantificazione. Nel caso di specie, non risulta dal decreto impugnato che l’Amministrazione abbia fornito la prova, cui è onerata, di fatti dai quali poter ragionevolmente desumere la volontà delle ricorrenti (e prima di loro da parte del loro dante causa) di precostituire, con la loro iniziativa giudiziaria, il presupposto per un’azione ai sensi della L. n. 89 del 2001 (Cass. n. 17572 del 2015), non potendo al riguardo essere adeguato il richiamo alle sole argomentazioni spese nel provvedimento conclusivo del giudizio presupposto allorché non sia stata in detta sede valutata espressamente la temerarietà della lite.

Il diritto all’equa riparazione per la durata irragionevole del processo spetta a tutte le parti a prescindere dal fatto che esse siano vittoriose o soccombenti (Cass. n. 11828 del 2015) e la manifesta infondatezza della pretesa azionata nel giudizio presupposto non costituisce, di per sé, condizione idonea ad escludere il diritto all’indennizzo (Cass. n. 9505 del 2016), a meno che non si tratti di lite temeraria, e cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto o sulla base di una pretesa di puro azzardo, ovvero di causa abusiva, che ricorre allorché lo strumento processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti della mera pendenza della lite: solo se qualificata dal requisito ulteriore di temerarietà o di abusività la domanda manifestamente infondata osta al riconoscimento di un’equa riparazione (Cass. n. 18837 del 2015), come, del resto, ha stabilito la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, a tenore del quale “non è riconosciuto alcun indennizzo: a) in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’art. 96 c.p.c.; (…)”. Ne’ la sopravvenuta consapevolezza della infondatezza della domanda e’, di per sé, idonea a giustificare la esclusione in radice del diritto all’equa riparazione: una situazione soggettiva scevra da ogni ansia derivante dall’incertezza dell’esito della lite può, infatti, essere originaria o sopravvenuta, secondo che la consapevolezza del proprio torto da parte dell’attore preesista alla causa ovvero intervenga nel corso di questa, per effetto di circostanze nuove che rendano manifesto il futuro esito negativo del giudizio. In quest’ultimo caso, pur non potendosi configurare una fattispecie di lite propriamente temeraria, per l’iniziale buona fede della parte attrice, la reazione ansiogena su cui si fonda il diritto all’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 è da escludersi a decorrere dal momento in cui la parte stessa acquisisce tale consapevolezza, facendo venir meno da allora in poi il diritto all’indennizzo per la successiva irragionevole durata della causa (cfr. Cass. n. 4890 del 2015). Il decreto impugnato non ha fatto buon governo dei predetti principi e dev’essere, quindi, cassato.;

– il secondo motivo – con il quale è lamentata la violazione c/o la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 quanto alla declamata compensazione delle spese processuali – va ritenuto assorbito dall’accoglimento del primo mezzo vertendo su accessoria rispetto alla definizione nel merito del ricorso per equo indennizzo.

In definitiva, deve essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Il provvedimento impugnato va, pertanto, cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, che provvederà a riesaminare la domanda di equo indennizzo e regolamenterà anche le spese relative al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

 

 

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