Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25955 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2021, (ud. 05/03/2021, dep. 24/09/2021), n.25955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24487-2018 proposto da:

F.A., già socio accomandatario della A.F.

& FIGLI SAS, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SALVATORE CINNERA MARTINO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. cronol. 91/2018 della CORTE D’APPELLO di

MESSINA, depositato il 31/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Messina, con decreto n. 91/2018, respingeva l’opposizione proposta da F.A. nella qualità di socio accomandatario della A.F. & Figli s.a.s. avverso il decreto del Magistrato designato – emesso in data 20.06.2017 – che aveva rigettato la sua domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, in quanto insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo per essere il giudizio presupposto durato in unico grado 5 anni, e mesi e 10 giorni, tempo ritenuto comunque congruo ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 ter, al pari di quanto ritenuto dal primo giudice.

Avverso il decreto della Corte di appello di Messina il F. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per fondatezza del primo motivo, assorbito il secondo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-ter, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, rilevandosi che la costante giurisprudenza del giudice di legittimità ha riaffermato che il termine di cui al comma in esame si applichi solo nel caso in cui il processo presupposto si sviluppi in più gradi, non emergendo dalla lettura del decreto impugnato seri elementi per discostarsi da tale conclusione.

Il motivo è fondato.

La decisione impugnata risulta, infatti, avere aderito ad un’interpretazione delle norme in tema di equo indennizzo in evidente contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte.

Ebbene, a fronte di un procedimento presupposto esauritosi in un unico grado, come peraltro puntualmente sottolineato nel ricorso con il richiamo a numerosi precedenti di questa Corte, deve ribadirsi che (Cass. n. 23745 del 2014), la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2 ter, secondo cui detto termine si considera comunque rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, costituisce norma di chiusura che implica una valutazione complessiva del giudizio articolato nei tre gradi, e non opera, perciò, con riguardo ai processi che si esauriscono in unico grado (conf. Cass. n. 19175 del 2015).

Trattasi peraltro di interpretazione della norma che ha ricevuto anche il conforto da parte del giudice delle leggi che ha ritenuto (Corte Cost. n. 208/2016) essere inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale della L. 24 marzo 2001 n. 89, art. 2, comma 2-ter, censurato per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 111Cost., comma 2, e dell’art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione alla CEDU, artt. 6 e 13, in quanto stabilisce che si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni, nella parte in cui si applica ai procedimenti previsti dalla L. n. 89 del 2001, ritenendo in motivazione che il termine di sei anni indicato dalla norma impugnata si applica ai soli procedimenti che in concreto si siano svolti in tre gradi di giudizio, al fine di compensare l’eccessiva protrazione di una fase con la maggiore celerità di un’altra.

Trattasi di precisazione quest’ultima che dà anche contezza della sostanziale infondatezza delle argomentazioni spese dalla difesa del Ministero in controricorso, posto che la norma prevedente il sessennio si giustifica proprio al fine di consentire una compensazione, nei limiti del detto arco temporale, tra una durata per un grado eccedente il limite dettato dalla norma con una durata inferiore in altro grado, ma senza la possibilità di estendere lo stesso al caso qui ricorrente di giudizio esauritosi in un unico grado.

Ne’ appaiono risolutive le considerazioni sviluppate dalla Corte distrettuale quanto all’eterogenità dei tempi di durata. Infatti, il riferimento all’irrevocabilità del comma 2-ter, non può indurre a ritenere che ai fini del computo dei sei anni non debba tenersi conto delle diverse fasi, essendo tale esegesi chiaramente contrastata ora dal novellato comma 2-quater, che espressamente prevede che “Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa”, con una disposizione quindi che appare riferibile a tutte le ipotesi in cui debba provvedersi al riscontro del rispetto del termine della durata ragionevole, e quindi anche del caso di cui al comma 2-ter.

Tale ultima previsione piuttosto, ribadita la sua invocabilità nei soli casi in cui il processo si articoli in più gradi, imponeva che il giudizio fosse stato definito con provvedimento irrevocabile (essendo tale limite venuto ormai meno a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale), essendo però sempre necessario detrarre, al fine della verifica del rispetto del sessennio, i periodi temporali di cui al comma 2-quater.

Nella fattispecie, già avuto riguardo al solo lasso di tempo trascorso tra la data del deposito del ricorso introduttivo del giudizio presupposto e quella di adozione della sentenza del Tribunale si palesava una durata del processo superiore al termine triennale;

– il secondo motivo – con il quale è lamentata la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, quanto alla declamata compensazione delle spese processuali – va ritenuto assorbito dall’accoglimento del primo mezzo vertendo su accessoria rispetto alla definizione nel merito del ricorso per equo indennizzo.

In definitiva, deve essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Il provvedimento impugnato va, pertanto, cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Messina in diversa composizione, che provvederà a riesaminare la domanda di equo indennizzo e regolamenterà anche le spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Messina in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 5 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

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