Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25944 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep.15/12/2016),  n. 25944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25502 – 2015 R.G. proposto da:

P.G., – c.f. (OMISSIS) – in proprio e quale liquidatore

della cooperativa edilizia “LA FARFALLA” – elettivamente domiciliato

in Roma, alla via Sabotino, n. 17/A, presso lo studio dell’avvocato

Vincenzo Falcucci e dell’avvocato Gabriele M. D’Alesio che

congiuntamente e disgiuntamente lo rappresentano e difendono in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’ ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

Avverso il decreto dei 15.6/21.8.2015 della corte d’appello di

Perugia, assunto nel procedimento iscritto al n. 172/2015 R.G.;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5

ottobre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Uditi l’avvocato Vincenzo Falcucci e l’avvocato Gabriele M. D’Alesio

per il ricorrente.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.G., in proprio e quale liquidatore della cooperativa edilizia “La Farfalla”, “conveniva il Ministero dell’Economia e Finanza in persona del Ministro pro tempore avanti alla Corte di Appello di Perugia” (così ricorso, pag. 2).

Si doleva ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3 per l’irragionevole durata del giudizio intrapreso dinanzi alla commissione tributaria di 1 grado di Roma con ricorso proposto nel gennaio del 1972 e definito dalla commissione tributaria centrale con sentenza n. 288 depositata il 15.1.2008.

Chiedeva che il Ministero fosse condannato a corrispondergli a ristoro dei danni subiti un equo indennizzo indicato in misura pari ad Euro 23.000,00 ovvero alla diversa, maggior o minore, somma ritenuta di giustizia, oltre interessi e spese.

Con decreto dei 15.6/21.8.2015 la corte d’appello di Perugia rigettava il ricorso e condannava il ricorrente alle spese di lite.

Dava atto, la corte, che il ricorrente aveva agito dinanzi al giudice tributario, onde conseguire il rimborso di ritenute fiscali operate sull’indennità di buonuscita.

Esplicitava quindi che la pretesa azionata nel giudizio “presupposto” aveva natura pubblicistica, sicchè, in aderenza all’elaborazione giurisprudenziale di questa corte di legittimità, non vi era margine perchè operasse il diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso sulla scorta di quattro motivi P.G., in proprio e quale liquidatore della cooperativa edilizia “La Farfalla”; ha chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione con ogni susseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la erronea e illogica interpretazione della disciplina in tema di equa riparazione.

Deduce che il diritto azionato nel giudizio presupposto non ha natura pubblicistica; che vi sarebbe violazione dell’art. 13 della C.E.D.U., qualora si opinasse nel senso che il cittadino ha diritto ad una giustizia rapida solo in determinati settori; che del resto la legislazione comunitaria non esclude dall’equa riparazione la giurisdizione speciale tributaria.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

Deduce che la corte di Perugia “ha confuso tra nuovo rito introdotto con la novella L. 7 agosto 2012, n. 134 ed il vecchio rito della L. Pinto” (così ricorso, pag. 8); che nel caso di specie si doveva applicare il rito vigente all’atto dell’introduzione del giudizio.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 “la sintetica e stringata motivazione” (così ricorso, pag. 9), semplicemente ancorata alla pronuncia n. 16212 del 24.9.2004 di questa Corte di legittimità.

Con il quarto motivo il ricorrente censura la disposta condanna alle spese, non prevista nel rito antecedente alla novella di cui alla L. n. 134 del 2012.

Si giustifica la disamina congiunta dei motivi di ricorso.

I motivi infatti sono strettamente connessi.

In ogni caso sono tutti destituiti di fondamento.

Si evidenzia in primo luogo che il giudizio presupposto ha avuto inizio innanzi alla corte d’appello di Perugia, siccome riferisce lo stesso ricorrente, “con atto di citazione notificato il 14/3/2009 e nuovamente in data 15/9/2009” (così ricorso, pag. 2).

Al riguardo, ben vero, a nulla rileva che la medesima corte di merito ebbe dapprima, con ordinanza n. 6255/2009, a dichiararsi incompetente (e a dichiarare competente ratione loci la corte d’appello di Roma), declaratoria d’incompetenza poi vanificata, siccome puntualizza lo stesso P.G., da questa Corte di legittimità con ordinanza n. 268/2015.

Ne consegue perciò che, nonostante il riferimento “al ricorso presentato in data 16 febbraio 2015 dal ricorrente”, che si rinviene nel testo dell’impugnato decreto (invero col ricorso in data 16.2.2015 P.G. ebbe semplicemente a riassumere il giudizio innanzi alla corte d’appello di Perugia a seguito dell’ordinanza n. 268/2015 di questo Giudice del diritto), si è correttamente fatta applicazione del rito di cui alla legge n. 89/2001, nella prefigurazione antecedente alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012.

Si evidenzia in secondo luogo che questa Corte di legittimità costantemente spiega che, con riguardo all’area di applicazione della disciplina del diritto all’equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 devono essere escluse le controversie tra il cittadino e il fisco aventi ad oggetto provvedimenti impositivi, dal momento che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto meritevoli di tutela i diritti e i doveri di carattere “civile”, ovvero di natura privatistica, e non le obbligazioni di natura pubblicistica, attesa l’estraneità di tali vertenze rispetto alla categoria delle liti in materia civile (cfr. Cass. (ord.) 24.9.2012, n. 16212).

Si sottolinea in particolare, con specifico riferimento al caso in esame, che è da escludere che la richiesta di rimborso di ritenute fiscali operate sull’indennità di buonuscita per asserita insussistenza del presupposto impositivo, richiesta quale azionata nel giudizio “presupposto”, rifluisca nell’area delle obbligazioni privatistiche.

Questa Corte difatti ha puntualizzato che non si rifluisce nell’area delle obbligazioni privatistiche in relazione alle richieste di rimborso di imposte che i ricorrenti deducano essere state indebitamente trattenute, poichè esse danno luogo a controversie le quali non hanno ad oggetto l’accertamento del diritto alla ripetizione di indebito secondo principi di diritto civile, bensì proprio la esistenza o meno del presupposto del potere impositivo dello Stato, e, come tali, non rientrano nell’ambito di tutela previsto dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (cfr. Cass. 7.3.2007, n. 5275).

Si sottolinea in pari tempo che questo Giudice ha reputato manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 che, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, esclude dalla disciplina dell’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo le controversie in materia tributaria nelle quali l’esistenza del diritto al rimborso di un tributo già corrisposto dipenda dall’accertamento della fondatezza o meno della correlata pretesa impositiva, ovvero riguardi un rapporto obbligatorio interamente regolato da norme di diritto pubblico, che sottraggono la causa alla materia civile di cui all’art. 6, paragrafo 1, C.E.D.U. (cfr. Cass. (ord.) 28.10.2014, n. 22872).

Si evidenzia in terzo luogo che il puro e semplice riferimento all’insegnamento n. 16212/2012 di questa Corte, di cui al decreto della Corte di Perugia, vale ex se a rendere congrua ed esaustiva la motivazione dell’impugnato provvedimento.

Si evidenzia da ultimo che i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non si sottraggono all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 c.p.c. e ss., trattandosi di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice italiano, secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito (cfr. Cass. 22.1.2010, n. 1101).

Ineccepibile perciò è la condanna alle spese disposta dalla corte umbra.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.

Nonostante il rigetto del ricorso, pertanto, nessuna statuizione in ordine alle spese va assunta.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’ 1.1.2013) (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. sesta civ. – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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