Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25938 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. III, 15/10/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 15/10/2019), n.25938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23796-2016 proposto da:

P.A., D.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA BUCCELLATO,

rappresentati e difesi dall’avvocato LUCA MARCHI;

– ricorrenti –

contro

GESTIONE LIQUIDATORIA EX USL N (OMISSIS) DI AREZZO, MINISTERO DELLA

SALUTE (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

GESTIONE LIQUIDATORIA EX USL N (OMISSIS) DI AREZZO in persona del

Commissario Liquidatore Dott. D.E., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CRATILO DI ATENE 31, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO VIZZONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati MARINO BIANCO, MARINA BIANCO;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 262/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. D.A. ed P.A. ricorrono, affidandosi a dieci motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Firenze con la quale, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, era stata respinta la domanda da loro avanzata per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di contagio – diretto per il primo ed indiretto per la seconda – di epatite HCV conseguente a trasfusioni di sangue, colonscopia ed intervento chirurgico all’intestino, subito nel 1991 dal D. presso i presidi Ospedalieri di Arezzo e di Firenze; ed era stata accolta soltanto quella proposta in relazione all’assenza di preventivo consenso informato da parte del paziente prima di essere sottoposto alle prestazioni sanitarie sopra indicate.

1.1. Hanno resistito entrambi gli intimati.

2. La Gestione Liquidatoria ex USL n. (OMISSIS) di Arezzo (da ora GS) ha proposto, altresì, ricorso incidentale affidandosi ad un unico motivo.

2.1 All’adunanza camerale del 4.12.2018, la controversia è stata rimessa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle sezioni unite di questa Corte sulla questione di massima importanza relativa all’improcedibilità del ricorso per le ipotesi, come quella in esame, in cui la notifica della sentenza effettuata a mezzo PEC non fosse stata corredata dalla documentazione informatica asseverata con sottoscrizione autografa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, sulla questione testè richiamata – che aveva determinato il collegio a differire la decisione in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite si osserva che è stato chiarito che “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per Cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2, la conformità della copia informale all’originale notificatogli; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio” (cfr. Cass. SUU 8312/2019).

1.1. Nel caso in esame, non è stato effettuato alcun disconoscimento dalla parte onerata, ragione per cui la questione, rilevabile d’ufficio, deve ritenersi superata.

2. I primi nove motivi di ricorso sono riferiti alla posizione di D.A., mentre il decimo concerne quella del coniuge P.A.: la sovrapponibilità di alcune censure, divergenti soltanto rispetto al vizio dedotto, impongono un esame che, per alcune, non seguirà il criterio cronologico ma quello del raggruppamento logico.

2.1. Con il primo motivo, ex art. 360, comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1228 e 1176 c.c., art. 1310 c.c., comma 1 e artt. 2943 e 2946 c.c.art. 28 Cost.L. n. 833 del 1978 ed art. 99 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione. Assume che la Corte d’Appello aveva erroneamente respinto il secondo ed il terzo motivo di gravame proposti in relazione all’eccezione di prescrizione, affermando che il termine applicabile era quinquennale, in ragione della natura extracontrattuale dell’azione proposta: deduce, al riguardo, che il dibattito dottrinario e giurisprudenziale ancora in corso consentiva, invece di ricorrere alla fattispecie del “contatto sociale” per la quale era lecito applicare il termine ordinario decennale.

2.2. Al netto dell’inammissibilità del vizio di motivazione meramente enunciato, privo di autosufficienza in quanto non supportato da alcuna coerente argomentazione, il Collegio osserva che la censura è infondata.

2.3. Questa Corte ha reiteratamente affermato che “la responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, nè sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, da ritenersi coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 4 ma con la proposizione della relativa domanda amministrativa, che attesta l’esistenza, in capo all’interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia (cfr. ex multis Cass. 28464/2013; Cass. 20882/2018).

2.4. La Corte territoriale, accogliendo l’appello incidentale del Ministero della Salute, ha fatto corretta applicazione di tale principio al quale questo Collegio intende dare seguito, ritenendo che l’exordium praescriptionis debba essere ricondotto non al momento in cui è stata diagnosticata l’HCV ma a quello in cui è stato dimostrato che il danneggiato aveva avuto percezione del nesso di causalità fra la malattia contratta e gli interventi sanitari ai quali è stato sottoposto: il termine dell’azione proposta nei confronti del Ministero, per la natura responsabilità ad esso ascritta, era dunque spirato al momento della proposizione della controversia, così come legittimamente accertato nella sentenza impugnata.

