Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25932 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.15/12/2016),  n. 25932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18407/2015 proposto da:

PROCTER & GAMBLE ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e

difende giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato MICHELANGELO SALVAGNI,

che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 174/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

14/01/2015, depositata il 29/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 8 novembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 29.1.2015, la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del gravame della società Procter & Gamble Italia ed in parziale riforma della decisione di primo grado – che aveva accertato la illegittimità della causale apposta al primo dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato concluso con G.A. e condannato la società al ripristino del rapporto con l’utilizzatore ed al risarcimento del danno – condannava la società al pagamento dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, liquidata nella misura di 10 mensilità, oltre accessori di legge a far data dalla sentenza, condannando l’appellato alla restituzione delle maggiori somme ricevute in esecuzione della sentenza impugnata.

Rilevava la Corte che, pur dovendo ritenersi che l’indicazione della causale “punte di più intensa attività” non fosse di per sè generica, in quanto rientrante nell’ambito delle “…ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo…omissis” di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, salva la necessaria verifica di effettività, con onere probatorio a carico della utilizzatrice, non poteva convenirsi con la società in ordine alla pretesa specificità delle sue deduzioni istruttorie. In particolare, riteneva corretta la valutazione di genericità delle stesse compiuta dal Tribunale, per essere i capi di prova riferiti, in termini privi di puntualità, all’implementazione dei progetti da realizzare, senza alcuna indicazione, nel concreto, di tempi, modi e soprattutto di limiti – temporali ed operativi – entro i quali gli stessi avrebbero dovuto svilupparsi e completarsi e di quali e quante unità lavorative supplementari (ivi incluso il G.) essi avrebbero necessitato e per quale durata.

Osservava che le allegazioni probatorie non consentivano alcuna concreta verifica di effettività della causale, indispensabile per valutare la legittimità del ricorso al tipo contrattuale prescelto, con riferimento ai dati complessivi dell’attività produttiva, non risultando chiarita la divergenza tra la durata del progetto e la minore durata dell’assunzione del lavoratore somministrato.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, il G..

Con il primo motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20 comma 4, art. 22, comma 2 e art. 27, comma 3, nonchè dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., sul rilievo che la sentenza della Corte d’appello non ha valutato le circostanze di cui ai capitoli di prova che avevano riguardo alle punte di più intensa attività da fronteggiare con l’utilizzazione del G., conseguenti ai progetti e alla previsione dei controlli di qualità delle linee di produzione, ed i documenti asseritamente prodotti indicati nella memoria di costituzione di primo grado. Rileva che, in ogni caso, il quadro probatorio tempestivamente delineato era integrabile anche con il ricorso ai poteri istruttori di ufficio del giudice del merito. Con la richiamata norma contrattuale collettiva era autorizzata la stipulazione di contratti di fornitura di lavoro temporaneo in caso di punte di più intensa attività, ciò che si era verificato presso lo stabilimento ove era stato assunto il G., adibito ad attività di cd. campionamento ovvero di controllo di qualità per effetto delle novità introdotte sulle linee di produzione nei macchinari o direttamente nei prodotti, sicchè non poteva il giudizio di merito sconfinare in valutazioni riferite alla opportunità delle scelte imprenditoriali, così come era avvenuto anche nel ritenere generici i capitoli di prova formulati, invece pertinenti e funzionali alla valutazione di effettività richiesta.

Con il secondo motivo, la società lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 27, nonchè dell’art. 2697 c.c., ribadendo che la somministrazione può avere una durata inferiore a quella del picco e che ciò rientra nelle scelte imprenditoriali non sindacabili.

Con il terzo motivo, si censura la decisione per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, sostenendosi che l’effetto sanzionatorio previsto dalla norma consiste nella sostituzione di un soggetto ad un altro nel rapporto contrattuale e non nella nullità del contratto di lavoro, con la conseguenza che doveva ritenersi costituito un rapporto a tempo determinato con l’utilizzatore.

Infine, con il quarto motivo, ci si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 e della L. n. 604 del 1966, art. 8, rilevandosi che la quantificazione dell’indennità risarcitoria risulta erronea ed illegittima in quanto basata sul presupposto del considerevole numero dei contratti, laddove i criteri da considerare erano quelli di cui alla L. del 1966, art. 8, che hanno riguardo a parametri i quali, in considerazione della peculiarità del caso, dovevano indurre la Corte alla determinazione della stessa nella misura minima.

Il primo ed il secondo motivo vanno esaminati congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto.

In tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendo esso estendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’ utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore della prestazione (Cass. 15.7.2011 n. 15610, Cass. 9.9.2013 n. 20598).

