Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25941 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. II, 16/11/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 16/11/2020), n.25941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21188/2019 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in Milano, via Lamarmora n.

42, presso lo studio dell’avvocato Daniela Gasparin, che lo

rappresenta e lo difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro p.t. – con sede in

(OMISSIS) e domiciliato per previsione generale di legge presso

l’Avvocatura Generale dello Stato con sede in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 4736/2019 depositato il

28/5/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso tempestivamente proposto da O.S., cittadino (OMISSIS), avverso il rigetto della sua domanda di protezione internazionale ed umanitaria statuito dal Tribunale di Milano;

– a sostegno della richiesta egli aveva allegato di essere fuggito dal suo paese di origine perchè ricercato da parte del governo per avere protestato contro la decisione di espropriare il terreno ove egli lavorava come saldatore e perchè minacciato dai vicini di casa a causa di un incendio scoppiato nel suo campo di cacao per il quale era stato ingiustamente accusato senza poter rivolgere richiesta di aiuto alle istituzioni locali contro le ingiustizie patite;

-la cassazione del decreto del Tribunale di Milano è chiesta sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,4,5,6,7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione;

– con il secondo motivo si denuncia violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), la violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU nonchè la violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed all’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32;

– i due motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè sviluppano censure simili;

– ad avviso del ricorrente le allegazioni dedotte a sostegno della richiesta di protezione internazionale sono state molto chiare e il tribunale si è limitato ad escludere la credibilità in relazione ad aspetti secondari omettendo di esaminare le fonti informative nonostante le precise dichiarazioni del ricorrente;

– i motivi sono infondati;

– in materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, in quanto il principio dispositivo è derogato soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione ed attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare; ciò a condizione che egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente nella proposizione della domanda ed aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (cfr. Cass. 15794/2019);

– ciò posto il provvedimento impugnato ha fatto coerente applicazione del superiore principio di diritto e ha motivatamente rigettato la richiesta di tutte le forme di protezione internazionale;

– in particolare, il tribunale ha ritenuto non credibili le dichiarazioni del ricorrente argomentando la conclusione sia con i profili di non plausibilità, fra i quali la data della manifestazione di protesta, apparentemente successiva alla partenza del ricorrente dal Ghana, sia con riguardo alla fuga quale sproporzionata conseguenza del timore di essere incolpato dell’incendio scoppiato nel campo di cacao di proprietà dello stesso e della madre;

– tale conclusione legittima la connessa statuizione di diniego dello status di rifugiato, così come quella di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

– in aggiunta, e ciò rileva con specifico riguardo alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub lett. c), il tribunale milanese ha acquisito d’ufficio e preso in esame le autorevoli informazioni aggiornate e specificamente indicate nel decreto (cfr. rapporto di Amnesty International citato a pag. 14) ed all’esito ha motivatamente escluso la sussistenza del requisito di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), spiegando che non sussiste in Ghana una situazione di violenza generalizzata ed indiscriminata;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e dell’art. 10, comma 3, nonchè la nullità del provvedimento impugnato per apparenza della motivazione in riferimento alla domanda di protezione umanitaria ed alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità nonchè l’omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4,7,14,16,17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,32; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 10 Cost., artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6;

– il ricorrente lamenta che il tribunale avrebbe compiuto un’analisi “frettolosa e superficiale”, con conseguente omissione di attività istruttoria e sostiene che il giudice ha formato il suo convincimento esclusivamente sulla credibilità soggettiva del richiedente;

– il motivo è infondato;

– è stato ripetutamente chiarito che il difetto d’intrinseca credibilità sulla vicenda individuale e sulle deduzioni ed allegazioni relative al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, non estende i suoi effetti anche sulla domanda riguardante il permesso umanitario, ove non genericamente proposta, poichè essa è assoggettata ad oneri deduttivi ed allegativi in parte diversi, che richiedono un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 10922/2019; id. 7985/2020; id. 8020/2020);

– ciò posto, il decreto impugnato ha ben applicato il principio di diritto appena richiamato poichè ha provveduto a ricostruire e valutare le concrete condizioni sociali, culturali, familiari e sanitarie del ricorrente secondo il giudizio comparatistico fra le condizioni di vita e l’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza e quelle cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio forzato (in conformità con l’orientamento espresso nelle pronunce di questa Corte n. 4455/2018; Sez. Un. 29459/2019) e ha ritenuto che egli non possa essere esposto in tale evenienza, al rischio di compromissione di diritti fondamentali;

– il ricorso appare dunque destinato al rigetto;

– in applicazione del principio di soccombenza, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di lite al controricorrente così come liquidate in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 più spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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