Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25947 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. III, 15/10/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 15/10/2019), n.25947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20352-2017 proposto da:

CRAI SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI in persona del Presidente Legale

Rappresentante Dott. I.G., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA C.POMA 2 SC. B, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO

TROILO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAURA

BRICCA;

– ricorrente –

contro

MEDIOCREDITO ITALIANO SPA;

– intimata –

Nonchè da:

MEDIOCREDITO ITALIANO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PREVESA 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO SIGILLO’, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO BENATTI,

ALDO PENAZZI;

– ricorrente incidentale –

contro

CRAI SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI in persona del Dott.

C.D. in qualità di procuratore della società, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA C.POMA 2, presso lo studio dell’avvocato

GREGORIO TROILO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LAURA BRICCA;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 3146/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale CARDINO ALBERTO, che ha chiesto

l’inammissibilità del ricorso principale e il rigetto del ricorso

incidentale;

Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale rigetto dell’incidentale;

udito l’Avvocato GREGORIO TROILO;

udito l’Avvocato ANTONIO SIGILLO’.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La CRAI soc. coop. p.a. convenne in giudizio la Intesa Mediofactoring s.p.a. (già Mediofactoring s.p.a.) per sentir accertare l’inadempimento della convenuta alle obbligazioni scaturenti da un contratto di factoring, per essersi sottratta alla garanzia cui era tenuta, nei limiti dei plafond accordati sulle esposizioni della DAC s.r.l. e della UVAB s.r.l., e – conseguentemente – per sentir condannare la Mediofactoring al pagamento degli importi di 24.133,57 Euro e di 2.065.827,60 Euro, relativi – rispettivamente – alla posizione della DAC e a quella della UVAB, oltre al risarcimento del maggior danno a fronte della svalutazione monetaria medio tempore intervenuta.

La Mediofactoring resistette alla domanda chiedendo, in subordine, che la sua responsabilità fosse limitata alla somma capitale di 89.669,88 Euro, ai sensi dell’art. 6 dell’appendice n. 1 del contratto di factoring, secondo cui il factor avrebbe risposto dell’inadempienza dei debitori ceduti soltanto fino alla concorrenza massima di un importo pari a 10 volte le commissioni pagate dal fornitore nel corso di ciascun anno solare.

Il Tribunale di Milano accolse la domanda dell’attrice limitatamente all’importo di 24.133,57 Euro (ossia al credito relativo alla posizione DAC), ritenendolo provato sulla base dell’estratto conto dell’8.3.2002 predisposto dalla stessa Mediofactoring; respinse, invece, la pretesa in relazione alla posizione UVAB, rilevando che la cessione era avvenuta pro soluto, ma successivamente vi era stata retrocessione dei crediti nella titolarità della cedente che (pur riservandosi di esercitare i diritti nascenti dal factoring) si era insinuata al passivo della UVAB, compiendo un atto incompatibile con la persistenza della garanzia pro soluto.

Provvedendo sul gravame principale della CRAI e su quello incidentale della Mediofactoring (cui subentrava, in corso di giudizio, il Mediocredito Italiano s.p.a.), la Corte di Appello di Milano ha accolto parzialmente l’impugnazione principale, condannando il Mediocredito Italiano al pagamento della somma di Euro 2.065.827,60, “salva l’applicazione del limite contrattuale della responsabilità (…) di cui all’art. 6 dell’appendice n. 1 del contratto di factoring”, senza peraltro quantificare l’entità dell’importo derivante dall’anzidetta applicazione; ha inoltre riconosciuto alla CRAI il risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c. e ha condannato la società appellata al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Più precisamente, la Corte di Appello ha affermato, quanto alla posizione UVAB, che non vi era stato fra le parti alcun accordo per la retrocessione del credito e che l’insinuazione della CRAI al fallimento della debitrice non aveva costituito un atto incompatibile con la persistenza della cessione pro soluto; che dunque il Mediocredito avrebbe dovuto essere condannato al pagamento della somma di 2.065.827,60 Euro; che, tuttavia, operava la limitazione di responsabilità prevista dall’art. 6 dell’appendice n. 1 del contratto (comportante la limitazione della responsabilità ad un importo massimo pari a 10 volte le commissioni pagate dal fornitore nel corso di ciascun anno solare), atteso che detta clausola non necessitava di specifica approvazione scritta per essere stata (così come l’intero contratto) oggetto di trattativa fra le parti; che peraltro, non essendo stato provato dall’appellato che l’importo risultante dall’applicazione di tale clausola fosse pari a 89.669,88 Euro, di ciò si sarebbe tenuto “conto nel dispositivo della sentenza, che verrà formulato senza l’indicazione numeraria del suddetto limite”.

