Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25952 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. un., 16/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 16/11/2020), n.25952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sezione –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Lucio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9868-2019 proposto da:

I.G., I.C., IA.CA., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA LUIGI CANINA 6, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE GUERRASIO, rappresentate e difese

dall’avvocato GIOSUE’ DOMENICO MEGNA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona dei

rispettivi Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrenti –

per revocazione della sentenza n. 22753/2018 della CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, depositata il 25/09/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere TRICOMI IRENE.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Che la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 22753 del 2018, ha accolto il ricorso proposto dal Ministero della difesa e dal Ministero dell’interno nei confronti di I.C., I.C. e I.G., avverso la sentenza n. 1386/2012 della Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Con ordinanza interlocutoria del 17 gennaio 2018, la Sezione Lavoro di questa Corte, alla quale era stato assegnato il ricorso, aveva, infatti, rimesso il ricorso al Primo Presidente, perchè valutasse l’opportunità di assegnarlo alle Sezioni Unite, ravvisando una questione di massima di particolare importanza “quanto ai profili sistematici nonchè per le ricadute di forte impatto sociale ed economico che derivano dalla scelta di considerare quali superstiti delle vittime del dovere, ai sensi della L. n. 266 del 2005, commi 262 e 265, anche i fratelli e le sorelle non conviventi nè a carico della vittima al momento del suo decesso”.

3. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con la sentenza oggetto del ricorso per cassazione, aveva confermato la decisione del Tribunale di accoglimento della domanda proposta nei confronti delle suddette Amministrazioni da Ca., C. e I.G., sorelle di I.G., militare di leva comandato in missione di lancio con paracadute, rimasto vittima della sciagura aerea avvenuta nel tratto di mare della (OMISSIS).

Le ricorrenti, sorelle non conviventi nè a carico del militare al momento della sua morte, avevano chiesto il riconoscimento, quali superstiti di quest’ultimo vittima del dovere, ad essere inserite nell’apposito elenco di cui al D.P.R. n. 243 del 2006, art. 3, comma 3, al fine di fruire dei benefici previsti dalla normativa vigente.

4. Le Sezioni Unite con la sentenza n. 22753 del 2018 hanno ritenuto che la domanda di Ca., C. e I.G. non poteva trovare accoglimento, in quanto le stesse non erano conviventi o a carico.

In particolare, hanno affermato che il chiaro tenore letterale della L. n. 388 del 2000, art. 82, la cui portata applicativa costituiva oggetto specifico della questione posta dall’ordinanza interlocutoria, consentiva di escludere che le ricorrenti potessero rientrare nella nozione di superstiti accolta da detta norma e che, comunque, l’art. 82 citato fornisse la nozione di superstite valida al di fuori delle ipotesi da essa disciplinate e, dunque, in generale con riferimento alle vittime del dovere.

La norma, dunque, delineava una specifica categorie di vittime del dovere ovvero le vittime del dovere, rese invalide o decedute, per una particolare e ben specifica causa e cioè tali a causa di “azioni criminose” ed attribuisce ad esse ed ai familiari superstiti ivi indicati i benefici previsti per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

I citati elementi testuali non consentivano di trarre, come preteso dalle ricorrenti, un principio generale di estensione a tutte le vittime del dovere della nozione di superstite individuata dalla disposizione in esame.

5. Ia.Ca., I.C. e I.G. hanno proposto ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391-bis e art. 395 c.p.c., n. 4, avverso la sentenza n. 22753 del 2018 della Corte a Sezioni Unite, prospettando che la stessa sarebbe incorsa in un evidente errore, rigettando la domanda, ritenendo inesistente un fatto la cui verità era positivamente stabilita, e cioè che i fratelli I. erano conviventi, ed esse ricorrenti erano a carico del fratello deceduto nel disastro aereo della (OMISSIS).