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonchè il vizio di motivazione con riferimento alla illogicità e contraddittorietà di essa.

3.1. La censura è inammissibile.

Questa Corte ha affermato il principio, ormai consolidato, secondo cui “in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia” (Cass. SUU 8053/2014; Cass. 23940/2017; Cass. 22598/2018).

3.2. Nel caso in esame, il ricorrente, da una parte omette di indicare il fatto storico che la Corte territoriale non avrebbe esaminato, visto che oltretutto critica l’impianto motivazionale dando conto di un percorso logico dei giudici d’appello fondato sull’esame di tutte le circostanze prese in considerazione; e, dall’altra, prospetta un vizio non più esistente, visto che a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non è più consentito censurare la motivazione se non in relazione a vuoti logici o contraddizioni che, lungi dal limitarsi a contrapporre una diversa tesi difensiva, consentano di ritenere violato il parametro costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 nell’interpretazione sopra richiamata.

4. Il terzo, il settimo ed il nono motivo devono essere congiuntamente esaminati per l’intrinseca connessione logica e per la parziale sovrapponibilità.

4.1. Il ricorrente, infatti, deduce le prime due censure, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione e l’illogicità manifesta, lamentando che:

a. nella sentenza impugnata non si era tenuto conto delle osservazioni del CTU Dott. L. che “aveva confermato come altamente probabili cause di contagio dell’HCV sia le emotrasfusioni (di sangue intero e di plasma) sia l’endoscopio non sterilizzato a dovere” (cfr. pag. 13 del ricorso) e pur ritenendo l’Ospedale manchevole della dimostrazione di aver espletato le procedure di corretta sterilizzazione, ne aveva escluso la responsabilità (terzo motivo);

b. doveva, in via presuntiva, desumersi il contagio dalla mancata perfetta sterilizzazione dell’endoscopio utilizzato per la colonscopia (settimo motivo);

c. non era stato tenuto conto dell’omesso esame delle pagine mancanti della cartella clinica (relativamente ai giorni 18 e 19 luglio 1991 nei quali venne preparata ed eseguita la colonscopia) e della sua incompletezza (nono motivo).

Tale ultima censura viene associata all’esame di quelle precedentemente rubricate, in quanto, pur se prospettata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguarda la medesima questione.

4.2. I motivi sono tutti inammissibili.

In ordine alla terza censura, si osserva che il ricorrente, limitandosi ad estrapolare solo una parte del percorso logico prospettato dalla Corte territoriale, che, oltretutto, afferma di condividere (cfr. pag. 14 secondo cpv del ricorso) nella parte in cui si ritiene non provata (dalla Gestione Liquidatoria di ciò onerata) una sufficiente sterilizzazione dell’endoscopio, contesta che la sentenza sia arrivata ad affermare che fosse impossibile individuare, anche solo per esclusione logica e scientifica (esaminando anche i tempi di incubazione della malattia), come unica verosimile fonte di contagio lo strumento sanitario ipoteticamente infetto. Lamenta, al riguardo, che erroneamente era stato ritenuto che l’onere probatorio fosse a suo carico.

4.3. La censura proposta, prospettando erroneamente una scorretta ripartizione degli oneri probatori e non tenendo conto dell’articolato ragionamento della Corte (cfr. pag. 16 della sentenza), maschera una richiesta di rivisitazione di merito della controversia e reitera una critica alla motivazione non più consentita in sede di legittimità, errore che risulta particolarmente evidente con il settimo motivo con il quale si rinnova, ignorando il complessivo percorso argomentativo contenuto nella sentenza impugnata, la inammissibile prospettazione di una diversa tesi difensiva, laddove quella proposta è stata validamente contraddetta dal ragionamento dei giudici d’appello.