Ha proposto ricorso per cassazione la CRAI soc. coop. p.a., affidandosi a quattro motivi; ha resistito il Mediocredito Italiano s.p.a. con controricorso contenente ricorso incidentale basato su quattordici motivi; ad esso ha resistito, con controricorso, la CRAI; entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

IL RICORSO PRINCIPALE DELLA CRAI S.P.A.;

1. Il primo motivo denuncia “nullità parziale della sentenza ai sensi dell’art. 156 c.p.c. ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, nonchè “violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”: la ricorrente evidenzia che, limitandosi ad effettuare un richiamo al limite contrattuale della responsabilità del factor derivante dall’art. 6 dell’appendice n. 1, il dispositivo della sentenza impugnata non consente di individuare l’importo dovuto dal Mediocredito, cosicchè la sentenza deve essere ritenuta “parzialmente nulla ai sensi dell’art. 156 c.p.c. perchè inidonea a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale”; sotto altro profilo, assume che, “se la stessa Corte di Appello ha accertato e dichiarato che la limitazione di responsabilità ex adverso invocata non è stata provata non può nel contempo statuire che essa debba operare”, essendo “onere di Mediofactoring provare l’entità delle commissioni pagate da CRAI nell’anno 1999 con riferimento a tutti i debitori ceduti”, con la conseguenza che “il credito azionato in giudizio da CRAI relativamente alla posizione UVAB – pari ad Euro 2.065.827,60 – non doveva e perciò non deve subire alcuna limitazione e Mediofactoring doveva e perciò deve essere condannata a pagare l’intero nei confronti di CRAI”.

2. Di seguito al primo motivo, la ricorrente articola motivi “subordinati”, ancorchè dichiarati attinenti a questioni di natura pregiudiziale e preliminare.

2.1. Col secondo motivo (che denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2909,1341,2727 e 2729 c.c., oltrechè degli artt. 112 e 115 c.p.c.), la ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto di esaminare la questione della validità della clausola n. 6 dell’appendice n. 1 in violazione del giudicato interno che si era formato sulla pronuncia di primo grado; giudicato che conseguirebbe al fatto che il Tribunale aveva ritenuto non operante la limitazione di responsabilità (disattendendo la relativa eccezione avversaria), con affermazione non impugnata dal Mediofactoring.

2.2. Col terzo motivo (“violazione o falsa applicazione degli artt. 1341,2697,2727 e 2729 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c.”), svolto in via subordinata rispetto al secondo, la ricorrente lamenta “la violazione delle regole che governano l’onere della prova e l’erroneo uso della presunzione da parte del Giudice di secondo grado, in relazione alla questione della invalidità/inefficacia della clausola limitativa di responsabilità di cui all’art. 6 dell’appendice n. 1 del contratto”: la ricorrente contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui doveva essere esclusa la nullità della clausola vessatoria in quanto risultava “piuttosto probabile” che la stessa – come l’intero contratto – costituisse il risultato di una trattativa fra le parti e non fosse stata predisposta unilateralmente dal Mediofactoring.

