Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25924 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. un., 05/12/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 05/12/2011), n.25924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Presidente Sez. –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ASSESSORATO LAVORI PUBBLICI DELLA REGIONE SICILIA, in persona

dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi

n. 12, è domiciliato per legge;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CATENANUOVA, in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta n.

116/2007, depositata il 27 aprile 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per la inammissibilità o il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Impresa Sacco Sante conveniva in giudizio, dinnanzi a Tribunale di Enna, il Comune di Catenanuova chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla eccessiva sospensione appalto dallo stesso Comune concessole, relativo alla primo stralcio della zona artigianale.

A sostegno della domanda l’attrice assumeva che, dei lavori di un costruzione del a seguito della necessità di provvedere all’adozione di una perizia di variante, il Comune aveva provveduto a trasmettere al Comitato Tecnico Amministrativo Regionale di Palermo (CTAR) la richiesta in data 26 ottobre 1994; che il suddetto organo aveva deliberato in data 15 dicembre 1994; che la decisione era stata trasmessa al Comune con nota del 10 maggio 1995; che si era quindi verificato un inammissibile ritardo nell’esecuzione dell’opera e quindi un danno per il prolungato fermo dei lavori.

Il Comune si costituiva in giudizio e chiedeva di essère autorizzato a chiamare in garanzia l’Assessorato Regionale ai Lavori Pubblici, del quale il CTAR era un’articolazione interna.

Espletata una consulenza tecnica d’ufficio, l’adito Tribunale quantificava il danno in Euro 85.565,99 e ne disponeva il pagamento, quanto all’80%, a carico dell’Assessorato e, quanto al 20%, a carico del Comune, ritenendo preponderante la responsabilità del primo ente nel verificarsi del ritardo.

Proponeva appello l’Assessorato Regionale e la Corte d’appello di Caltanissetta, nella contumacia del Comune, in parziale accoglimento del gravame, condannava l’Assessorato al pagamento, in favore del Comune di Catenanuova, della somma di Euro 42.783,00, oltre agli interessi legali dalla data del pagamento effettuato dal Comune alla Impresa Sacco; compensava le spese del grado, mentre poneva le spese di c.t.u. a carico di entrambe le parti in egual misura.

La Corte territoriale disattendeva innanzitutto il motivo di gravame con il quale l’Assessorato aveva sostenuto l’assenza di ogni sua responsabilità perchè l’attività di progettazione, appalto ed esecuzione di opere pubbliche era attribuita, nel caso di specie, in base alla L.R. n. 21 del 1985, al Comune di Catenanuova, rilevando che l’art. 5 della citata legge regionale realizza un mero decentramento di poteri autoritativi in precedenza riservati alla Regione o al Prefetto, ma non incide sui profili di responsabilità.

Rigettava altresì il secondo motivo di appello, con il quale l’Amministrazione appellante aveva asserito che ogni assunzione di responsabilità per fatto illecito da parte dell’amministrazione finanziante sarebbe stata possibile solo ove un simile impegno fosse stato espressamente sancito ed assunto dalla medesima amministrazione, rilevando che la censura era stata proposta invocando l’applicazione di una pronuncia di questa Corte (Cass. n. 5280 del 1980), del tutto inconferente nel caso di specie, nel quale veniva in rilievo un danno compiuto da due enti in concorso colposo.

La Corte riteneva invece fondato il terzo motivo, con il quale l’Amministrazione regionale aveva sostenuto che dal ritardo accertato dal giudice di primo grado dovesse essere detratto il periodo di 90 giorni dall’invio della pratica, costituente lo spatium deliberandi riconosciuto al CTAR per la formulazione del proprio parere tecnico.

Il ritardo, pertanto, doveva essere ridotto a tre mesi e quindici giorni, sicchè si imponeva una riduzione della responsabilità del CTAR dall’80% al 50% della somma come liquidata in primo grado, con condanna dell’Assessorato appaltante al pagamento, in favore del Comune di Catenanuova, della somma di Euro 42.783,00, oltre interessi legali dalla data di pagamento già effettuato dal Comune all’Impresa Sacco.