4.4. L’affermazione, infatti, del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della struttura sanitaria sulla perfetta sterilizzazione dell’endoscopio, non può porre, in via presuntiva, un ulteriore accertamento a carico della parte convenuta, ove al collegamento fra il fatto noto e quello ignoto si interpongano altri elementi la cui dimostrazione (anche in termini di valutazione probabilistica) ridonda a carico dell’attore: e, in relazione a ciò, se la motivazione valuta esaustivamente, come nel caso di specie, tutti gli altri concreti elementi che portano ad un diverso convincimento, la censura proposta come violazione di legge deve ritenersi inammissibile in quanto si risolve nella riproposizione di questioni di fatto già esaminate con argomenti che risultano congrui e privi di vizi logici.

4.5. Tanto premesso, si osserva che anche il nono motivo non può trovare ingresso in questa sede.

4.6. Da una parte, infatti, non è indicato nè il fatto storico omesso nè la sua decisività; e, dall’altra, la questione relativa alle pagine mancanti della cartella clinica è stata affrontata e risolta con una argomentata valutazione di irrilevanza rispetto a ciò che doveva essere dimostrato (cfr. pag. 13 secondo e terzo cpv. della sentenza impugnata).

5. Anche il quarto ed il quinto motivo devono essere congiuntamente esaminati.

5.1. Con il quarto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2700,2722,1218 e 2697 c.c. con riferimento al 116 c.p.c.: lamenta che non era stata esaminata la censura riferita all’infusione del plasma, assumendo che l’effettiva somministrazione di tale terapia non era stata attestata nella cartella clinica che conteneva solo la prescrizione di essa. Critica altresì la mancata ammissione, sul punto, delle prove testimoniali.

5.2. Con il quinto motivo il ricorrente prospetta la medesima questione, deducendo l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nella mancata annotazione, sulla cartella clinica, che il plasma non era stato somministrato.

5.7. Entrambe le censure sono inammissibili.

Deve premettersi che questa Corte ha affermato il principio, condiviso da questo Collegio secondo il quale “in tema di responsabilità professionale sanitaria, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Cfr. Cass. 27561/2017).

5.8. Al riguardo, la Corte territoriale ha valutato tutte le questioni prospettate rendendo su di esse una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. pag. 11, 12 e 13 della sentenza) e dando conto di essersi soffermata (cfr. pag. 11, ultima parte) sullo specifico fatto storico contestato, argomentando esaustivamente e giungendo alla motivata conclusione che “non fosse possibile trarre nemmeno in via presuntiva la dimostrazione della somministrazione di plasma umano al D. il giorno 24.7.1991 perchè non risulta traccia nè documentale nè testimoniale che alla prescrizione sia seguita una qualche attuazione, anzi risultano elementi contrari a questo (tra cui la deposizione Lo.)” (cfr. pag. 13 ultimo cpv.).

Anche la quarta e la quinta censura, pertanto, si risolvono in una richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze processuali, preclusa in questa sede.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. con riferimento all’art. 116 c.p.c. con riferimento alla motivazione sulle trasfusioni di sangue: sulla scorta di argomentazioni analoghe a quelle sviluppate per i precedenti due motivi, la censura deve ritenersi inammissibile in quanto prospetta le medesime questioni di fatto già esaminate dalla Corte territoriale con motivazione complessivamente sufficiente (cfr. pag. 13 e 14 primo cpv).

Il motivo, pertanto, è inammissibile.

7. Con l’ottava censura, ancora, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. sul periodo di contagio HCV e sul nesso causale.

7.1. Deduce lo stravolgimento delle risultanze della CTU ed il travisamento delle prove documentali: critica, al riguardo, la finestra di contagio individuata ed assume che dalla documentazione clinica doveva evincersi che il periodo in cui poteva essersi verificata la trasmissione del virus doveva necessariamente collocarsi nel periodo di ricovero presso il nosocomio di Arezzo.

