Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25928 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. III, 15/10/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 15/10/2019), n.25928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7017-2017 proposto da:

A.C. SOLUZIONI SRL in persona del legale rappresentante pro tempore

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BETTOLO 9,

presso lo studio dell’avvocato MAURO BOTTONI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

DIRECT LINE INSURANCE SPA, C.L., T.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 16625/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 08/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. A.C. Soluzioni S.r.l., assicuratrice della parte danneggiata a causa di un sinistro stradale, ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma, pubblicata in data 8 settembre 2016, con la quale, in riforma della pronuncia del giudice di pace di Ostia che si era dichiarato incompetente per territorio, il Giudice dell’appello condannava Direct Line Insurance S.p.A. al pagamento di Euro 636,00 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, quale importo derivante dalla cessione di credito, operata dalla danneggiata C.L., in occasione del noleggio di un’auto stipulato in conseguenza di un sinistro stradale provocato da T.A., assicurata da Direct Line Insurance S.p.A… Le parti intimate non notificavano controricorso.

2. Per quanto qui di interesse, riferisce la società ricorrente, cessionaria del credito da fermo tecnico vantato dalla propria assicurata, che, trattandosi della cessione di un credito derivante da un sinistro stradale, e dunque costituente un debito di valore per la società assicuratrice della danneggiante, sono dovuti gli interessi compensativi sulle somme rivalutate di anno in anno dal sinistro, e non solo gli interessi legali dalla domanda al saldo, come invece riconosciuto dal Tribunale; inoltre deduce di avere diritto a ricevere la somma di Euro 200,00 e la somma di Euro 26,84 per esborsi, importi non riconosciuti in quanto non provati o comunque non oggetto di cessione; assume infine di avere diritto alla liquidazione delle spese legali che invece sono state compensate in ragione della ritenuta soccombenza parziale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1263 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3, laddove il Tribunale di Roma ha riconosciuto i soli interessi legali sulla somma di Euro 636,00, quale credito risarcitorio oggetto di cessione, dalla domanda al soddisfo, posto che gli interessi da sinistro, essendo un credito risarcitorio costituente debito di valore per il danneggiante, andrebbero calcolati sulla stessa somma via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat sino al saldo.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. La compagnia assicuratrice qui ricorrente ha agito nei confronti

della danneggiante e dell’assicurata per far valere il credito oggetto di cessione, rimasto insoluto. Il Tribunale ha riconosciuto alla cessionaria Euro 636,00 in linea capitale, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, quale somma corrispondente alla cessione del credito derivante da un noleggio di un’auto, stipulato dalla cedente in conseguenza del “fermo tecnico dell’auto” subito a causa di un sinistro.

1.3. In tema di cessione del credito, la previsione dell’art. 1263 c.c., comma 1 in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli “altri accessori”, deve essere intesa nel senso che nell’oggetto della cessione rientri la somma delle utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto, cioè ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione, nonchè alla tutela del credito. Ne consegue che, in linea di principio, nell’oggetto della cessione di credito deve reputarsi incluso il diritto al risarcimento del maggior danno derivante dal ritardo nel pagamento del credito stesso (e maturato al momento della cessione), trattandosi di diritto che non può esistere o estinguersi se non congiuntamente al credito ceduto e che direttamente consegue al ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale, senza che a tale inclusione sia d’ostacolo la previsione dell’art. 1263 c.c., u.c., secondo la quale la cessione non comprende, salvo patto contrario, i frutti scaduti e, quindi, gli interessi scaduti, dai quali il suddetto credito risarcitorio differisce ontologicamente e funzionalmente, essendo meramente eventuale e condizionato alla perdita di valore della moneta durante il ritardo nel pagamento, mentre quelli scaduti, essendo certi nell’esistenza e nell’ammontare, costituiscono entità autonoma nel patrimonio del creditore cedente all’atto della cessione (nella specie il cessionario aveva richiesto nei confronti del debitore ceduto il maggior danno verificatosi fino alla cessione, adducendo la qualità di imprenditore commerciale del cedente, cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9823 del 15/09/1999).

1.4. Dovendosi applicare il suddetto principio al caso concreto, il credito oggetto di cessione, anche se come causa remota deriva da un fatto illecito di cui è stato chiesto il risarcimento, come causa prossima inerisce a un esborso già certo nel suo ammontare al tempo della cessione, il cui importo in linea capitale è specificato nell’atto di cessione. Esso pertanto non ricomprende la perdita di valore della moneta durante il ritardo nel pagamento, mentre gli interessi scaduti che costituiscono entità autonoma nel patrimonio del creditore cedente, essendo certi nell’esistenza e nell’ammontare, costituiscono entità autonoma nel patrimonio del creditore cedente all’atto della cessione.

1.5. Conseguentemente, nel caso di ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria, il maggior danno si calcola ex art. 1224 c.c., comma 2, in quanto ha funzione risarcitoria e non compensatoria; in quanto tale, deve essere provato dal creditore dalla data in cui riceve l’atto di cessione. Sicchè, per tali crediti il danno da svalutazione monetaria non è “in re ipsa”, ma deve essere provato dal creditore, quantomeno deducendo e dimostrando che il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato di durata annuale è stato superiore, nelle more, agli interessi legali (Cass. Sez. 1, 20868/2015; Cass. Sez. 1, 1377/2008; Sez. 2, Sentenza n. 1087 del 18/01/2007).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3 per il fatto che il Tribunale ha omesso di riconoscere le spese di patrocinio e quelle per l’acquisizione della documentazione necessaria ai fini della lite.

2.1. Il motivo n. 2 è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi che ha ritenuto non provati gli esborsi per il patrocinio per il recupero bonario del credito, pari a Euro 200,00, quindi motivando sul punto. E’ inammissibile anche quanto all’esborso di Euro 26,00 perchè non si tratta di omissione di pronuncia, ma eventualmente di un errore di diritto o di calcolo non dedotto nelle debite forme.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 91 c.p.c..

essendo state compensate le spese legali, nonostante la posizione prevalentemente vittoriosa dell’attrice qui ricorrente.

3.1. Il motivo è in parte assorbito e in parte inammissibile.

3.2. Il motivo è assorbito per quanto riguarda la richiesta di liquidare le spese del presente giudizio, costituendo un “non motivo” e una conseguenza da valutarsi in relazione dell’esito del presente giudizio.

3.3. Il motivo è invece inammissibile per quanto riguarda la valutazione operata dal giudice del merito. In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 1572 del 23/01/2018; Sez. 1 -, Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017).

4. Conclusivamente il ricorso viene rigettato; nulla per le spese.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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