Aggiunge, peraltro, che l’importo delle commissioni pagate dalla CRAI nell’anno 1999 risultava pacifico (in quanto non contestato) e provato sulla base del doc. 27 allegato alla memoria ex art. 184 c.p.c. della stessa CRAI e che tale importo, moltiplicato per 10, consentiva di pervenire ad un valore di 1.931.732,00 Euro, pressochè coincidente con il credito azionato dall’attrice.

2.3. Al punto 4 del ricorso, la ricorrente non svolge alcun motivo, ma si limita a richiamare “integralmente le difese svolte da CRAI nei precedenti gradi ivi comprese le domande ritenute assorbite dalla decisione di secondo grado” e, segnatamente, reitera la domanda subordinata di risarcimento danni indicata sub F nell’atto di appello.

3. Il primo motivo è fondato.

La motivazione della sentenza contiene tre affermazioni univocamente convergenti nel senso dell’applicabilità della limitazione di responsabilità ancorata a un multiplo dell’ammontare delle commissioni pagate dal fornitore CRAI; più precisamente:

a pag. 7: “Senonchè opera in proposito, come Mediofactoring ha fatto presente, la limitazione di responsabilità nel rimborso dell’ammontare dei crediti per i quali opera la garanzia pro soluto, pattuita all’art. 6 dell’appendice 1 del contratto di factoring”;

sempre a pag. 7, ult. capoverso e con seguito a pag. 8: “Pertanto la limitazione di responsabilità del factor pattiziamente stipulata all’art. 6 dell’appendice n. 1 è valida, efficace ed operante”, con la precisazione che la circostanza che non fosse risultato provato che l’importo conseguente all’applicazione della clausola fosse pari proprio a quello di Lire 173.625.100 indicato dal Mediofactoring comportava che “di ciò si terrà conto nel dispositivo della sentenza, che verrà formulato senza l’indicazione numeraria del suddetto limite”;

sempre a pag. 8: “questa Corte ha, con l’accoglimento parziale della prima doglianza di Crai, disposto la condanna del factor all’adempimento del contratto anche per quanto riguarda i crediti verso UVAB, sia pure con l’essenziale limitazione già vista”.

Il dispositivo è del tutto consequenziale nel momento in cui – come preannunciato a pag 8 della motivazione – pronuncia la condanna per l’importo di 2.065.827,60 Euro oltre interessi legali dalla domanda al saldo, “salva l’applicazione del limite contrattuale della responsabilità del primo, di cui all’art. 6 dell’appendice n. 1 al contratto di factoring intercorso fra le parti, per come meglio in motivazione”.

Non può dunque dubitarsi del fatto che la Corte abbia reiteratamente riconosciuto – expressis verbis – l’operatività della limitazione nell’ambito della motivazione e l’abbia ribadita in sede di dispositivo (e costituirebbe un’inaccettabile forzatura sostenere – come fatto dal P.G. nelle conclusioni anticipate per iscritto depositate il 5.7.2019 – che il dispositivo sia “affetto da un semplice errore materiale”); nè questo dato può essere posto nel nulla dall’apparente oscurità/incongruenza della motivazione nella parte in cui, pur evidenziando che Mediofactoring non aveva provato che l’importo da detrarre fosse quello indicato, ribadisce l’operatività della limitazione, giacchè essa nulla toglie al fatto che la sentenza (comprensiva della motivazione e del dispositivo) afferma comunque la necessità di applicare la limitazione.

Tanto premesso, risulta fondato l’assunto della inidoneità della sentenza ad esprimere un comando giudiziale univoco (a prescindere dalle ragioni che hanno determinato l’incertezza di tale comando), senza che vi sia possibilità di superare la oggettiva genericità della pronuncia, che non consente di individuare il quantum da detrarre dall’importo di Euro2.065.827,60 e, quindi, di individuare l’importo effettivo della condanna, non essendo possibile trarre alcun utile elemento dalla motivazione per chiarire la portata del dispositivo (e viceversa) e non risultando concretamente percorribile la strada della integrazione extratestuale ed endoprocessuale sostenuta dalla controricorrente con richiamo a Cass., S.U. n. 11067/2012.