Tanto premesso, deve considerarsi che la disciplina della somministrazione di lavoro è dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. da 20 a 28. Il primo di tali articoli, l’art. 20, intitolato “condizioni di liceità”, definisce il contratto di somministrazione e distingue tra somministrazione a tempo determinato e a tempo indeterminato. Con riferimento alla somministrazione a tempo determinato, le condizioni di liceità sono indicate al comma 4, con questa disposizione: “la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività dell’utilizzatore”. L’articolo successivo, il 21, statuisce che il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere una serie di elementi. Tra gli elementi necessari, il punto c) indica “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di dell’art. 20, ai commi 3 e 4”. Il termine “casi” è riferito al terzo comma concernente la somministrazione a tempo indeterminato, consentita nella casistica delineata ai punti da a) e i) di quel comma. Il termine “ragioni” è riferito al comma 4, concernente il contratto di somministrazione a tempo determinato, ammesso solo in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.

Tutto ciò premesso, come già osservato in precedenti di questa Corte (Cass. 8.5.1012 n. 6933) “la risposta da dare al problema concernente la necessità o meno che le ragioni del ricorso alla somministrazione siano specificate non può che essere positiva”. Ed invero, la normativa prevede come “condizione di liceità” che il contratto sia stipulato solo in presenza di ragioni rientranti in quelle categorie ed impone di indicarle per iscritto nel contratto, a pena di nullità (art. 21, u.c.); inoltre, l’art. 27, comma 3, sancisce che il controllo giudiziale è limitato “all’accertamento della esistenza delle ragioni” (e quindi consiste proprio in tale verifica). La conseguenza di tutto ciò è che tali ragioni devono essere indicate per iscritto nel contratto e devono essere indicate, in quella sede, con un grado di specificazione tale da consentire di verificare se rientrino nella tipologia di ragioni cui è legata la legittimità del contratto e da rendere possibile la verifica della loro effettività. L’indicazione, pertanto, non può essere tautologica, nè può essere generica. Non può risolversi in una parafrasi della norma, ma deve esplicitare il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta. (cfr. in tali termini, Cass. 6933/2012 cit.)

Nel caso in esame la sentenza, tuttavia, non risulta basata sulla genericità della causale di cui al contratto di somministrazione, avendo sul punto la Corte del merito affermato che l’indicazione della causale “punte di più intensa attività” non è di per sè generica, in quanto rientrante nell’ambito delle “…ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo…” di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, quanto piuttosto sulla genericità dei capitoli di prova articolati, che non consentivano la necessaria verifica di effettività, non precisando nel concreto, tempi, modi e, soprattutto, limiti temporali ed operativi entro i quali il progetto di automazione dedotto nella causale avrebbe dovuto svilupparsi e completarsi e quali unità lavorative supplementari, incluso il G., esso avrebbe richiesto e per quanto tempo.

Ed invero, è stato da questa Corte al riguardo precisato che potrebbe accadere – come appunto verificatosi nel caso all’esame – che le ragioni siano indicate nel contratto in modo specifico e perfettamente confacente a quanto richiesto dalla legge, ma che poi la concreta utilizzazione del lavoratore non abbia alcun collegamento con tali ragioni (Cass. 8 maggio 2012, n. 6933, cui si rinvia anche per i richiami).

La verifica della corrispondenza dell’impiego concreto del lavoratore a quanto affermato nel contratto è l’oggetto centrale del controllo giudiziario. Non vi sarebbe stato bisogno di una norma specifica a tal fine, perchè valgono le regole generali dell’ordinamento. Tuttavia, del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, precisa che il giudice, se non può sindacare nel merito le scelte tecniche, organizzative o produttive in ragione delle quali un’impresa ricorre alla somministrazione, deve orientare il suo controllo,” all’accertamento delle ragioni che (la) giustificano”, cioè che giustificano il ricorso alla somministrazione.

Il controllo giudiziario è concentrato, quindi, nella verifica della effettività di quanto previsto in sede contrattuale (sul punto, cfr., Cass. 6933 del 2012, cit.; 2521 del 2012 cit., 15610 del 2011 e, da ultimo Cass. 8120 del 2013 nei sensi riportati). Questo accertamento è di competenza del giudice di merito e quindi, se motivato in maniera adeguata e priva di contraddizioni, non può essere rivalutato in sede di legittimità.

