Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2593 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/02/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 05/02/2020), n.2593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27327-2018 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LUCIO PARRILLO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati NICOLA

VALENTE, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 834/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 834 pubblicata il 6.3.2018 la Corte d’Appello di Napoli ha respinto il ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 5029, pronunciata dalla medesima Corte territoriale il 19.6.17 e depositata il 19.7.17, che aveva confermato la decisione di primo grado, di rigetto della domanda proposta da S.G. e volta alla condanna dell’Inps all’erogazione dell’indennità di accompagnamento oppure della pensione o dell’assegno di invalidità;

2. con la sentenza n. 5029/2017, la Corte territoriale, accertata, tramite c.t.u., l’esistenza di una invalidità nella misura del 78%, aveva respinto, oltre alla domanda di indennità di accompagnamento, anche le restanti domande per difetto di prova del requisito socio-reddituale; in particolare, la sentenza citata aveva statuito: “per quanto attiene alle restanti domande non si rinviene la documentazione socio reddituale aggiornata, per cui la domanda va ugualmente rigettata. Non soccorre infatti in tal senso la certificazione allegata all’odierna udienza che come riportato nella stessa non costituisce idonea certificazione e quindi è inidonea a formare la prova del requisito reddituale in ambito giudiziario”;

3. con la sentenza n. 834/2018, la Corte d’appello ha respinto il ricorso per revocazione ritenendo non integrati i requisiti di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4; più esattamente, ha rilevato come la documentazione socio economica aggiornata, depositata dal S. all’udienza del 19.6.2017, fosse stata esaminata e valutata dai giudici d’appello ma giudicata inidonea all’adempimento dell’onere di prova facente capo al medesimo;

4. avverso tale sentenza S.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso l’Inps;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. con l’unico motivo di ricorso S.G. ha dedotto violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza impugnata erroneamente escluso l’errore revocatorio sebbene la Corte d’appello, nel giudizio di merito, avesse ritenuto prodotta solo la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà e non anche il certificato reddituale rilasciato dall’Agenzia delle entrate;

7. ha sottolineato come la statuizione contenuta nella sentenza n. 5029/2017 (“…la certificazione allegata all’odierna udienza che come riportato nella stessa non costituisce idonea certificazione”) potesse logicamente riferirsi solo alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà e non al certificato dei redditi rilasciato dall’Agenzia delle entrate;

8. il ricorso è inammissibile, anzitutto, per il mancato rispetto degli oneri di specificazione ed allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; in particolare, non reca la trascrizione del verbale d’udienza del 19.6.17 nel corso della quale sarebbe stata depositata la documentazione che si assume ignorata dalla Corte d’appello; inoltre, non risultano trascritti nel ricorso nè riprodotti in allegato i certificati rilasciati dall’Agenzia delle entrate;

9. comunque, la Corte d’appello adita in sede revocatoria si è conformata all’orientamento consolidato secondo cui l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di sussunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; in altri termini, l’errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, ma non può tradursi in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass., S.U., 11/04/2018, n. 8984; Cass. Sez. Un. 27/12/2017, n. 30994; Cass. 28/7/2017, n. 18899; Cass. S.U., 23/12/2009, n. 27218);

10. nel caso in esame, correttamente la sentenza impugnata ha escluso l’applicabilità dell’art. 395 c.p.c., n. 4, sul rilievo che la produzione della documentazione socio reddituale nel corso dell’udienza 19.6.17 aveva rappresentato un fatto controverso su cui la Corte di merito si era pronunciata, ritenendo la documentazione allegata inidonea all’assolvimento dell’onere di prova gravante sul S.;

11. tanto basta ad escludere l’errore revocatorio;

12. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

13. le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

14. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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