Per la cassazione di questa sentenza l’Assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Sicilia ha proposto ricorso sulla base di due motivi;

l’intimato Comune di Catenanuova non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, l’amministrazione ricorrente denuncia omessa pronuncia sui motivi di appello e formula il seguente quesito di diritto: “dica codesta Suprema Corte se sia nulla per violazione dell’art. 112 c.p.c., la sentenza di appello che, in un giudizio vertente sulla presunta corresponsabilità di regione e comune per il ritardo patito da una impresa appaltatrice nella approvazione di una perizia di variante, di fronte a un appello della Regione nel quale si censuri la sentenza di primo grado (che aveva condannato la Regione a tener indenne il Comune in una determinata misura, in ragione del ritardo imputabile alla Regione), deducendo: a) l’estraneità della regione alle questioni relative a progettazione e appalto di opere pubbliche, b) l’assenza di un impegno assunto dall’amministrazione finanziante rispetto all’opera svolta da quella finanziata, nonchè c) il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, d) l’anticipata comunicazione del parere dell’organo tecnico regionale rispetto alla data individuata dal giudice di primo grado, e) l’insussistenza di una colpa per il ritardo in considerazione del fatto che era appena entrata in vigore una nuova normativa e si incontravano le fisiologiche difficoltà legate a periodi di transizione; f) la maggiore responsabilità nella vicenda dei tecnici e progettisti del comune, g) la inopponibilità alla regione della transazione conclusa dal comune con il soggetto danneggiato, e infine h) la circostanza che la legge prevedesse comunque un termine dilatorio per l’adozione del parere da parte dell’organo tecnico regionale e che dunque la misura della responsabilità della regione andasse proporzionalmente ridotta, accolga quest’ultimo motivo e si pronunci, rigettandoli, solo sui primi due”.

Con il secondo motivo, l’Assessorato ricorrente deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, assumendo che nella specie si verteva in ipotesi di responsabilità dell’Assessorato regionale per il ritardo con cui il CTAR aveva fornito il proprio parere sulla perizia di variante formulata dal Comune, e quindi di una responsabilità per attività “di esercizio procedimentale di un pubblico potere, rispetto al quale il privato (in questo caso l’impresa appaltatrice) vanta unicamente un interesse legittimo, con conseguente devoluzione della controversia al giudice amministrativo.

A conclusione del motivo, l’Assessorato formula il seguente quesito di diritto; “dica codesta Suprema Corte se, in una controversia nella quale un’impresa appaltatrice convenga in giudizio il Comune appaltante perchè, a seguito della sospensione dei lavori, abbia ritardato nell’adozione di una perizia di variante, e il Comune abbia chiamato in causa a titolo di garanzia l’Assessorato regionale per i lavori pubblici per la corresponsabilità dovuta al ritardo con cui l’organo tecnico regionale ha reso il parere richiesto dai Comune, la causa di garanzia instaurata dal Comune avverso l’Assessorato regionale spetti alla giurisdizione del giudice amministrativo”.

Il secondo motivo, che per ragioni di ordine logico deve essere esaminato in via prioritaria, è infondato.

Premesso che la decisione del giudice di appello sul merito della domanda comporta una decisione implicita sulla giurisdizione – contestata dall’appellante -, nel caso di specie la implicita statuizione di affermazione della giurisdizione del giudice ordinario nella controversia in esame si sottrae alle censure proposte dall’Amministrazione regionale ricorrente.