A. Corte di appello di Roma ha effettuato la verifica con riferimento alle ragioni indicate dalla società, rilevando che in realtà tali ragioni non potevano essere considerate idonee, in relazione alla genericità delle circostanze oggetto della prova per testi articolata, con riferimento alle componenti identificative essenziali della causale, sia quanto al contenuto che alla sua portata spazio temporale, che, più in generale circostanziale, sì da rendere possibile il controllo della loro effettività. In concreto è stato ritenuto non assolto l’onere di allegazione e prova da parte dell’utilizzatrice, non potendo la ragione temporanea dedotta dirsi provata, senza indicazione alcuna dello stato occupazionale specifico dello stabilimento di (OMISSIS), con riferimento alla posizione del lavoratore assunto a termine, alla precisazione dell’organico ritenuto insufficiente ai fini menzionati nella causale, sì da rendere necessario il ricorso a unità supplementari somministrate per soddisfare le esigenze cui risultava finalizzata l’assunzione del G., oltre che della temporaneità della causale in relazione al contratto stipulato a termine (temporaneità peraltro neanche coincidente, secondo quanto osservato dal giudice del gravame, con la durata del progetto), e dovendo ritenersi insufficiente il generico richiamo alla sussistenza delle esigenze di implementazione connesse ai progetti menzionati, che avrebbe necessitato di ulteriori adattamenti e precisazioni. Anche i documenti richiamati non sono indicati con la dovuta specificazione del relativo contenuto per consentire la valutazione della relativa decisività ai fini considerati, in difformità da quanto ritenuto dal giudice del merito.

Quanto agli ulteriori profili di violazione di legge dedotti, deve osservarsi che un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia invertito gli oneri probatori. E poichè, in realtà, nessuna di queste tre situazioni è rappresentata nei motivi anzidetti, le relative doglianze sono mal prospettate.

Va, in ogni caso, aggiunto, quanto ai suddetti profili di violazione di legge, che è costante l’insegnamento di questa Corte per cui il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (così e per tutte, Cass. n. 16038/13).

Con riguardo al terzo motivo, deve ritenersi che il contratto che si viene ad instaurare con l’utilizzatore della prestazione non può che essere a tempo indeterminato. Invero, occorre osservato da questa Corte (cfr. Cass. 15.7.2011 n. 15610, e, tra le successive, Cass. 8.5.2012 n. 6933) il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1, stabilisce espressamente che in ipotesi di somministrazione avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e) il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.

Pertanto, la stessa efficacia “ex tunc” che la norma in esame ricollega alla sentenza costitutiva provocata da un tale tipo di ricorso rappresenta un valido elemento letterale e logico che autorizza a ritenere che se il legislatore avesse voluto riferirsi alla costituzione di un rapporto diverso da quello a tempo indeterminato non avrebbe certamente avuto ragione di dover far riferimento ad una costituzione del rapporto con effetto dall’inizio della somministrazione stessa. Un ulteriore ed insuperabile argomento sistematico è quello per il quale, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata la disciplina limitativa del contratto a termine: invero, qualora si volesse sostenere che anche il rapporto che si instaura “ex lege” con l’impresa utilizzatrice debba essere a termine, ad onta della accertata illegittimità del ricorso alla tipologia del contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato, si perverrebbe alla inaccettabile ed assurda situazione per la quale la violazione così perpetrata consentirebbe all’impresa utilizzatrice di beneficiare di una prestazione a termine altrimenti preclusa (cfr. Cass. 15610/2011 cit.). Le esposte considerazioni prescindono da ogni considerazione in ordine alla erronea deduzione del vizio, rapportato a violazione di norme relative al contratto di lavoro interinale, che non si attagliano alla fattispecie esaminata.

Il quarto motivo è infondato, posto che i parametri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8, utili alla determinazione della indennità forfetizzata di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, risultano nella specie indirettamente richiamati, attraverso il riferimento alle dimensioni della società appellante cd al numero dei contratti stipulati con lo stesso lavoratore ed alla durata complessiva del rapporto, che è sintomatico di un comportamento dell’azienda non conforme alle regole sottese alla stipula di contratti a somministrazione a termine, oltre che di un’anzianità maturata dal lavoratore nell’ambito di un rapporto reiterato nel tempo con la stessa azienda.

Si propone, alla luce di tali considerazioni, la reiezione del ricorso della società”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Osserva il Collegio che il contenuto della sopra riportata relazione sia pienamente condivisibile siccome coerente alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ciò comporti la reiezione del ricorso della società.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, disponendosene l’attribuzione in favore del difensore del M., dichiaratosene antistatario.

Attesa la proposizione del ricorso in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, vigente il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, deve rilevarsi, in ragione del rigetto dell’impugnazione, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’indicata normativa, posto a carico della ricorrente (cfr. Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborsi delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione all’avv. Michelangelo Salvagni.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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