Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25932 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. II, 24/09/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 24/09/2021), n.25932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24330/2019 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO

RIBOTY, 23, presso studio dell’avvocato VALERIA GERACE, che lo

rappresenta difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, IN PERSONA DEL MINISTRO PRO TREMPORE,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3848/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.M., cittadino del Senegal chiese alla Commissione Territoriale di Roma la concessione della protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, o, in subordine, della protezione sussidiaria e del diritto di rilascio di un permesso umanitario.

1.1. La domanda venne rigettata in sede amministrativa; l’opposizione fu respinta dal Tribunale ed il provvedimento di diniego venne confermato dalla Corte d’Appello di Roma.

1.2. Innanzi alla Commissione Territoriale egli aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese in quanto il padre voleva costringerlo a studiare in una madrasa e, in seguito alla sua opposizione, era stato minacciato dal genitore e rinchiuso in una stanza.

1.3. La corte di merito ritenne che si trattasse di fatto privato estraneo per i quali non era applicabile la Convenzione di Ginevra ed escluse, con riguardo alla fattispecie di protezione sussidiaria disciplinata al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato in corso nel Paese d’origine del richiedente, pervenendo a tale conclusione sulla base del rapporto di Amnesty International.

1.4. Quanto, poi, all’istanza di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilevò che il richiedente non aveva allegato una situazione di vulnerabilità e che non era sufficiente, al fine di provare l’integrazione nel paese ospitante, lo svolgimento di un tirocinio nell’ambito di un progetto (OMISSIS).

2. Ha proposto ricorso per cassazione F.M. sulla base di tre motivi.

2.11 Ha resistito con controricorso il Ministero dell’interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della Convenzione di Ginevra del 28.07.1951 nonché del D.Lgs. n. 251, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito errato nel non riconoscere natura persecutoria agli atti di violenza denunciati, approfondendo le condizioni generali del paese di provenienza nell’ipotesi in cui la minaccia provenga da un ente non statuale, anche ai fini della concessione delle forme graduate di protezione.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura l’omesso ed errato esame della storia del ricorrente in relazione alla situazione di violazione dei diritti umani in Senegal, per aver il giudice di merito rigettato le domande di protezione internazionale senza, tuttavia, verificare l’effettiva situazione di sistematica violazione dei diritti umani in essere nel Paese d’origine del richiedente.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della Direttiva Europea 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per aver la corte d’appello rigettato le misure di protezione internazionale invocate facendo unicamente leva sull’elemento della non credibilità del ricorrente – giudizio, peraltro, contestato da parte ricorrente -, con ciò risultando inadempiente al dovere normativamente prescritto di cooperazione istruttoria.

3. I motivi, che, per la loro connessione, meritano una trattazione congiunta, sono inammissibili.

3.2. In primo luogo, osserva il collegio che il Tribunale non ha messo in discussione la credibilità del racconto ma ha ritenuto che la vicenda posta a fondamento della richiesta di protezione internazionale avesse carattere privato.

3.3. Innanzi alla Commissione Territoriale egli aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese in quanto il padre voleva costringerlo a studiare in una madrasa e, in seguito alla sua opposizione, era stato minacciato e rinchiuso in una stanza.

3.4.Le doglianze relative alla carenza di credibilità non colgono, pertanto, la ratio decidendi e si limitano al richiamo di principi di diritto e massime giurisprudenziali del tutto avulse dal caso concreto.

3.5. Con riguardo allo status di rifugiato, la vicenda narrata non identifica quindi alcuno degli atti di persecuzione indicati dal D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 7.

3.6. Quanto alla protezione sussidiaria, va precisato che la nozione di trattamento umano e degradante è in evoluzione nella giurisprudenza di legittimità nel senso che non può essere confinata al caso in cui il pericolo di danno grave provenga da agenti non statali ma anche da soggetti privati qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26823).

3.7. Nel caso di specie, però, il ricorrente non ha allegato di aver investito le autorità del paese di provenienza in relazione ai fatti denunciati – anche su questo aspetto il ricorso è privo di specificità – ed il giudice di merito ha comunque accertato la generale capacità del sistema giudiziario ivi operante, come emergente dal rapporto di Amnesty International 2017-2018, non specificamente contestato dal ricorrente.

3.8. La situazione è radicalmente diversa per la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), per la quale sussiste sempre il dovere di cooperazione istruttoria, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente (Cass. civ., sez. 1, ord. 10826, del 29.05.2020). Ebbene, in attuazione di tale dovere, il Tribunale ha adempiuto all’obbligo di cooperazione istruttoria officiosa allo scopo di escludere l’esistenza nel paese di origine del richiedente di una condizione di tensione interna derivante da conflitti armati di tale intensità da esporre ad un danno grave la vita di chiunque per il solo fatto della presenza in quel luogo, e lo ha fatto correttamente attingendo le informazioni sul paese d’origine del richiedente da fonti internazionali (pag. 2, 3 e 5 sentenza), in ossequio a quanto previsto dalla previsione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. Il Tribunale ha fatto espresso riferimento al rapporto Amnesty International che esclude come la sola presenza di civili nell’area in questione potesse costituire un pericolo per la loro vita ed incolumità.

3.9. Quanto, poi, alla censura concernente l’inattendibilità delle fonti consultate, preme richiamare l’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire al Corte di legittimità l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass., civ., sez. I, 21/10/2019, n. 26728).

3.10. Infine, con riguardo alla misura avente ad oggetto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, nell’applicare la disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, il Tribunale ha fatto corretta applicazione delle condizioni cui è subordinato il rilascio di siffatta misura, concludendo per l’insussistenza di una situazione di vulnerabilità in capo a parte ricorrente. In particolare, sulla base delle informazioni sul paese di provenienza, la corte d’appello ha ritenuto l’inesistenza del rischio, in capo al ricorrente, di essere immesso, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili. Nel corroborare siffatta conclusione, il giudice di merito ha evidenziato altresì il difetto dell’ulteriore condizione richiesta per il riconoscimento della misura in esame – integrazione del richiedente nel Paese di destinazione – non avendo il ricorrente alcun impiego in Italia non essendo sufficiente lo svolgimento di tirocinio nell’ambito dei progetti dello (OMISSIS), né erano stati allegati specifici fattori di vulnerabilità.

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

4.1. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

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