Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25940 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. II, 16/11/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 16/11/2020), n.25940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23399/2019 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in Milano, Via Lorenteggio,

24, presso lo studio dell’avv. Tiziana Aresi, e dell’avv. Massimo

Carlo Seregni, che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1907/2019 della Corte d’appello di Bologna

pubblicata il 18/6/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso che il sig. O.S., cittadino (OMISSIS), ha presentato avverso la sentenza della corte d’appello di Bologna, che ha rigettato l’impugnazione dell’ordinanza del Tribunale di Bologna di diniego della protezione internazionale ed umanitaria già statuito da parte della commissione territoriale;

– il ricorrente ha impugnato l’ordinanza del tribunale chiedendo alla corte di appello di riformare integralmente la decisione riproponendo le originarie domande;

– a sostegno della propria richiesta, il richiedente asilo ha dichiarato di essersi allontanato dalla Nigeria e di essere giunto in Italia, passando per la Libia, dove veniva tenuto prigioniero per diversi mesi; egli ha giustificato il suo espatrio facendo riferimento al fatto che i suoi genitori erano l’uno di fede cristiana e l’altro di fede musulmana e che i suoi nonni materni non vedevano di buon occhio questa unione; riferiva che alla morte della madre gli zii materni avrebbero voluto che lui e la sua famiglia andassero a vivere con loro e si convertissero alla religione musulmana e che, a causa del suo rifiuto, egli era stato aggredito diverse volte; precisava che anche in ragione del rifiuto della polizia di intervenire in suo aiuto, egli aveva deciso di lasciare il suo paese;

– la cassazione del provvedimento impugnato è chiesta sulla base di due motivi;

– non ha svolto attività difensiva l’intimato Ministero dell’interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8;

– in particolare, il provvedimento impugnato non valuterebbe il periodo trascorso dal ricorrente in Libia, ove sarebbe era stato sottoposto a torture; così facendo la corte bolognese aveva violato il principio sancito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in base al quale le domande dei richiedenti devono essere esaminate alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese d’origine e, ove occorra, nei paesi in cui questi sono transitati;

– il motivo è inammissibile;

– questa Corte ha chiarito che (cfr. Cass. n. 30105/2018; id. 2355/2020) del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale;

– nel caso di specie, il collegio che ha emanato il provvedimento impugnato ha applicato il principio di diritto sopra richiamato perchè, dopo aver provveduto a motivare le ragioni per le quali il ricorrente sarebbe non credibile, ha acquisito informazioni aggiornate volte a ricostruire la situazione sociale esistente in Nigeria, paese di provenienza del richiedente, nel quale sono accaduti i fatti addotti a sostegno della richiesta di protezione internazionale e dove egli deve essere rimpatriato in caso di rigetto della protezione;

– infatti, la condizione del richiedente asilo nel paese di transito, ove essa sia oggetto di specifica allegazione da parte del richiedente, può rilevare solo ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari e sempre che tale circostanza di fatto abbia determinato uno stato di speciale vulnerabilità soggettiva, di cui tenere conto, ai fini della sussistenza, in caso di rimpatrio forzoso nel Paese di provenienza (la Nigeria), in quanto determinante un concreto rischio di compromissione dei diritti fondamentali della persona (cfr. Cass. 13088/23019);

– ciò posto, nel caso di specie la censura non è ammissibile per la preliminare considerazione che non è chiarito dal ricorrente ove avrebbe fatto riferimento, nel corso del procedimento d’impugnazione, a specifiche esperienze negative asseritamente patite in Libia e di cui la sentenza impugnata non dà conto;

– la corte territoriale ha, infatti, statuito il diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria sulla base della non ritenuta credibilità del racconto e sulla conseguente irrilevanza dell’approfondimento delle condizioni socio-politiche del paese di provenienza e tale ratio decidendi non è attinta dalla doglianza in esame;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e art. 14 lett. c;

– secondo il ricorrente, la corte d’appello felsinea non avrebbe in concreto valutato il racconto del giovane secondo i criteri stabiliti dalla legge nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e si sarebbe limitata a ritenere non credibile la vicenda narrata dal richiedente, basandosi su una presunta contraddittorietà delle dichiarazioni relative al conflitto familiare circa la sua conversione all’islam, benchè detta contraddittorietà non infici affatto la gravità degli eventi accaduti al giovane;

– il motivo è infondato;

– la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (così Cass. 26921/2017; 19716/2018);

– ciò posto, nel caso di specie le dichiarazioni rese dal ricorrente sono state valutate coerentemente con i criteri normativi e il racconto del ricorrente è stato complessivamente valutato non credibile sottolineandone la contraddittorietà ed implausibilità dei tratti rilevanti ai fini dell’apprezzamento della gravità delle ragioni della fuga dalla Nigeria e della natura e gravità dei timori per il caso di rimpatrio forzato;

– in altri termini la decisione si fonda sui criteri legali e dunque la censura è destituita di fondamento;

– va per completezza osservato che ai fini del giudizio sulla credibilità soggettiva del ricorrente non è rilevante il riferimento svolto in ricorso (cfr. pag. 8) ai conflitti familiari ed al citato rifiuto della polizia di intervenire per evitare degenerazioni violente, poichè si tratta di circostanza che non incide sulla ritenuta contraddittorietà delle dichiarazioni;

– atteso l’esito sfavorevole di entrambi i motivi, il ricorso va respinto;

– nulla va disposto sulle spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

 

 

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