La sentenza è dunque viziata da parziale nullità, in relazione alla evidenziata impossibilità di individuare il quantum della condanna in relazione ai crediti UVAB.

4. Quanto al secondo motivo, difettano del tutto elementi per ritenere sussistente un giudicato interno ostativo all’esame dell’applicabilità del limite di cui all’art. 6 dell’appendice n. 1: il passaggio della sentenza di primo grado trascritto a pag. 27 del ricorso (laddove si dice che “Mediofactoring avrebbe dovuto pagare il credito complessivo decurtato solo della percentuale della sua commissione”) non appare idoneo ad individuare una statuizione univoca nel senso che il primo Giudice abbia esaminato (e risolto negativamente) la questione dell’applicabilità della limitazione di responsabilità (che, a ben vedere, non aveva ragione di affrontare, una volta che aveva sposato la tesi dell’avvenuta retrocessione dei crediti, che rendeva del tutto irrilevante l’esistenza o meno di un limite alla responsabilità pro soluto del Mediofactoring).

4.1. Il terzo motivo è inammissibile in quanto presuppone – a monte – il superamento dell’accertamento di fatto compiuto dalla Corte sulla circostanza che il contratto (e, quindi, anche la clausola n. 6 dell’appendice n. 1) era stata oggetto di trattative fra le parti, con la conseguenza della validità della clausola limitativa (non necessitante di specifica approvazione scritta).

IL RICORSO INCIDENTALE DEL MEDIOCREDITO ITALIANO S.P.A..

5. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 93 e 94 L.F. e dell’art. 81 c.p.c., contestando l’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’insinuazione della CRAI al passivo del fallimento UVAB non è incompatibile con la persistenza della cessione dei crediti in capo a Mediofactoring: assume la ricorrente che l’insinuazione presuppone la titolarità del diritto di credito e che ciò avrebbe dovuto condurre alla conclusione che l’insinuazione della CRAI aveva costituito un atto incompatibile con il mantenimento del diritto, vantato verso il factor, al corrispettivo per la cessione del medesimo credito insinuato.

5.1. Il motivo è inammissibile: l’affermazione della compatibilità della insinuazione con la permanenza della garanzia pro soluto costituisce il risultato di un apprezzamento di merito compiuto dalla Corte territoriale che non è inficiato dal fatto (estraneo al presente giudizio) che, permanendo la titolarità del credito in capo al Mediofactoring, la CRAI potesse non essere legittimata all’insinuazione.

6. Col secondo motivo, viene dedotta la violazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., commi 1 e 2 e all’art. 1363 c.c., contestandosi l’assunto della Corte circa la non avvenuta retrocessione dei crediti da Mediofactoring a CRAI, motivata dal rilievo che la retrocessione pretesa dal factor era stata avversata dalla cedente, che aveva dichiarato di procedere all’insinuazione al fallimento al fine di tutelare le ragioni di entrambe le parti e con riserva di far valere i diritti nascenti dalla persistenza della cessione: la ricorrente lamenta che l’esame congiunto della missiva del 19.5.2000 (inviata da Mediofactoring) e di quella del 23.8.2000 (proveniente dalla CRAI) e dell’istanza di ammissione al passivo presentata dalla CRAI l’8.9.2000 avrebbe dovuto condurre, secondo una lettura rispettosa degli invocati criteri ermeneutici, all’affermazione dell’avvenuta retrocessione dei crediti alla CRAI.

6.1. Il motivo è infondato: la Corte ha interpretato la portata dello scambio epistolare intervenuto fra le parti e ha tenuto conto del loro comportamento, senza incorrere in alcuna violazione dei canoni ermeneutici individuati dalla ricorrente; il risultato di tale accertamento, adeguatamente motivato, costituisce l’esito di un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità.

