Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25953 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. I, 05/12/2011, (ud. 04/11/2011, dep. 05/12/2011), n.25953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25150/2009 proposto da:

M.M. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di

procuratore speciale di MA.AL., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA RODI 32, presso l’avvocato CHIOCCI MARTINO

UMBERTO, rappresentato e difeso dall’avvocato BALDINELLI Giancarlo,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

26/02/2009; n. 448/08 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/11/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che M.M. – quale procuratore speciale di M. A., con ricorso dell’11 novembre 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Firenze depositato in data 26 febbraio 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del M. nella predetta qualità – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha chiesto la reiezione della domanda -, ha respinto il ricorso;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 5.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 9 giugno 2008 – era fondata sui seguenti fatti: a) l’odierno ricorrente era stato sottoposto a procedimento penale, per maltrattamenti in famiglia, promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia a seguito di querela presentata dalla moglie, B.C.; b) in data 11 giugno 2001 era stato notificato all’imputato il decreto di citazione a giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia; c) il procedimento era stato definito con sentenza di detto Tribunale in data 11 dicembre 2007;

che la Corte d’Appello di Firenze, con il suddetto decreto impugnato:

a) ha individuato la durata complessiva del processo presupposto in sei anni e sei mesi, cioè nel periodo dall’11 giugno 2001 (data della notificazione del decreto di citazione a giudizio) all’11 dicembre 2007 (data della definizione del processo penale), individuando altresì la durata ragionevole per la definizione dello stesso processo in tre anni; b) ha ritenuto che il periodo residuo di irragionevole durata, pari a tre anni e sei mesi, è addebitabile al comportamento dilatorio dell’odierno ricorrente; in particolare vanno detratti i periodi: “dalla udienza del 5 febbraio 2003 alla udienza del 29 settembre 2004 venivano disposti numerosi rinvii tutti richiesti dalle parti assumendo che pendevano trattative per la remissione delle querele; dal 18 luglio 2005 al 6 dicembre 2005 il rinvio era motivato da impedimento di uno degli imputati; dall’11 luglio 2006 al 3 dicembre 2006 il rinvio veniva determinato dall’astensione dell’avv. M.; dal 3 dicembre 2006 all’8 maggio 2007 i rinvii venivano determinati da richiesta della difesa.

Complessivamente pertanto, a fronte della durata del processo di sei anni e sei mesi, ben due anni dieci mesi e otto giorni costituiscono rinvii addebitabili all’imputato o comunque alla sua difesa e pertanto non risarcibili … . Se a tale periodo si aggiunge il periodo di tre anni di durata del giudizio, valutabile come corretta, ne consegue un ritardo nella pronuncia di pochi mesi, non apprezzabili sotto il profilo del danno esistenziale”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i tre motivi di censura vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di omessa motivazione: a) il computo della durata complessiva del procedimento penale presupposto, con l’erronea individuazione, come dies a quo, della data dell’11 giugno 2001, di notificazione del decreto di citazione a giudizio, anzichè della data del 30 ottobre 1997, nella quale il ricorrente era stato convocato presso la competente stazione dei Carabinieri per la identificazione, la elezione del domicilio e la scelta del difensore, ai sensi dell’art. 349 cod. proc. pen., con la conseguenza che detta durata è pari non a sei anni e sei mesi ma a dieci anni e due mesi (30 ottobre 1997-11 dicembre 2007); b) l’affermazione che, detratti dalla durata complessiva di sei anni e sei mesi quella ragionevole di tre anni e quella dei rinvii ingiustificati pari a due anni, dieci mesi ed otto giorni, “ne consegue un ritardo nella pronuncia di pochi mesi, non apprezzabili sotto il profilo del danno esistenziale”, mentre residua un periodo di otto mesi certamente indennizzabile;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che la censura sub a) è fondata;

che infatti, secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo penale, il dies a quo in relazione al quale valutare la durata del processo penale presupposto decorre dal momento in cui l’imputato ha conoscenza diretta dell’esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 22682 del 2010 e 27239 del 2009);

che, nella specie, come è incontestato tra le parti (il controricorrente non contesta infatti nè la relativa deduzione nè il fatto che la circostanza era già stata dedotta in sede di ricorso introduttivo del presente giudizio), l’odierno ricorrente, a seguito della proposizione di querela da parte della moglie per i reati di maltrattamenti in famiglia e di violazione degli obblighi di assistenza familiare – fu convocato dalla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 349 cod. proc. pen., per l’identificazione, l’elezione di domicilio e la nomina del difensore, in data 30 ottobre 1997;

che, conseguentemente, la Corte fiorentina, nell’individuare il diverso dies a quo dell’11 giugno 2001 (corrispondente alla data della notificazione del decreto di citazione a giudizio), è incorsa nel dedotto vizio di omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta (corrispondente ai primi due motivi);

che il terzo motivo del ricorso (corrispondente alla censura sub b) resta assorbito, perchè il ricorrente critica il decreto impugnato non già in relazione all’effettuata detrazione dalla durata complessiva del processo, in aggiunta ai tre anni di ragionevole durata, di ulteriori due anni, dieci mesi ed otto giorni ricondotti a comportamenti dilatori del ricorrente, ma esclusivamente il mancato riconoscimento dei residui otto mesi, ritenuti non indennizzabili tout court;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che il processo presupposto de quo è pacificamente iniziato in data 30 ottobre 1997 e si è concluso con la sentenza di proscioglimento del Tribunale di Perugia dell’11 dicembre 2007, durando complessivamente circa dieci anni e due mesi, con la conseguenza che – detratto il periodo di tre anni di ragionevole durata, nonchè di ulteriori due anni e dieci mesi per gli accertati e ingiustificati rinvii – la eccedenza irragionevole va determinata in quattro anni e quattro mesi circa;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che nella specie dunque, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va equitativamente determinato, per il ricorrente, in Euro 3.500,00 per i quattro anni e quattro mesi circa di irragionevole ritardo, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.030,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 380,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia al pagamento al ricorrente della somma di Euro 3.500,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.030,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 380,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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