L’oggetto della controversia, invero, era costituito non dall’interesse del Comune all’esercizio tempestivo della funzione amministrativa consultiva – funzione per la quale era necessaria l’acquisizione del parere dell’organo tecnico della Regione (il CTAR) -, ma dalla pretesa risarcitoria della impresa appaltatrice relativamente ai danni determinati dal ritardato esercizio della funzione amministrativa. Nè, ai fini della individuazione del giudice munito di giurisdizione, assume rilievo la circostanza che nella controversia proposta dalla impresa appaltatrice sia stata introdotta una domanda di garanzia da parte del comune nei confronti dell’amministrazione regionale, onde far valere nei confronti di quest’ultima la responsabilità conseguente al ritardo nella formulazione del parere sulla perizia di variante. Tale circostanza, infatti, non muta i termini della controversia, atteso che comunque non è stato dedotto in giudizio l’interesse legittimo all’esercizio della funzione amministrativa entro il termine stabilito dalle norme ordinarie e secondarie che regolano la detta funzione consultiva, ma unicamente la valutazione della incidenza del ritardo con il quale la funzione è stata assolta sulla causazione del danno alla originaria attrice.

Il primo motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile.

L’Assessorato regionale si duole della omessa decisione su alcuni dei motivi di appello proposti avverso la sentenza del Tribunale di Enna.

Con riferimento alla denunciata omessa pronuncia sul terzo motivo di appello, afferente la asserita responsabilità esclusiva dei progettisti del Comune, gli errori dei quali avevano reso necessaria la redazione di una perizia di variante, deve ritenersi che lo stesso sia stato implicitamente disatteso dalla Corte d’appello laddove, nell’esaminare il primo motivo di gravame, ha rilevato che la dedotta riferibilità della responsabilità per attività di progettazione al Comune non incideva sulla concorrente responsabilità della regione per l’attività ad essa demandata dalla normativa regionale. Del resto, la questione oggetto del giudizio non era se fosse o no necessaria una perizia di variante nè se la necessità della perizia di variante fosse stata determinata da errori nella progettazione, ma unicamente quella di accertare se, una volta disposta la detta perizia, le amministrazioni coinvolte nel procedimento avessero o no osservato i termini previsti per l’esercizio delle loro funzioni e se dalla inosservanza di tali termini, ove accertata, derivasse o no un danno alla impresa appaltatrice per effetto del protrarsi della sospensione dei lavori.

Infondata è altresì la censura di omessa pronuncia per quanto attiene al quarto motivo di appello, atteso che la Corte d’appello, sulla base dell’esame della documentazione in atti, ha ritenuto che il CTAR avesse ritrasmesso al Comune il proprio parere il 10 maggio 1995, incorrendo quindi in un ritardo di tre mesi e quindici giorni rispetto alla scadenza dello spatium deliberandi di tre mesi ad esso riconosciuto dalla L.R. n. 21 del 1985, art. 12, comma 4. Che se poi con la censura in esame l’Assessorato intende censurare la individuazione della indicata data come data in cui il parere era stato comunicato, si sarebbe in presenza di un errore chiaramente revocatorio, non denunciabile con ricorso ordinario.

Con riferimento alle questioni che l’Amministrazione ricorrente assume di avere introdotto con il quinto motivo di appello, la censura deve ritenersi inammissibile. Invero, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, perchè possa utilmente essere dedotto un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria e ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Infatti, ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., ciò che configura un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione, che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. n. 6361 del 2007; Cass., S.U., n. 15781 del 2005).

Orbene, nella sentenza impugnata non è contenuto alcun riferimento alla esistenza di una transazione tra il Comune e l’impresa appaltatrice; l’Assessorato ricorrente avrebbe quindi dovuto specificare se la inopponibilità alla Regione della menzionata transazione fosse già stata sostenuta nel corso del giudizio di primo grado (il che, peraltro, sembrerebbe doversi escludere, atteso che il detto giudizio era stato definito con una pronuncia di condanna del Comune al pagamento di una certa somma in favore della impresa appaltatrice e con la condanna dell’Assessorato regionale a rivalere il Comune entro i limiti dell’80% della somma pagata), e avrebbe poi dovuto corroborare la censura non con la mera menzione della esistenza di una transazione, ma con la specifica indicazione delle questioni fatte valere con il motivo di appello, non essendo a tal fine sufficiente la sola enunciazione del tema proposto.

In conclusione, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia decisa dalla Corte d’appello con la sentenza qui impugnata, il ricorso deve essere rigettato.

Poichè il Comune intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; dichiara la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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