6. Le Amministrazioni si sono costituite con controricorso resistendo alla domanda e riportando stralcio della sentenza di appello nella quale si affermava: “La norma di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 82, comma 4, prevede l’erogabilità dei benefici in favore dei fratelli e sorelle anche se non conviventi e non a carico dei soggetti indicati alla L. n. 466 del 1980, art. 6, comma 1. Nella presente fattispecie, come osservato dal giudice di primo grado e non contestato nell’atto di gravame, non è controverso che le attuali parte appellate, in quanto germane non conviventi e non a carico, debbano subentrare nell’assenza dei congiunti… indicati dalla L. n. 466 del 1980, art. 6, comma 1”.

Proprio tale dato, aveva fatto venire in rilievo la questione, devoluta ed esaminata dalle Sezioni Unite, dell’ambito di applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 82, comma 4.

7. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, concludendo per la manifesta inammissibilità del ricorso, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

8. Non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Che con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 391-bis c.p.c., e art. 395 c.p.c., n. 4.

Le ricorrenti assumono che il rigetto della domanda amministrativa, da cui prendeva origine la controversia in esame, avveniva perchè l’evento in cui aveva trovato la morte il giovane militare non rientrava nella tipizzazione dei casi previsti dalla L. n. 266 del 2005, artt. 563 e 564, (come si leggeva nella sentenza di primo grado) e non per la mancanza dei requisiti di convivenza e dell’essere a carico, circostanza mai contestata dai Ministeri e acclarata dal giudice di primo grado.

L’omessa contestazione di tale dato sia nella fase amministrativa che nel giudizio di primo grado faceva sì che lo stesso fosse dato per provato, con la conseguenza che le doglianze relative alla mancanza della convivenza e della coabitazione introdotte per la prima volta in appello dalle Amministrazioni, non avrebbero potuto assumere alcun rilievo.

Le Sezioni Unite erano incorse in errore di fatto revocatorio evidente e decisivo sulla mancanza in capo alle ricorrenti delle condizioni, sorelle conviventi, per accedere al beneficio.

2. Il motivo è inammissibile.

3. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia incorsa in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Cass. n. 22868 del 2012).

La revocazione per l’errore di fatto presuppone sempre l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass. n. 26890 del 2019).

Non costituiscono invece vizi revocatori delle sentenze della Corte, ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 4, nè l’errore di diritto sostanziale o processuale, nè l’errore di giudizio o di valutazione (Cass., S.U., n. 30994 del 2017; Cass., S.U., n. 8984 del 2018).

4. Alla luce dei suddetti principi, la doglianza si appalesa priva dei requisiti predetti ed estranea all’ambito revocatorio.

Nel caso di specie, le ricorrenti prospettano un’erronea valutazione/giudizio nel processo di appello in ordine alla non contestazione, che vi sarebbe stata in primo grado da parte dei Ministeri convenuti, in ordine all’essere le stesse conviventi e/o a carico con il congiunto, rispetto alla successiva proposizione di motivo di appello sul punto da parte dei medesimi Ministeri, di talchè la sentenza delle Sezioni Unite n. 22753 del 2018 sarebbe viziata dall’errore su un fatto processualmente accertato e non contestato, senza il quale la pronuncia sarebbe stata diversa.

Tali essendo i termini della questione in questa sede proposta, appare evidente che – indipendentemente da ogni considerazione sull’adempimento degli oneri ex art. 366 c.p.c. – quel che si prospetta come errore revocatorio della Corte a Sezioni Unite è una contestazione della valutazione del giudice di appello in ordine alle difese delle parti che portava all’accertamento di fatto (sorelle non conviventi, nè a carico del fratello), che costituiva l’antefatto logico del riconoscimento del beneficio facendo applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 82.

Nè le parti ricorrenti prospettano che tale accertamento di fatto, sia pure nei limiti del giudizio di legittimità, sia stato devoluto all’esame della Corte nel giudizio in cui è interveniva la sentenza delle Sezioni Unite per cui è causa; nè, non avendo depositato memoria, hanno contestato il contenuto della parte della sentenza di appello riportato dalla difesa dello Stato nel controricorso.

5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

6. La complessità della vicenda processuale induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

7. Risulta dagli atti che il processo è esente dal versamento del contributo unificato e che non trova applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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