Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25927 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.15/12/2016),  n. 25927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15996/2015 proposto da:

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO

EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA,

che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., M.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4600/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 06/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 8 novembre 2016, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Questa Corte, con sentenza n. 4600 del 6.3.2015, rigettava il ricorso per cassazione proposto da M.B. avverso la decisione della Corte di appello di Reggio Calabria che aveva respinto il gravame avverso la decisione di primo grado. Quest’ultima aveva ritenuto l’insussistenza, in capo al predetto, del diritto di prelazione e riscatto nei confronti del fratello G. nonchè del padre A. (e, dopo il decesso di questi, nei confronti degli eredi collettivamente ed impersonalmente) ex art. 230 bis c.c., penultimo comma, quale conseguenza dell’avvenuta cessione del patrimonio aziendale facente parte dell’impresa familiare costituta fra gli indicati tre soggetti. La Corte di Cassazione riteneva corretto quanto osservato dalla Corte del merito in ordine alla perdita del diritto suddetto, per essere intervenuta l’accettazione, da parte di M.B., della liquidazione della quota di sua pertinenza prima del contratto di cessione dei beni aziendali effettuata dal padre in favore del figlio G., a titolo oneroso in data 10.10.2000.

Di tale decisione chiede la revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, M.B., fondando il ricorso su due motivi.

M.G. e M.S., nella qualità di eredi M.A., sono rimasti intimati.

Il ricorrente deduce che la sentenza della Corte di Cassazione sarebbe suscettibile di revocazione per errore di fatto (travisamento del contenuto di scrittura privata), ex art. 395 c.p.c., comma 4, costituito dall’avere questa Corte fondato la propria decisione sulla supposizione dell’esistenza di un fatto – l’avere M.B. convenuto con scrittura del (OMISSIS) l’adesione alla liquidazione della sua quota rinunciando contestualmente e tacitamente a qualsiasi eventuale, ipotetico diritto, ivi compreso quello alla comunicazione delle successiva cessione del compendio aziendale laddove era comprovabile per tabulas che la scrittura citata era relativa alla divisione al 50% di “ogni tipo di voce” dell’intero patrimonio dell’impresa familiare tra i due fratelli.

Con il secondo motivo, si deduce travisamento, ex art. 395 c.p.c., comma 4, del contenuto del primo motivo di ricorso per cassazione, sul rilievo che ciò che si sosteneva era l’irrilevanza della “ricostruzione della vicenda operata dalla Corte di appello” in quanto l’avere il titolare celato l’intenzione di cedere l’impresa manifestando falsamente quella di cessare l’attività legittimava per ciò solo l’istante ad esercitare – per subdola violazione del suo diritto di prelazione – il suo diritto di riscatto.

Il ricorso è inammissibile se vengono condivise le argomentazioni che seguono.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, riferito alle ipotesi in cui la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità e positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l’esistenza o l’inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare. E quindi, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217/2009, nonchè 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005).

Vale a questo punto precisare che la errata percezione e la svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabili, in cui, secondo il ricorrente, la Corte sarebbe incorsa, sono rappresentati dalla supposta inesistenza di un fatto decisivo rappresentato dalla circostanza che nella riunione del 19.9.2000 M.B. abbia sottoscritto l’accordo per la liquidazione della quota di partecipazione, laddove dagli atti e dai documenti di causa risultava positivamente accertata che l’oggetto della scrittura fosse unicamente la divisione al 50% del patrimonio dell’impresa familiare tra i due fratelli.

La Corte nella sentenza della quale si chiede la revocazione ha rilevato come la consequenzialità logico-temporale degli accadimenti evidenziasse che M.B. non solo avesse ritenuto corretti i conteggi effettuali in sede di ripartizione del valore patrimoniale nella riunione del 19.9.2000, ma, nel momento in cui aveva ritenuto di accettare la liquidazione della quota (non contestando preventivamente i conteggi suddetti), aveva contestualmente e tacitamente rinunciato ad ogni diritto, ivi compreso quello alla comunicazione della successiva cessione del compendio aziendale, caratterizzata peraltro da vendite frazionate dei cespite.

Lo sviluppo argomentativo della decisione pone in evidenza come l’individuazione del momento dell’accettazione della quota anteriormente alla cessione dell’azienda in base ad un giudizio di merito effettuato dalla Corte di Reggio Calabria e ritenuto incensurabile in sede di legittimità, in quanto costituente l’oggetto di un accertamento di fatto del giudice del merito, assuma, nell’ambito della pronunzia resa, valore decisivo ai fini del rigetto del ricorso. Nè risulta che sia stata censurata la decisione di secondo grado con riferimento ad una tale ricostruzione degli elementi fattuali, emergendo piuttosto che la critica fosse fondata sulla impossibilità di ravvisare la perdita del diritto di prelazione in caso di ingannevole comportamento da parte del titolare dell’impresa. La prospettazione dell’errore imputato alla Corte non rientra pertanto nel paradigma dell’errore revocatorio, essendo la stessa fondata su proposizioni che attengono alla erronea interpretazione del contenuto della scrittura siglata da M.B. il (OMISSIS), quale effettuata dalla Corte di appello di Cagliari anche in correlazione con ulteriori elementi rilevanti nella individuata sequenza logico temporale, il che vale ad attenuarne anche il carattere di decisività,stante la concorrente rilevanza attribuita alla comunicazione della cessazione dell’attività rispetto alla quale è stato ritenuto che il ricorrente si fosse determinato alla accettazione della liquidazione della propria quota, in presenza di conteggi non contestati.

In conclusione, le critiche avanzate non configurano un errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 4, sia in ragione della mancanza di evidenza del fatto che si assume erroneamente percepito, attenendo il vizio prospettato piuttosto all’assunzione del fatto stesso nell’ambito del procedimento valutativo complessivamente condotto, sia perchè, per quanto detto, non si allegano elementi idonei a consentire la verifica della concreta incidenza del prospettato errore sulla pronuncia rispetto alla quale si invoca il rimedio revocatorio.

Per tutto quanto esposto, si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso con Ordinanza, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c.”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Osserva il Collegio che il contenuto della sopra riportata relazione sia pienamente condivisibile siccome coerente alla giurisprudenza di legittimità in materia, non risultando lo stesso scalfito dalle osservazioni di cui alla indicata memoria, e che ciò comporti la inammissibilità del ricorso. In particolare, il rilievo secondo cui la Corte avrebbe ignorato il primo motivo del ricorso per cassazione, deve essere disatteso sulla base del principio espresso da questa Corte, in forza del quale, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento da parte della Corte di un motivo di ricorso qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (cfr. Cass. 4.3.2009 n. 5221). In ogni caso non vi è stata un’omissione di pronuncia conseguente all’asserito travisamento del motivo, proprio in relazione alla circostanza che il motivo era stato enunciato nella parte espositiva della pronunzia. Ogni altro rilievo si sostanzia in una critica alla ricostruzione e valutazione delle risultanze processuali e non denuncia alcun travisamento palese dei fatti di causa.

Nulla va statuito sulle spese del presente giudizio, essendo M.G. e M.A. rimasti intimati.

Attesa la proposizione del ricorso in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, vigente il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, deve rilevarsi, in ragione del rigetto dell’impugnazione, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’indicata normativa, posto a carico del ricorrente (cfr. Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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