Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25929 del 24/09/2021

Cassazione civile sez. II, 24/09/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 24/09/2021), n.25929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25384/2019 proposto da:

M.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Rizzato,

con studio in Vicenza, via Napoli 4;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), ope legis domiciliato in Roma, Via

Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3165/2019 della Corte d’appello di Venezia,

depositata il 26/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– M.M., cittadino del Bangladesh, ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello che ha respinto il di lui gravame contro il diniego della protezione internazionale e di quella c.d. umanitaria;

– a sostegno delle domande di protezione internazionale ha allegato di essere partito dal suo Paese a causa delle dicerie in merito alla sua omosessualità; a quindici anni era stato avvicinato per la prima volta da un suo vicino di casa, benestante, che gli aveva offerto del danaro in cambio di prestazioni sessuali: al suo rifiuto il vicino aveva iniziato a minacciarlo ed a diffondere dicerie riguardo alla sua presunta omossessualità, contando sulla sua impunità derivante dalla condizione sociale superiore ed esponendo invece il richiedente alle minacce ed angherie della comunità; a causa di ciò nel (OMISSIS) il richiedente e la sua famiglia si trasferivano presso parenti dopo aver venduto la casa e la terra; poiché le voci infamanti erano giunte anche presso la nuova residenza, la sua famiglia lo spingeva a partire usando in parte il danaro ricavato dalla vendita del terreno insieme ad altro richiesto in prestito;

– la corte d’appello ha ritenuto il suo racconto non credibile in ragione della genericità e della contraddittorietà dello stesso e ha, pertanto, escluso in capo al richiedente asilo il pericolo di vita nei sensi di cui alla legislazione sulla protezione internazionale;

– il giudice d’appello ha altresì escluso la fondatezza della domanda di protezione sussidiaria sia con riguardo del D.Lgs. n. 251 del 2003, art. 14, lett. a) e b), sia con riguardo alla fattispecie di cui del medesimo art. 14, lett. c), avuto riguardo alle informazioni acquisite attraverso le fonti informative accreditate circa la condizione generale del Bangladesh;

– la corte territoriale ha altresì escluso la protezione umanitaria non riconoscendo in capo al richiedente l’allegazione di alcuna situazione di vulnerabilità soggettiva né ravvisando, ai fini del giudizio di comparazione tra la condizione di vita del Paese di accoglienza e quella del Paese di provenienza, il rischio di pregiudizio per i diritti fondamentali costituenti lo statuto irrinunziabile della persona (cfr. Cass. 4455/2018; Sez. Un. 29459/2019);

– la cassazione della sentenza impugnata è chiesta sulla base di due motivi cui resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, per erronea e contraddittoria motivazione, vizio logico con riferimento al rigetto della domanda di protezione internazionale per avere la corte d’appello ritenuto il ricorrente un migrante economico;

– la censura è inammissibile perché non attinge la valutazione di non credibilità assunta a base del diniego della protezione internazionale nelle forme cd. individualizzanti, le quali presuppongono l’accertamento in capo al richiedente asilo di una personale esposizione a condotte persecutorie per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica (così lo status di rifugiato) ovvero la sussistenza di fondati motivi per ritenere che ove tornasse nel Paese di origine correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

– la corte ha motivato la conclusione richiamando la genericità e contraddittorietà delle dichiarazioni rese in occasione delle due audizioni svolte – una avanti alla Commissione ed una avanti al Tribunale – e tale valutazione risulta effettuata secondo i criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, sicché dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, ed incensurabile in sede di legittimità se non nella forma dell’omesso esame di un fatto decisivo e che nel caso di specie non è stato allegato (cfr. Cass. 14674/2020; id. 28872/2020);

– con il secondo motivo si denuncia l’erronea motivazione e vizio logico con riferimento al rigetto della domanda di protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998;

– la censura è inammissibile perché il ricorrente – come anche sopra evidenziato – per un verso, non ha attinto in termini efficaci la conclusione di non credibilità, rilevante ai fini dell’apprezzamento della vulnerabilità soggettiva e, per l’altro, non ha indicato quali elementi di fatto aveva allegato per attestare l’effettiva integrazione sociale che la corte territoriale, da parte sua, non ha ravvisato;

– l’inammissibilità di entrambi i motivi giustifica l’inammissibilità del ricorso;

– nulla va disposto sulle spese perché il controricorso non ha i requisiti minimi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, richiamati nell’art. 370 c.p.c., ed è quindi inammissibile (cfr. Cass. 5400/2006; 12171/2009; 9983/2019);

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2021

 

 

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