Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25948 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. un., 16/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 16/11/2020), n.25948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8315/2019 proposto da:

E.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 34,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PETRUCCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato RITA VIRGILI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso gli Uffici dell’Avvocatura

centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO

PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, e LIDIA CARCAVALLO;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI – SEZIONI

GIURISDIZIONALI CENTRALI D’APPELLO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 515/2018 della CORTE DEI CONTI – II SEZIONE

GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 29/08/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Rita Virgili e Sergio Preden.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’attuale ricorrente, segretario comunale collocato a riposo a domanda, in forza di determinazione della soppressa Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali, con decorrenza 1 ottobre 2003, titolare di pensione diretta, con la predetta decorrenza, definitivamente liquidata il 26 maggio 2005, ha adito la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Marche per ottenere l’applicazione della successiva determinazione dell’Agenzia, in data 17 ottobre 2008, che fissava la decorrenza del collocamento a riposo dal 1 settembre 2003, e per la riliquidazione del più favorevole trattamento pensionistico sulla base della retribuzione annua contributiva riferita al 31 agosto 2003.

2. L’anticipata cessazione dal servizio avrebbe indotto, ad avviso del richiedente, effetti favorevoli sulla misura della pensione giacchè dalla relativa base di calcolo sarebbe risultata espunta la retribuzione riferita al mese di settembre del 2003, nel corso del quale era stato collocato in disponibilità e non era più titolare di alcun incarico.

3. Il giudice territoriale adito, nella resistenza dell’INPS (nelle more del giudizio subentrato al soppresso INPDAP), ha accolto la domanda di riliquidazione della pensione, riconoscendo, sui ratei pensionistici arretrati, il maggior importo tra interessi e rivalutazione e, si legge nell’esposizione in fatto della sentenza impugnata, ha trasmesso gli atti alla competente Procura della Repubblica per l’eventuale accertamento di illeciti penali nell’adozione, da parte dell’Agenzia autonoma, della determinazione n. 1037 del 17 ottobre 2008, di modificava del provvedimento del 2003 con rifissazione della decorrenza del collocamento in pensione dal 1 settembre 2003.

4. La Corte dei Conti, decidendo sul gravame principale svolto dall’INPS e incidentale svolto dall’ E., accoglieva il motivo di gravame svolto dall’ente previdenziale e riteneva immodificabile il trattamento di quiescenza per decorso del termine triennale dal provvedimento di concessione della pensione definitiva (emesso il 28 maggio 2005 e ricevuto dall’interessato il 21 giugno 2005) e inapplicabile la disciplina prevista per la revoca o modifica del trattamento pensionistico definitivo (in particolare, della L. n. 315 del 1967, art. 26, comma 2, lett. c), per il quale rilevano i documenti non esaminati all’atto del conferimento del trattamento pensionistico definitivo), a fronte di provvedimenti successivi alla definizione del trattamento definitivo del pensionato; riteneva, inoltre, priva di rilievo, per la soluzione della controversia, la richiesta all’Agenzia autonoma (in data 4 luglio 2005), di modifica della data di collocamento a riposo (al 1 settembre 2003) senza peraltro invocare, o richiedere all’INPDAP, la modifica del definitivo trattamento pensionistico; conseguentemente, dall’accertata definitività del collocamento a riposo con decorrenza 1 ottobre 2003 concludeva per la corretta determinazione del trattamento di quiescenza, in coerenza con quanto comunicato dal datore di lavoro (il 1 dicembre 2004) anche in riferimento all’inclusione della retribuzione di posizione nella quota A di pensione, ai sensi del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13, comma 1, lett. a).

5. Avverso tale sentenza ricorre, per motivi di giurisdizione, E.E., cui resiste, con controricorso, l’INPS.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con il ricorso, per difetto di giurisdizione ed eccesso di potere giurisdizionale, il ricorrente impugna la decisione per avere la Corte dei Conti superato i limiti della propria giurisdizione sindacando, nel merito, le scelte discrezionali dell’ente datoriale, l’Agenzia Autonoma, e statuito sull’immodificabilità del trattamento di quiescenza, sull’individuazione delle date di collocamento in pensione e cessazione dal servizio di segretario comunale, tutte questioni connesse e dipendenti sulle quali la giurisdizione è sottratta al giudizio della Corte dei Conti.

