Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25927 del 19/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 25927 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 5346-2012 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, TRIOLO VINCENZO,
STUMPO VINCENZO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente contro
TRICASE GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO
GIUSEPPE SANTE, che lo rappresenta e difende unitamente

Data pubblicazione: 19/11/2013

all’avvocato PONZONE GIOVANNI GAETANO giusta procura
speciale in calce al controricorso;

controlicorrente

avverso la sentenza n. 136/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/09/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;
udito l’Avvocato Antonietta Coretti difensore del ricorrente che si
riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. TOMMASO BASILE che
aderisce alla relazione.

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Ric. 2012 n. 05346 sez. ML – ud. 16-09-2013
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del 10/01/2011, depositata il 15/02/2011;

FATTO e DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 16 settembre
2013, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con ricorso al Tribunale di Bari, Tricase Giuseppe, operaio agricolo a
tempo determinato, aveva convenuto in giudizio l’Inps, chiedendo venisse accer-

tato il suo diritto alla differenza dell’indennità di disoccupazione per l’anno 2001;
il ricorrente – premesso che il trattamento di disoccupazione gli era stato corrisposto dall’Istituto sulla base del salario medio convenzionale congelato all’anno
1995 – sosteneva che il medesimo trattamento doveva essere invece calcolato, ai
sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, sui minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva provinciale, ivi compreso l’elemento denominato t.f.r., con
conseguente diritto alle differenze tra quanto spettante e quanto percepito.
La domanda è stata rigettata dal giudice di primo grado, la cui decisione è
stata riformata dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il 15 febbraio 2011, che ha accolto la domanda.
Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione affidato a tre
motivi.
Il Tricase resiste con controricorso.
Il procedimento è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le modifiche e
integrazioni successive, in particolare quelle apportate dalla legge 18 giugno 2009
n. 69.
Preliminarmente va rilevato che il ricorrente istituto ha indicato nel ricorso il valore della controversia in ossequio al disposto dell’ultimo periodo dell’art.
152 disp. Att. C.p.c. aggiunto dall’art. 38 co.1° DL 6.7.2011 conv. In L. 15.7.2011
n.111. L’eccezione di inammissibilità del ricorso è, dunque, infondata.
Col primo motivo, l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 47 D.P.R. 30
aprile 1970 n. 639 e successive modificazioni.
Col secondo e col terzo motivo l’Istituto ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98/2011, convertito in L. n. 111/2011
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e, in via subordinata, degli artt. 46, 51 e 55 del CCNL per gli operai agricoli e florovivaisti del 2002 in relazione all’art. 6, comma 4°, lettera a) del d.lgs. n. 314/97
nonché in relazione agli artt. 1362 e ss., 2120 cod. civ. ed all’ artt. 4 commi 10° e
11 0 legge 297/82, censura, in via logicamente subordinata, la sentenza unicamente per avere incluso nella retribuzione da prendere a base per la liquidazione
dell’indennità di disoccupazione anche la voce denominata “quota di TFR”, la

quale invece non dovrebbe esserlo, per avere essa — contrariamente a quanto affermato la Corte territoriale — effettiva natura di retribuzione differita.
Il ricorso è manifestamente infondato nel primo motivo e manifestamente
fondato nel secondo e nel terzo, qui trattati unitariamente.
Va premesso che l’originario testo dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970 n.
639 stabiliva quanto segue.

‘Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi
all’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod. proc. civ.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto
o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date di cui
al precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a carico
dell’assicurazione contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria .
Col successivo art. 6 del DI. 29 marzo 1991 n. 103, convertito con modificazioni nella legge 10 giugno 1991 n. 166, ritenuto da Corte Cost., con la sent. n.
246 del 1992, di interpretazione autentica dell’art. 47 D.P.R. n.639/70, venne poi
stabilito:
“/

I termini previsti dall’art. 47, commi secondo e terzo del D.P.R. 30 aprile 1970

n. 639 sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale.
la decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e

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l’inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso
amministrativo, i termini decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2 — Le cliqmsizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non si
applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore de/presente decreto”.
Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi secondo e terzo
del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai seguenti:

‘Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della
decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del
termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla
data di presentazione della richiesta di prestazione.
Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’art. 24 della legge 9
marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente commd’.
L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le disposizioni indicate “non

si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente
decreto ancora in corso alla medesima data”.
Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6 luglio 2011
n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto al citato art. 47
un ultimo comma, del seguente tenore: `Le decadenze previste dai commi che precedono

si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al quarto comma che “Le disposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si applicano

anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore de/presente decreto”.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la giurisprudenza consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da ultimo, sulla base di Cass.
S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi della precedente Cass. S.U.
18 luglio 1996 n. 6491-, dr., ad es., Cass. 20 gennaio 2010 n. 948 e 26 gennaio
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2010 n. 1580) era, per quanto qui interessa e fino alla citata recente novella del
2011, nel senso della inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento di prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente
dall’ente previdenziale.
Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto nell’ambito

della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile

1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti
quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto
alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già
riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne
abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che
non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da un
collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria depositata il 18 gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa Corte, sulla base del rilievo che
l’interpretazione prevalente non apparirebbe giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle finalità della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni
tipo di azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle sezioni unite
della Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata novella di cui
all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito
in legge n. 111/’11, è stata quindi disposta la restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della considerazione della necessità di valutare la persistenza del
proposito di investire della questione le sezioni unite, alla luce della valutazione
della eventuale incidenza delle norme di legge citate sulla interpretazione del l’art.
47, vigente prima di essa.

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Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina, esprimendo il
proposito del legislatore di modificare in materia, con una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale consolidatasi per effetto delle recente pronuncia delle sezioni unite del 2009, conferma indirettamente la corrispondenza di
quest’ultima all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella
del 2011.

L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della
Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo stesso legislatore convincono in definitiva il collegio della inapplicabilità dell’art. 47 del D.P.R.
30 aprile 1970, n. 639, prima delle integrazioni apportate dell’art. 38 del D.L. n.
98 del 2011, al caso di richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo
parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
Essendosi la Corte territoriale attenuta a tale regola, il primo motivo di ricorso dovrebbe essere respinto.
Sono invece manifestamente fondati il secondo e il terzo motivo.
In proposito, si ricorda che questa Corte ha ripetutamente enunciato, ad
es. con la sentenza n. 202/2011, con riferimento a fattispecie analoghe a quella in
esame, il seguente principio: “Confermandosi quanto già ritenuto dalla precedente sentenza

di questa Corte n. 10546/2007 per cui ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee
in agricoltura, la nozione di retribuzione – definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da
porre a confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 del D.lgs. 16 aprile 1997 n. 146
– non è comprensiva del trattamento di fine rapporto, va ulteriormente affermato che, sulla base
del suddetto principio, la voce denominata “quota di l FR” dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della
disposizione di cui all’ad. 3 D.L. 14 giugno 1996 n. 318 convertito in legge 29 luglio 1996
n. 402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi
collettivi, non può essere individuata in diffòrmità rispetto a quanto definito negli accordi stessi.
Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti sti-

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pulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte
dell’autonomia collettiva.”
Si rileva altresì, in proposito, che recentemente il significato della norma di
cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 146 del 1997 individuato dalla giurisprudenza sopra citata è stato esplicitato anche dal legislatore, che all’art. 18, comma 18° del D.L. n.

“L’art. 4 del D. Lgs. 16 aprile 1997 n. 146 e l’art. 1, comma 5° del D.L. 10 gennaio 2006
n. 2, convertito con moddicazioni dalla lege 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso
che la retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai agricoli
a tempo determinato non è comprensiva della voce del trattamento di fine rapporto comunque
denominato dalla contrattazione collettiva”.”
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Il Collegio condivide il contenuto della relazione, ritenendo il ricorso
fondato nei termini sopra precisati con la conseguente cassazione della sentenza
impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda della resistente.
Alla luce della norma di interpretazione autentica sopravvenuta, che ha
definitivamente consentito di superare i contrasti interpretativi esistenti nella materia, ricorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero processo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta la domanda relativa alla inclusione del TFR nella base retributiva. Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, il 16 settembre 2013
Il Presidente

98 del 2011, convertito nella legge n. 111 dello stesso anno, ha specificato che

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