Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25953 del 31/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 31/10/2017, (ud. 05/04/2017, dep.31/10/2017),  n. 25953

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6527/2012 proposto da:

Z.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato SABINA

CICCOTTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CHRISTIAN LUCIDI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CONAD ADRIATICO S.C.A.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G. FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato DINO VALENZA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO DI TEODORO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 82/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 08/03/2011 R.G.N. 298/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CHRISTIAN LUCIDI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza dell’8 marzo 2011, la Corte d’Appello di Ancona, investita della cognizione degli appelli proposti avverso le decisioni del Tribunale di Ascoli Piceno, riuniti i ricorsi, rigettava le domande proposte con i predetti distinti ricorsi, da Z.C. nei confronti della CONAD Adriatica Soc. coop. a r.l. aventi ad oggetto, quanto al primo ricorso, la conversione a tempo indeterminato del rapporto originariamente costituito, dapprima, per il periodo dal 19.11.2001 al 5.1.2002, sulla base di un contratto a termine e successivamente, a decorrere dal 17.1.2002)sulla base di un contratto di formazione e lavoro, per l’espletamento di identiche mansioni di magazziniere e la condanna della Società al pagamento delle differenze retributive maturate, tenuto anche conto della superiore qualifica spettantegli nonchè, quanto al secondo ricorso, l’annullamento del licenziamento intimatogli il 3.8.2007, con applicazione della tutela reale L. n. 300 del 1970, ex art. 18 o, alternativamente, la condanna della Società al risarcimento del danno per l’illegittima esclusione dalla procedura di mobilità nonchè la condanna della medesima alle retribuzioni relative al periodo successivo alla prima sentenza.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non provato il possesso da parte del lavoratore, all’atto della stipula del CFL, di una qualificazione professionale sufficiente ad escludere la sussistenza della causa specifica del predetto contratto; provato, viceversa, il completo svolgimento dell’addestramento previsto mediante l’apposizione da parte del lavoratore della propria firma risultata autentica all’esito dell’accertamento richiesto in via incidentale, da ritenersi rilevante, ove anche la sottoscrizione, avente valore confessorio, si dovesse intendere frutto di errore tale da giustificare la “revoca” della confessione stessa, per non essere stata di tanto offerta da parte del lavoratore dimostrazione alcuna – in calce ad un apposito modulo predisposto dal datore di lavoro, firma preclusiva dell’apprezzamento dell’esito contrastante delle prove testimoniali; di conseguenza insussistente il diritto all’inquadramento ab initio nella qualifica “in uscita”; non dovute le relative differenze retributive; legittimo il licenziamento; priva di titolo la spettanza delle retribuzioni maturate successivamente alla prima sentenza oggetto di riforma.

Per la cassazione di tale decisione ricorre lo Z., affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, la Società.

Diritto

RAGIONI DELLA DECSIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare il vizio di motivazione, lamenta a carico della Corte territoriale la carenza argomentativa del convincimento espresso in ordine al valore confessorio della sottoscrizione del modulo attestante lo svolgimento del previsto addestramento.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414,1417,2721,2722,2723,2729,2730,2732 e 2735 c.c., artt. 115 e 421 c.p.c., in relazione all’art. 2094 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3, il ricorrente deduce la non conformità a diritto del ritenuto effetto preclusivo della confessione rispetto al ricorso a qualsiasi altro mezzo istruttorio, anche disposto d’ufficio in esercizio dei poteri istruttori del giudice, ai fini dell’accertamento del fatto oggetto della confessione. Il vizio di motivazione è prospettato nel terzo motivo in relazione all’insufficiente considerazione degli elementi di prova acquisiti in relazione al valore professionale delle mansioni svolte nel corso dell’instaurato rapporto a termine rispetto a quelle previste nel successivo CFL.

Con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 216 c.p.c., il ricorrente lamenta la non conformità a diritto della sancita ammissibilità dell’istanza di verificazione della firma del lavoratore, da ritenersi, viceversa, tardiva, non potendosi considerare quell’istanza insita nella dichiarata volontà di avvalersi in ogni caso del documento contestato.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 437 c.p.c., imputando alla Corte territoriale di essersi pronunziata non in conformità con le domande ed eccezioni proposte dalle parti, non avendo la Società mai sostenuto la natura confessoria del documento relativo all’espletato addestramento.

I cinque motivi su cui si articola la proposta impugnazione, pur se sotto diversi profili – che vanno dall’ammissibilità stessa dell’istanza di verificazione della firma apposta dal ricorrente sul documento attestante lo svolgimento della formazione teorica implicata dal CFL, all’attribuzione di valore confessorio a quella sottoscrizione rivelatasi autentica, all’estraneità di tale profilo della questione rispetto alla prospettazione che della stessa le parti hanno offerto in giudizio, all’effetto preclusivo della confessione rispetto alla considerazione degli ulteriori elementi di prova, alla conseguente omessa valutazione degli stessi – si rivelano tutti evidentemente volti a censurare il rilievo decisivo che nell’iter valutativo della Corte territoriale ha assunto la verifica, disposta dallo stesso giudice del gravame, dell’autenticità della disconosciuta firma apposta dal lavoratore in calce al documento attestante l’espletamento della prevista formazione, ma è a dirsi come una tale impostazione del giudizio sia in realtà riferibile allo stesso ricorrente, che ha incentrato la sua difesa, tesa a dimostrare il carattere fittizio della forma contrattuale attribuita al rapporto, appunto sulla falsità della sottoscrizione della scheda relativa all’attività formativa e, in seconda battuta, una volta accertata l’autenticità di quella, sulla mancanza di consapevolezza di quanto sottoscritto con l’apposizione contestuale di tutte le “firme”, sicchè la contestazione qui mossa al ragionamento della Corte territoriale – che dalla smentita di quelle difese, cui è pervenuta attraverso il ricorso, invero necessitato, a fronte del disconoscimento della firma da parte del ricorrente, alla verifica della stessa, trae argomento per desumere l’essere stata la formazione effettivamente impartita e, così, realizzata la causa del contratto di formazione e lavoro concluso tra le parti, non senza precisare, al di là del valore confessorio attribuito alla sottoscrizione, la non significatività delle contrastanti testimonianze raccolte sul punto nel giudizio di primo grado – contestazione, per di più, non supportata da alcun riferimento concreto ad elementi di prova significativi sotto il profilo della carenza logico-giuridica del libero apprezzamento del giudice e che appare frutto di un repentino quanto tardivo e comunque inconsistente mutamento di linea difensiva, rivelandosi l’impugnazione nel suo complesso del tutto infondata.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2017

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