7. In sintesi, assume il ricorrente che la Corte di Conti ha apoditticamente ritenuto definitivo il provvedimento INPDAP del 26 maggio 2005, di liquidazione del trattamento pensionistico, omettendo di rilevare il tempestivo ricorso gerarchico interposto e la mancanza di autonomia del detto provvedimento, meramente accessorio e secondario, travolto ed assorbito dalla nuova determinazione dell’ente datoriale, non potendo, invece, procedere alla valutazione della legittimità dell’atto certificativo-dispositivo accertante il momento della cessazione dal servizio, in quanto vicenda conoscibile esclusivamente dal giudice del rapporto; rileva, infine, che non si versa in fattispecie di modifica di un atto in sede di autotutela e rimarca il valore meramente secondario del provvedimento dell’INPDAP, di liquidazione del trattamento pensionistico, all’esito della nuova determinazione dell’Agenzia nel 2008.

8. Il ricorso è inammissibile.

9. Le censure sono volte ad incrinare la regula juris che ha fondato la decisione impugnata scrutinando la domanda, svolta dall’attuale ricorrente, per la riliquidazione del trattamento pensionistico alla stregua della determinazione definitiva dell’Agenzia Autonoma (n. 1037 del 2008), deducendo un obbligo dell’ente previdenziale di eseguire il provvedimento datoriale senza alcuna possibilità di interlocuzione al riguardo (così è illustrata, a pag. 9 del ricorso all’esame, la domanda azionata).

10. Esaminando tale domanda introduttiva del giudizio di merito, proposta esclusivamente nei confronti dell’ente previdenziale, la Corte dei Conti non ha scrutinato la legittimità del provvedimento di collocamento a riposo ma ha rimarcato la revocabilità o modificabilità del provvedimento definitivo di liquidazione del trattamento pensionistico, secondo le fonti normative primarie che detto potere regolano, solo a fronte dell’acquisizione di documenti preesistenti al provvedimento di liquidazione e non, per converso, a fronte della successiva formazione di documenti non ancora esistenti a quella data, come nella vicenda all’esame.

11. Le censure in questa sede svolte e incentrate, dunque, sullo scrutinio della definitività del provvedimento di pensione emesso dall’INPDAP e della sua caducità per la sopraggiunta diversa determinazione dell’Agenzia, investono errores in judicando e non già la violazione dei limiti esterni della giurisdizione contabile.

12. Gli atti e provvedimenti riferibili al datore di lavoro sono stati considerati soltanto quali presupposti dell’ambito di operatività della disciplina della pensione, certamente riservato al giudice contabile, rimanendo essi del tutto impregiudicati.

13. Non si pone, quindi, questione di eccesso del potere giurisdizionale riservato alla Corte dei Conti, giudice delle pensioni, e gli eventuali errores in iudicando o in procedendo commessi dal giudice contabile, nel concreto esercizio di detto potere, rientrano nei limiti interni della sua giurisdizione, estranei al sindacato consentito a questa Corte regolatrice (tra le molte, Cass., Sez. Un., 16 dicembre 2008, n. 29348; Cass., Sez. Un., 9 giugno 2011, n. 12539; Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2019, n. 543).

14. Inoltre, come più volte messo in risalto da questa Corte (v., fra le alte, Cass., Sez. Un., 27 giugno 2018, n. 16957, Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2018, n. 27755 Cas., Sez.Un., 11 gennaio 2019, n. 543), non può farsi derivare un eccesso di potere giurisdizionale da un’attività interpretativa allorchè il giudice, speciale o ordinario, individui una regula juris facendo uso dei suoi poteri di applicazione della legge estrinsecati anche attraverso l’attività di interpretazione, anche analogica, delle norme (tra le tante, Cass., Sez. Un., 10 settembre 2013, n. 20698; Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2014, n. 27341).

15. L’interpretazione della legge (e la sua disapplicazione) non trasmoda di per sè in eccesso di potere giurisdizionale, perchè essa rappresenta il proprium della funzione giurisdizionale e non può, dunque, integrare di per sè sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, tranne i soli casi di un radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc dal giudice speciale (v. Cass., Sez. Un., 31 maggio 2016, n. 11380; Cass., Sez. Un., 21 febbraio 2017, n. 4395; Cass., Sez. Un., 5 giugno 2018, n. 14437; Cass., Sez. Un., 30 luglio 2018, n. 20169).

16. Allorquando il giudice speciale si sia attenuto – come, nel caso in esame, il giudice contabile – al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la regula juris applicabile nel caso concreto, tale operazione non dà luogo alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (v., fra le tante, Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2012, n. 22784; Cass., Sez. Un., 5 settembre 2013, n. 20360).

17. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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