Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25954 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep.15/12/2016),  n. 25954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22726/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA

LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato MAURO VAGLIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VITTORIO PICECI, giusto mandato

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1655/24/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI BARI – DISTACCATA DI LECCE, emessa il 19/03/2014 e

depositata il 16/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA VELLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

1. In fattispecie relativa ad avviso di accertamento Irpef 2005, con il primo motivo di ricorso l’amministrazione finanziaria lamenta l’assoluta carenza di motivazione, sotto forma di “motivazione apparente in violazione dell’art. 132 c.p.c.” e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, “in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, per avere la C.T.R. acriticamente recepito le conclusioni dei giudici di prime cure, senza dar conto delle contestazioni mosse dall’appellante e facendo criptico riferimento ad una “speciale condizione” della ditta individuale, della società e dei soci, senza indicare come essa avrebbe integrato la prova contraria rispetto alla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili della società “LAP srl” – a ristretta base azionaria e familiare – ai soci, tra i quali il controricorrente M.C. (al 70%).

2. La censura è fondata.

3. Il giudice d’appello si limita invero a rilevare che “la Guardia di Finanza redigeva il p.v.c. nei confronti della LAP e dei soci M.C. e M.V.F. traendo occasione dalla visita ispettiva presso la ditta individuale LAP EUROBORSE di F.M.A., moglie di M.C. e madre di M.V.F., disposta dalla Prefettura di Brindisi in relazione all’istanza di accesso al Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura”, per poi aggiungere che “a M.C. e F.M.A. (moglie convivente) venivano concessi i benefici di cui alla L. n. 44 del 1999, art. 20 (provvedimento del Prefetto di Brindisi del 04/03/2007), entrambi soggetti passivi del delitto di usura, accertato in sede di indagini preliminari dai periti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi”, e quindi concludere: “data la speciale condizione in cui versava la ditta individuale, la società ed i soci, questo Collegio non può che rigettare l’appello dell’Ufficio e confermare la sentenza impugnata”.

4. Una simile motivazione risulta meramente apparente poichè, senza alcun richiamo (anche nello svolgimento del processo) ai contenuti della sentenza di primo grado – cui dichiara tout court di “uniformarsi” – il giudice d’appello si limita a segnalare la “speciale condizione” suddetta, di cui nemmeno indica l’efficacia causale, non risultando in alcun passaggio motivazionale in che modo, ovvero in quale misura, l’essere ritenuto (in base ad indagini preliminari) soggetto passivo del delitto di usura integri quella “prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa investiti”; prova peraltro ritenuta necessaria dallo stesso giudicante, come poco prima si legge nella sentenza impugnata.

5. Resta quindi ferma la valenza della presunzione, fondata sul D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, che il socio e legale rappresentante M.C. abbia percepito le somme rinvenienti dagli utili societari occulti, sottraendole alla imposizione (la quale evidentemente prescinde dal successivo utilizzo, a valle, dei redditi, una volta che essi siano stati conseguiti dal contribuente; nè risultano esenzioni fiscali tra i benefici disposti, a favore delle persone offese, in seno alla legislazione speciale sull’usura).

6. Restano assorbite le ulteriori censure con le quali l’amministrazione ricorrente denuncia anche la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, L. n. 44 del 1999, art. 20, artt. 2263, 2727 e 2729 c.c. (secondo motivo) e dell’art. 293 c.p.c. (terzo motivo), nonchè l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (quarto motivo).

7. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo e compiutamente motivato esame.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. Puglia – sez. distaccata di Lecce, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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