7. Col terzo e col quarto motivo – che deducono, rispettivamente, la violazione dell’art. 115 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – la ricorrente contesta l’affermazione della Corte di merito secondo cui non sarebbe risultato provato che l’ammontare delle commissioni pagate dalla CRAI, moltiplicato per 10, fosse pari all’importo di 173.625.100 Lire indicato dalla Mediofactorig quale limite dell’esposizione di garanzia derivante dalla clausola prevista dall’art. 6 dell’appendice n. 1 del contratto di factoring: assume, infatti, che erano incontestati, e non necessitavano pertanto di prova, sia la percentuale della commissione applicata che l’importo complessivo delle commissioni pagate per i crediti ceduti in relazione alla posizione UVAB.

7.1. Il motivo è inammissibile in quanto carente di autosufficienza, segnatamente in ordine alla correttezza dei dati (e alla sussistenza delle relative prove a sostegno) che avrebbero dovuto condurre la Corte a ritenere provato nell’importo indicato da Mediofactorig l’ammontare delle commissioni moltiplicato per 10.

8. Il quinto motivo (“violazione degli artt. 100,339,342 e 346 c.p.c.”) censura la parte della sentenza che ha riconosciuto alla CRAI il risarcimento ex art. 1224 c.c., comma 2: rilevato che la domanda di maggior danno era rimasta assorbita in primo grado (stante il rigetto della richiesta di pagamento del corrispettivo dei crediti UVAB ceduti), la ricorrente assume che la CRAI non avrebbe potuto proporre appello avverso la mancata pronuncia del Tribunale, ma avrebbe dovuto riproporre la domanda assorbita ex art. 346 c.p.c., cosicchè la Corte di Appello avrebbe dovuto – per un verso – dichiarare la carenza di interesse all’impugnazione e – per altro verso – dare atto della non avvenuta riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

8.1. Il motivo è infondato: non rideva, quanto alla posizione UVAB, che la CRAI abbia proposto appello anzichè limitarsi a reiterare una domanda che era rimasta assorbita, atteso che la proposizione dell’impugnazione conteneva comunque in sè la riproposizione della domanda non accolta perchè assorbita.

9. Col sesto motivo, viene denunciata la violazione dell’art. 1224 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c., sul duplice rilievo che “il danno non è in re ipsa ed il soggetto che ne chieda il risarcimento è tenuto alla relativa prova” e che, in concreto, la CRAI non aveva dato prova del danno asseritamente patito.

9.1. Le censure sono infondate, in quanto la Corte di merito ha correttamente applicato i principi espressi da Cass., S.U. n. 19499/2008, confermata dalla successiva giurisprudenza di legittimità (cfr., per tutte, Cass. n. 3954/2015).

10. Il settimo, l’ottavo e il nono motivo concernono la parte della sentenza che ha ritenuto che per i crediti UVAB, benchè aventi scadenza superiore a sessanta giorni, valesse la garanzia pro soluto da parte del factor, atteso che la clausola contrattuale secondo cui le cessioni di crediti aventi scadenza superiore a 60 giorni dalla data di emissione della fattura si intendevano ceduti pro solvendo era stata consensualmente derogata dalle parti e che tale deroga rilevava “sotto il profilo della buona fede nell’esecuzione del contratto, nel senso che se detta pattuizione era stata consensualmente derogata dalle parti, come non è contestato, non era di buona fede l’eccezione del convenuto nella presente sede processuale consistente nella contestazione della mancata osservanza, da parte dell’attrice, di una clausola che entrambe le parti avevano disapplicato”.

10.1. Col settimo motivo (che denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c.), si sostiene il difetto di allegazione e di prova circa i fatti costituenti i presupposti dell’affermazione contestata.

10.1.1. Il motivo è inammissibile in quanto non attinge l’affermazione della Corte secondo cui non era contestato che le parti avessero consensualmente derogato le pattuizioni (il che rende irrilevante ogni doglianza circa la mancata allegazione o il difetto di prova).