7.2. Anche tale censura è inammissibile in quanto ripropone una questione di merito, chiedendo una rivalutazione delle emergenze istruttorie già vagliate dalla Corte che ha reso una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. pag. 16 della sentenza) con la quale, proprio in ragione della notevole oscillazione temporale indicata dagli ausiliari e riesaminando i possibili anche se incerti i tempi di incubazione, ha ritenuto che un’occasione di possibile contagio ben identificabile potesse essere collocata durante l’intervento di colectomia totale presso il policlinico Careggi di Firenze, estraneo alle competenze ed alla responsabilità della Gestione Liquidatoria ASL (OMISSIS) convenuta: la Corte ha fatto corretta applicazione dei principi di legittimità anche con riferimento alla condivisione delle risultanze delle CTU sulle quali ha fondato la propria decisione (cfr. Cass. 23637/2017; Cass. 15147/2018; Cass. 25526/2018); la conseguente statuizione non consente l’ingresso al vizio dedotto.

8. Infine, con il decimo motivo, la ricorrente P.A., deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 183 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost. nonchè la nullità della sentenza: lamenta che la Corte territoriale aveva omesso di dare spazio all’istruttoria invocata sia in quanto la sua posizione era “derivata” da quella del marito, la cui domanda era stata disattesa, sia in quanto la prova testimoniale e la CTU dedotta ricalcavano le prove già ammesse ed assunte in relazione al D..

Deduce, al riguardo, la violazione del contraddittorio.

8.1. Il motivo è inammissibile.

La motivazione in punto di rigetto del rinnovo istruttorio è sufficiente (cfr. pag. 23 della sentenza impugnata), perchè la decisione – congruamente motivata in relazione alle medesime causali di contagio già dedotte ed esaminate per la posizione del D. – risulta insindacabile in questa sede. Questa Corte, al riguardo, ha affermato il principio, pienamente condiviso da questo Collegio, secondo il quale “il giudice di merito non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste di tutti i mezzi istruttori avanzate dalle parti qualora nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, insindacabili in sede di legittimità, ritenga sufficientemente istruito il processo. Al riguardo la superfluità dei mezzi non ammessi può implicitamente dedursi dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza. (Cass. 14611/2005; Cass. 15502/2009): il principio è ancor più valido ove i giudici d’appello diano conto delle ragioni del rigetto delle istanze proposte.

9. Con unico motivo di ricorso incidentale, la Gestione Liquidatoria deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.; ed i ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la motivazione carente, insufficiente e contraddittoria in relazione all’accoglimento della domanda risarcitoria per omesso consenso informato.

9.1. Entrambe le censure sono inammissibili.

In relazione al primo profilo, la ricorrente assume che la Corte non aveva adeguatamente valutato la prova testimoniale assunta omettendo di assegnare adeguata rilevanza alla qualità del paziente D. che era un medico chirurgo e che pertantoipresumibilmente era consapevole della malattia che lo affliggeva e delle conseguenze di tutte gli interventi sanitari che aveva subito: ragione per cui, non potendo non essere al corrente dei rischi che correva ed in mancanza di espresso contrarietà alle cure somministrate, la prestazione del consenso doveva ritenersi implicitamente acquisita.

9.2. Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di chiarire che è onere del medico (nel caso in esame della struttura sanitaria) provare, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente, l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze, senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle suq qualità personali potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (cfr. Cass. 19220/2013 ed in termini Cass. 20984/2012).

9.3. Nel caso in esame, la Corte ha escluso che fosse stato prestato un valido consenso applicando correttamente il principio sopra richiamato e fondando la propria decisione proprio sulla valutazione della prova testimoniale del primario della UO di gastroenterologia dell’Ospedale di Arezzo.

9.4. Tanto premesso, la censura, sotto il primo profilo, chiede una rivalutazione delle emergenze istruttorie preclusa in questa sede (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018); e, sotto il secondo, prospetta un vizio che, lungi dall’indicare il fatto storico di cui sarebbe stato omesso l’esame, prospetta una complessiva contraddittorietà della motivazione che, in presenza di un percorso argomentativo costituzionalmente sufficiente, non è più consentita nel nostro ordinamento giuridico, a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. al riguardo Cass. SU 8053/2014).

10. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e quello incidentale va dichiarato inammissibile.

11. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nei confronti del Ministero della Salute mentre devono essere compensate nei confronti della Gestione Liquidatoria ASL (OMISSIS).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità nei confronti del Ministero della Salute che liquida in Euro 4200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre ad accessori e rimborso spese generali nella misura di legge. Dichiara compensate le spese nei confronti della Gestione Liquidatoria ASL (OMISSIS). Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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