Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2593 del 02/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 2593 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BOGHETICH ELENA

ORDINANZA
sul ricorso 6922-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo
studio dell’avvocato SALVATORE TRIFIR0′, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
4051

PALAZZOLO SANDRO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DEL SUDARIO 18, presso lo studio dell’avvocato
ANTONIO PELAGGI, che lo rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– controricorrentie-

Data pubblicazione: 02/02/2018

avverso la sentenza n. 19/2012 della CORTE D’APPELLO

di MILANO, depositata il 05/03/2012 R.G.N. 2007/2009.

n. 6922/2013 R.G.

RILEVATO
che con sentenza depositata il 5.3.2012 la Corte d’Appello di Milano, in riforma della
pronuncia di prime cure, dichiarava illegittimo il contratto di lavoro a termine stipulato
tra Sandro Palazzolo e Poste Italiane spa il 15.11.2007 ai sensi dell’art. 2, comma 1
bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001, in successione ad un precedente contratto, rilevando
che – pur trattandosi di tipologia di contratti a termine di natura aggiuntiva (nel senso
1 bis, del

d.lgs. n. 368 non prevede né una durata massima complessiva dei contratti a tempo
determinato né un arco temporale massimo in cui stipulare e rinnovare detti contratti,
in violazione dei criteri dettati dalla direttiva 1999/70 CE in materia di successioni di
contratti, eli sottolineando l’impossibilità di applicare la novella legislativa di cui all’art.
1, commi 40-43, della legge n. 247 del 2007, trattandosi di successione di contratti

realizzata in parte sotto la vigenza della precedente normativa;
che avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la società ha proposto
ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria;
che il lavoratore intimato ha resistito con controricorso;
CONSIDERATO
che con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce vizio di motivazione (in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.) avendo, la Corte territoriale,
contraddittoriamente ritenuto, da una parte, la legittimità dei contratti acausali in
considerazione della peculiarità del settore dei servizi postali e, dall’altra, la violazione
della clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla direttiva 1999/70/CE.
che con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 2, comma 1 bis del D.Lgs. n. 368 del 2001 nonché degli artt. 10 e 117 Cost.
(in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), avendo la Corte, trascurato, di
considerare – come anche rilevato dal giudice delle leggi (sentenza n. 124/2009) che la disposizione costituisce la tipizzazione legislativa di un’ipotesi di valida
apposizione del termine, in cui l’assenza di necessità di una causale è controbilanciata
da altri specifici limiti (servizi postali, periodi determinati dell’anno e durata massima
dei contratti, percentuale rispetto all’organico aziendale, obbligo di informativa alle
organizzazioni sindacali);

1

di tipizzata e speciale) per il settore dei servizi postali – l’art. 2, comma

n. 6922/2013 R.G.

che con il terzo ed il quarto motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 5, comma 4 bis del D.Lgs. n. 368 del 2001 nonché dell’art. 1,
comma 43, lett. b) della L. n. 247 del 2007 nonché vizio di motivazione (in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), avendo, la Corte territoriale, erroneamente
interpretato la disciplina transitoria, che ha previsto espressamente il cumulo dei
contratti già effettuati alla data di entrata in vigore della novella con quelli successivi,

che con il quinto motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
c.p.c.) avendo, la Corte territoriale, riconosciuto al lavoratore un risarcimento del
danno pari a 12 mensilità nonostante l’indennità omnicomprensiva sia ridotta alla
metà ove – come nel caso di specie – siano sottoscritti accordi per l’assunzione dei
lavoratori impiegati a termine;
che ritiene il Collegio si debba accogliere il ricorso avendo questa Corte di legittimità
recentemente affermato il seguente principio di diritto:

“Le assunzioni a tempo

determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste,
che presentino i requisiti specificati dal comma 1-bis dell’art. 2 del decreto legislativo
n. 368 del 2001, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del primo comma dell’art. 1 del
medesimo decreto legislativo” (S.U. n.11374/2016), nonché sottolineato che, dalla
lettura sistematica del decreto legislativo n. 368 del 2001 emerge come nello specifico
settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali l’apposizione del termine è
consentita in presenza di specifici requisiti (che costituiscono delimitazioni temporali e
quantitative), distinti dalla regola della causalità che opera per la generalità dei settori
produttivi;
che, quindi, se l’assunzione avviene nei settori su indicati e nel rispetto di tali limiti,
non è necessario indicare in contratto, ai sensi dell’art. 1, le ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo giustificano in quanto la
valutazione in ordine alla sussistenza della giustificazione è stata fatta ex ante dal
legislatore;
che la ricostruzione esegetica che propone la sommatoria dei requisiti previsti dall’art.
1, comma 1, con i limiti dettati dall’art. 2 D.Lgs. n. 368 del 2001 – invece che
l’alternatività – contrasta con le ragioni testuali, teleologiche e sistematiche indicate,
2

spostando all’1.4.2009 esclusivamente l’applicazione della sanzione;

n. 6922/2013 R.G.

ed è già stata respinta sia dalla Corte di Cassazione (sentenze nn. 11659/2012,
13221/2012; con riguardo al personale navigante e all’art. 1, lett. f) della legge n.
230 del 1962, sentenza n. 3309/2006), sia dalla Corte di giustizia dell’ Unione
europea (11 novembre 2010, Vino c. Poste italiane .spa, C-20/10) sia dalla Corte
costituzionale (sentenza n. 214 del 2009);
che

nemmeno

in caso di successione di contratti può essere ravvisata

1999/70 CE della normativa italiana che permette la stipulazione di più contratti a
termine senza necessità di indicare le ragioni della scelta (come previsto dall’art. 1
del d. Igs. 368/2001) ma in presenza dei soli presupposti richiesti dall’art. 2, commi 1
e 1- bis, avendo precisato, la Corte di giustizia europea (Grande sezione, 4 luglio
2006, in proc. C-212/04, Adeneler c. Ellenikos Organismos Galaktos) che quella
indicata dalla lett. a) del punto n. 1 della clausola 5 dell’accordo quadro

(“ragioni

obiettive per la giustificazione del rinnovo”) è una delle tre misure considerate idonee
a prevenire gli abusi, che non devono essere tutte presenti in quanto è sufficiente che
lo Stato membro ne adotti una;
che, con riferimento ai settori indicati nei commi 1 e 1-bis dell’art. 2, il legislatore
italiano – introducendo, con la legge n. 247 del 2007, l’art. 5, comma 4-bis, del d.
Igs. 368/2001, il limite massimo dei 36 mesi, da calcolare “indipendentemente dai
periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro” –

ha adottato la

misura prevista dalla lett. b) (“durata massima totale dei contratti o rapporti a tempo
determinato successivi”),

in aggiunta peraltro ad altre restrizioni specifiche e il

meccanismo di cui alla disciplina transitoria dettata dall’art. 1, comma 43 della legge
n. 247 del 2007 introduce una forma di tutela dei lavoratori con contratti a termine in
corso alla data dell’entrata in vigore della legge (1.1.2008) in base alla quale non solo
sono conteggiati i contratti a termine precedenti, ma il periodo oltre il quale si
determina la conversione è ridotto al 31/3/09 e, dunque senza necessità di attendere i
36 mesi a decorrere dall’entrata in vigore della legge (cfr. S.U. n.11374/2016 che
richiama Cass. nn. 19998/2014 e 13609/2015);
che nel caso di specie, la sommatoria dei contratti a tempo determinato stipulati tra
le parti si colloca ben al di sotto della soglia legale dei 36 mesi;
che, in conclusione, i primi quattro motivi del ricorso vanno accolti, assorbito il quinto,
e la sentenza impugnata deve essere cassata; non essendo necessari ulteriori
3

l’incompatibilità con la clausola n. 5 dell’accordo quadro recepito nella direttiva

n. 6922/2013 R.G.

accertamenti, la causa va decisa nel merito, con il rigetto delle domande introduttive
del giudizio;

che le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
art. 13, comma 1. quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma

P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito,
rigetta le domande introduttive del giudizio. Compensa le spese del procedimento di
merito e condanna il controricorrente al pagamento delle spese di lite a favore della
società ricorrente, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi
professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 ottobre 2017.

17 (legge di stabilità 2013);

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