10.2. L’ottavo motivo denuncia la violazione della L. n. 154 del 1992, art. 3 del D.M. Tesoro 24 febbraio 1992 e del D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 115, 117 e 161 sull’assunto che la modifica consensuale della pattuizione originaria (sulla natura pro solvendo delle cessioni dei crediti aventi scadenza superiore a 60 giorni) avrebbe dovuto essere fatta per iscritto, a pena di nullità; si aggiunge che sono state violate anche le norme di cui all’art. 2723 c.c. e art. 115 c.p.c. “in quanto la Corte territoriale non ha posto a fondamento della decisione la prova della “modifica consensuale delle pattuizioni originarie””.

10.2.1. Il motivo è infondato: le norme richiamate attengono ai contratti bancari e finanziari e non interessano il contratto di factoring; nè risulta fondato l’assunto secondo cui la Corte non si sarebbe curata di ricercare la prova della modifica consensuale, giacchè detta prova era stata desunta dalla non contestazione.

10.3. Il nono motivo denuncia la violazione degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c. in relazione al tenore della missiva del 6.12.1999 (rispetto alla quale la Corte aveva dichiarato di condividere la valutazione del Tribunale sul fatto che, parlando di riassunzione del rischio in capo al fornitore, tale missiva ammetteva implicitamente che il rischio era stato assunto dal factor e che, quindi, di trattava di cessione pro soluto), sul rilievo che il tenore della missiva non era “riconducibile alla fattispecie degli artt. 2727 e 2729 e non costitui(va) elemento indiziario idoneo”.

10.3.1. Il motivo è inammissibile in quanto, a tacer d’altro, la censura risulta incompleta, non confrontandosi con la ratio secondo cui la deroga contrattuale rilevava “sotto il profilo della buona fede nell’esecuzione del contratto”.

11. Il decimo motivo (che deduce la violazione dell’art. 1266 c.c. e degli artt. 3 e 14 del contratto di factoring) attiene alla “questione dell’inveramento della fattispecie di cui all’art. 14 del contratto di factoring”, sostenendosi dalla ricorrente che la cessione era divenuta pro solvendo per il fatto che I’UVAB aveva rivendicato un controcredito per 400 milioni di lire non saldato dalla CRAI.

11.1. La censura è inammissibile: la ricorrente insiste nel far valere un inadempimento della CRAI nei confronti della UVAB senza preoccuparsi di contrastare la ratio sottesa alla decisione, basata sul rilievo della sostanziale irrilevanza dell’eventuale inadempimento (considerato dalla Corte non grave e non pretestuoso, con valutazione di merito non sindacabile in questa sede).

12. L’undicesimo motivo concerne la “questione della mancata consegna a Mediofactoring dei documenti probatori dei “crediti ceduti UVAB gennaio-aprile 1999″”: la ricorrente deduce che la CRAI non aveva ottemperato all’obbligo di consegnare al factor, entro 15 giorni dall’emissione, copia delle fatture relative ai crediti ceduti e censura sotto il profilo della violazione dell’art. 1262 c.c. e degli artt. 2 e 14 del contratto di factoring – l’affermazione della Corte di merito circa il fatto che “l’inadempimento degli obblighi di cui all’art. 1262 c.c. da parte del fornitore non fu funzionalmente idoneo a cagionare la perdita dei crediti UVAB in capo al factor, che è da fare risalire alla già certa insolvenza di UVAB”.

12.1. Il motivo è inammissibile: anche in questo caso, la ricorrente non si confronta adeguatamente col rilievo della Corte circa la sostanziale irrilevanza del dedotto inadempimento, atteso che l’impossibilità del factor di agire nei confronti della UVAB non era dipesa dalla indisponibilità dei documenti, ma dalla conclamata insolvenza della debitrice ceduta.

