Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25955 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. II, 16/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 16/11/2020), n.25955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 23738-2019 proposto da:

B.H.N., rappresentato e difeso dall’Avvocato Massimiliano

Orrù;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna n.

1920/2019 del 18 giugno 2019.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Giusti Alberto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – B.H.N., cittadino della Tunisia, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna il provvedimento, notificatogli il 25 ottobre 2016, con cui la Commissione territoriale di Bologna, sezione distaccata di Forlì-Cesena, gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale.

Il Tribunale di Bologna, con ordinanza depositata in data 9 febbraio 2018, ha rigettato il ricorso.

2. – La Corte d’appello di Bologna, con sentenza in data 18 giugno 2019, ha rigettato il gravame di B.H.N.. La Corte di Bologna ha sottolineato che le vicende personali narrate dal cittadino tunisino (l’essere fuggito dal proprio paese a seguito dei problemi avuti con il padre della moglie, il quale non aveva accettato la relazione, stante la differente situazione economica delle due famiglie, e aveva minacciando di ucciderlo nel caso in cui non fosse cessato il rapporto), non possono essere qualificate come atti persecutori. La Corte d’appello ha poi rilevato che le dichiarazioni rese non sono tali da poter sostenere che l’interessato abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda. Negati i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, la Corte di Bologna ha escluso la ricorrenza delle condizioni per la concessione del permesso umanitario. Il permesso umanitario – ha sottolineato la Corte d’appello – può essere accordato per porre rimedio ad una situazione temporanea di impossibilità di rientro nel paese di origine, laddove nel caso di specie non emergono ragioni di tutela temporanea dello straniero; inoltre, nel caso di specie B.H.N. non ha presentato la domanda di protezione umanitaria il prima possibile e non ha addotto alcun giustificato motivo per il ritardo: difatti, la domanda è stata avanzata soltanto sette anni dopo il suo arrivo in Italia al solo fine di evitare gli effetti del provvedimento di espulsione a suo carico.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna B.H.N. ha proposto ricorso, con atto notificato il 25 luglio 2019, sulla base di un motivo.

L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo (violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35) B.H.N. si duole che la Corte d’appello non abbia ritenuto sussistenti le condizioni per l’ottenimento della protezione umanitaria. Il ricorrente evidenzia che la protezione umanitaria, diversamente dalla protezione per rifugiati e dalla protezione sussidiaria, non prevede delle condizioni tipiche per il suo riconoscimento, ma ha un carattere aperto. Il ricorrente osserva che è necessario per il giudice del merito mettere a confronto la storia personale del ricorrente e la situazione del suo Paese di origine, ma anche valutare l’integrazione sociale sul suolo italiano, profilo, quest’ultimo, che, benchè non dotato di valore esclusivo, è rilevante per la determinazione della vulnerabilità individuale e concorre quindi con gli altri requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Il ricorrente sottolinea che il suo Paese di origine vive in uno stato di continua emergenza e di terrore, con pieni poteri alla polizia per controllare le piazze e con un popolo giovane che non riesce a trovare lavoro. Dai fatti di causa emergerebbe che il ricorrente è integrato in Italia dal punto di vista sociale e lavorativo, avendovi svolto regolare attività, ed inoltre ha il principale legame familiare nel nostro Paese, dove vive da tempo con la moglie. Un eventuale rimpatrio forzato esporrebbe il ricorrente a condizioni di vita non dignitose e dunque non rispettose dei suoi diritti fondamentali.

2. – Preliminarmente il Collegio osserva che il ricorso per cassazione è stato notificato al Ministero dell’interno presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato anzichè presso l’Avvocatura generale dello Stato.

Essendo tale notifica nulla (Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2015, n. 608), se ne dovrebbe disporre la rinnovazione presso l’Avvocatura generale dello Stato.

Sennonchè, essendo l’unico motivo di ricorso prima facie inammissibile per le ragioni che andranno ad esporsi, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione della notifica nulla, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (Cass., Sez. II, 21 maggio 2018, n. 12515; Cass., Sez. VI-3, 17 giugno 2019, n. 16141).

3. – L’unico motivo di ricorso è inammissibile.

In ordine alla protezione umanitaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte la valutazione deve essere autonoma, nel senso che il diniego di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non può conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti (Cass., Sez. I, 23 gennaio 2020, n. 1511).

Nella specie la Corte d’appello – dopo avere premesso che il riconoscimento della protezione umanitaria è connesso alla ricorrenza di seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano – ha escluso l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità con idonea motivazione, valutando le allegazioni del richiedente.

Nel contestare la valutazione compiuta, sul punto, dalla Corte territoriale, il motivo di ricorso, per un verso, espone la “situazione socioeconomica e politica del Paese del ricorrente, la Tunisia, in modo da chiarire… le preoccupazioni per la propria vita manifestate in più occasioni dal Sig. B.H. in caso di ritorno in Patria”, sostenendo che “il Paese vive in un continuo stato di emergenza, con pieni poteri alla polizia per controllare le piazze e alla base di questo clima di terrore vi è un popolo giovane che non riesce a trovare lavoro”, e, per l’altro verso, afferma che “dai fatti di causa emerge che il ricorrente è pienamente integrato in Italia dal punto di vista sociale lavorativo avendo svolto regolare attività”.

Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.

In primo luogo perchè esso censura un apprezzamento di fatto, quale è lo stabilire se un individuo si trovi in condizioni di vulnerabilità (Cass., Sez. I, 6 aprile 2020, n. 7729).

In secondo luogo perchè il motivo non indica, nel rispetto delle prescrizioni formali dettate dall’art. 366 c.p.c., n. 6, quali sarebbero le fonti di prova sul percorso di integrazione sociale sul suolo italiano compiuto da B.H.N. che, se correttamente valutate, avrebbero dovuto condurre la Corte d’appello ad una diversa decisione.

In terzo luogo perchè la censura non attinge la ratio con cui la Corte di Bologna affida la statuizione di rigetto, tra l’altro, al rilievo che “l’appellante non ha presentato la domanda di protezione umanitaria il prima possibile e non ha addotto alcun giustificato motivo per il ritardo” e che “la domanda è stata avanzata ben sette anni dopo il suo arrivo in Italia al solo fine di evitare gli effetti del provvedimento di espulsione a suo carico”.

4. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, essendo il Ministero rimasto intimato.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1-quater, del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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