13. Col dodicesimo motivo, il Mediocredito censura – sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo – l’affermazione della sentenza secondo cui, “quanto alla mancata informazione da parte di CRAI dello stato di crisi e di caos amministrativo in cui detta società cooperativa si sarebbe trovata sin dall’epoca a cavallo degli anni 2000, di essa non vi è prova in atti”: assume la ricorrente di avere formulato istanze istruttorie (di cui riporta l’ampio capitolato) da cui sarebbe emersa la situazione di gravissima crisi della cedente, aggiungendo che il silenzio serbato dalla CRAI sul punto aveva integrato un grave inadempimento del contratto di factoring.

13.1. Le censure sono inammissibili: premesso che il motivo prospetta la violazione dell’art. 7 del contratto di factoring (trascritto a pag. 63 del ricorso incidentale), concernente l’obbligo del cedente di fornire “ogni notizia di rilievo in suo possesso riguardante la solvibilità dei debitori ceduti”, per poi virare sull’addebito di aver taciuto la situazione di gravissima crisi che interessava la stessa CRAI, dall’illustrazione del motivo non emerge la decisività dei capitoli di prova che non sono stati ammessi in relazione all’oggetto del giudizio (concernente il mancato pagamento, da parte del factor, dei crediti ceduti relativi alla posizione UVAB).

14. Il tredicesimo motivo censura la sentenza nella parte in cui, in relazione all’addebito – mosso dalla Mediofactoring alla CRAI – di non aver ceduto i crediti relativi a tutti i soci indicati nell’elenco allegato al contratto di factoring, ha dichiarato di condividere la conclusione del Tribunale circa la genericità dell’allegazione dell’inadempimento e ha affermato che “le eccezioni generiche, come quella di parte convenuta di cui si discute, sono incompatibili con la delimitazione del tema di causa entro margini di concreta praticabilità del processo”, non rendendo concretamente applicabile la regola di riparto probatorio individuata da Cass., S.U. n. 13533/2001.

Più specificamente, la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 2697 c.c., violazione del principio secondo cui “l’onere della prova è a carico del soggetto nella cui sfera si è prodotto l’inadempimento”, violazione dell’art. 2 del contratto di factoring, violazione dell’art. 1 dell’Appendice 1 del contratto di factoring e violazione dell’Appendice 2 del contratto di factoring”, sottolineando la gravità dell’inadempimento per non avere la CRAI ceduto tutti i propri crediti nei confronti dei clienti-soci indicati nel contratto di factoring.

14.1. Il motivo è infondato, in quanto la Corte ha correttamente rilevato che il riparto dell’onere probatorio invocato dalla ricorrente incidentale presuppone un’allegazione sufficientemente specifica dell’inadempimento, tale da porre la parte obbligata nelle condizioni di fornire la prova liberatoria.

15. Il quattordicesimo motivo attiene alla “questione dell’omessa cessione di crediti relativi ai settori merceologici indicati nel contratto di factoring” e denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. sull’assunto che la CRAI aveva ceduto crediti relativi a settori merceologici diversi da quelli previsti e sul rilievo che la Corte aveva erroneamente condiviso la conclusione del Tribunale secondo cui la pattuizione in questione era stata consensualmente derogata dalle parti.

15.1. Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo: per un verso, la violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità ai parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sè, la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (cfr. Cass., S.U. n. 16598/2016, Cass. n. 11892/2016 e Cass. n. 27000/2016); per altro verso, la censura risulta inammissibile nella parte in cui sembra dedurre che la Corte ha erroneamente affermato una mancanza di contestazione che non emergerebbe dagli atti, trattandosi di censura (deducente un errore percettivo) che avrebbe dovuto essere fatta valere in sede revocatoria.

16. Il ricorso incidentale va dunque, nel complesso, rigettato.

17. All’accoglimento del primo motivo del ricorso principale consegue la cassazione della sentenza, in relazione al motivo accolto, e il rinvio alla Corte di merito, che provvederà anche in ordine alle spese di lite.

18. Sussistono, in relazione al ricorso incidentale, le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigettando gli altri e il ricorso incidentale; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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