Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25923 del 19/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 25923 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 6492-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA (c.f. 97103880585), elettivamente domiciliata
in Roma in Via Po n. 25b, nello studio dell’Avv. Roberto Pessi, che la
rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
TAMBURRINI LAURA (cf. TMBLRA72B56F205D), elettivamente
domiciliata in Roma, via Italo Carlo Falbo n. 22, nello studio dell’Avv.
Angelo Colucci, rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo Minasi per
procura a margine del controricorso;

e

controrícorrente avverso la sentenza n. 124/10 della Corte d’appello di Ancona,
depositata in data 6.04.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/05/2013 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito l’Avv. Colucci;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Marcello Matera.
Ritenuto in fatto e diritto
1.- Tamburrini Laura chiedeva al Giudice del lavoro di Macerata
che fosse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di
assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 17.0930.10.99. Accolta la domanda, conseguiva la declaratoria

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Data pubblicazione: 19/11/2013

9. Poste Italiane spa c. Tamburrini Laura (r.g. 6492/11)

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dell’instaurazione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la
condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate a
decorrere dalla costituzione in mora, detratto 1′ aliunde percepturn con
compensazione delle spese di giudizio.
2.- Proposto appello da Poste Italiane e, in via incidentale, dalla
lavoratrice, con sentenza della Corte d’appello di Ancona del 10.04.10
l’impugnazione principale era rigettata, mentre in accoglimento
dell’incidentale la società era condannata alle spese del primo grado. La
Corte, considerato che il contratto era stipulato in forza dell’art. 8 del
CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per
esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda,
rilevava che detta causale era ammessa solo per le assunzioni disposte
fino al 30.4.98 — data fissata dalle parti collettive con accordo
integrativo 16.1.98 — di modo che il termine nel caso di specie era
illegittimamente apposto.
3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per
cassazione. Risponde Tamburrini con controricorso. Il Consigliere
relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. depositava relazione, che era
comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori
costituiti assieme all’avviso di convocazione della adunanza della
camera di consiglio. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
4.- I motivi proposti dalla soc. Poste sono i seguenti:
4.1.- il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto
per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra
la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione indice di
disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo
che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che l’inerzia
non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di
interesse al ripristino del rapporto (primo motivo);
4.2.- violazione dell’art. 23 della 1. 28.2.87 n. 56, degli artt. 1362 e
segg. c.c. e 8 del ccril 26.11.94 e degli accordi 25.9.97, 16.1.98 e 27.4.98,
nonché carenza di motivazione, contestandosi l’interpretazione data
alla contrattazione collettiva dal giudice di merito, in particolare
evidenziandosi la contraddittorietà della sentenza impugnata quando
afferma che l’accordo 25.9.97, pur derogando alla disciplina generale
del contratto a termine, sarebbe soggetta ad un limite temporale di
efficacia (secondo motivo);
4.3.- violazione delle normativa in materia di risarcimento del
danno, non avendo le ricorrenti provato e quantificato il danno
conseguente alla nullità del termine, né costituito in mora il datore di
lavoro, atteso che le attrici avrebbero diritto a titolo risarcitorio alle
retribuzioni solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio; si
sostiene, inoltre, che erroneamente il giudice di merito non ha

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considerato l’eventualità che controparte possa avere svolto altre
attività lavorative tanto da consentire la deduzione dell’aliunde perceptum
da quanto dovuto dal datore a titolo di risarcimento (terzo motivo);
4.4.- con riferimento a quest’ultimo aspetto è dedotta violazione
degli artt. 210 e 421 c.p.c., in quanto la Corte di merito, pur richiestane
non ha ordinato l’esibizione di documentazione idonea (libretti di
lavoro e buste paga) a determinare i corrispettivi percepiti dal
lavoratore per attività svolte alle dipendenze di terzi (quarto motivo).
4.5.- Poste Italiane conclude il ricorso richiamando l’art. 32 della
legge 4.11.10 n. 183, che fissa criteri di risarcimento del danno
connesso alla conversione del contratto di lavoro a tempo determinato
per nullità del termine, con applicazione diretta ai giudizi pendenti alla
data di entrata in vigore.
5.- Quanto al primo motivo (risoluzione per mutuo consenso) la
giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n.
23554 e numerose altre seguenti) ha ritenuto che “nel giudizio
instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico
rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto)
per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché,
alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento
tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e
certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente
fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se
non sussistono vizi logici o errori di diritto”.
La Corte d’appello ha rilevato che l’appellante, processualmente
a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la
prospettata valutazione, e ha ritenuto insufficiente a rappresentare la
disaffezione dei lavoratori la circostanza che gli stessi avessero atteso
un cospicuo lasso di tempo prima di intraprendere l’azione giudiziaria
(essendo l’attesa ammissibile perché contenuta nei limiti prescrizionali).
A giustificazione di quest’attesa ha, inoltre, indicato alcune circostanza
di merito (incertezza della giurisprudenza e l’attesa di nuove ed ambite
successive chiamate), non contestate dalla ricorrente. Trattasi di
considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non
censurabili sul piano logico.
6.- Quanto al secondo motivo, la giurisprudenza ritiene che l’art.
23 della 1. 28.2.87 n. 56, nel demandare alla contrattazione collettiva la
possibilità di individuare — oltre le fattispecie tassativamente previste

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dall’art. 1 della 1. 18.4.62 n. 230 nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29.1.83 n.
17, conv. dalla 1. 15.3.83 n. 79 — nuove ipotesi di apposizione di un
termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria
delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono
vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque
omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che
in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova
ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del
25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di
merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso
25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano
convenuto di riconoscere la sussistenza — dapprima fino al 31.1.98 e
poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 — della situazione di
fatto integrante delle esigen.ze ecce:zionali menzionate dal detto accordo
integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione
l’impresa poteva dunque procedere (nei suddetti limiti temporali) ad
assunzione di personale straordinario con contratto a tempo
determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei
contratti a termine stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di
presupposto normativo.
In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto
un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato
accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità
di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e
successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a
termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse
scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., exp/urimis, Cass. 23.8.06
n. 18378). Dunque, i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di
fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti
nel complesso legislativo-negoziale costituito dall’art. 23 della legge
28.2.87 n. 56 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la
deroga alla legge n. 230 del 1962.
7.- I motivi terzo e quarto, da trattare in unico contesto, sono
inammissibili. Al riguardo deve rilevarsi che il giudizio di appello ha
per oggetto la medesima controversia decisa dalla sentenza di primo
grado, entro i limiti della devoluzione, quale risulta dagli specifici
motivi di impugnazione. Nel caso di specie Poste Italiane nel proporre
appello avverso la sentenza di primo grado non ha impugnato la
pronunzia in punto di risarcimento del danno, né in via diretta, né in
via subordinata, di modo che l’esame delle questioni inerenti la
quantificazione della somma spettante per detto titolo è precluso in
sede di legittimità, essendosi al riguardo fotniato il giudicato implicito.

Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in C 100 (cento) per esborsi ed in C
2.500 (duemilacinquecento) per compensi, oltre Iva e Cpa, con
distrazione a favore dell’antistatario Avv. Massimo Monaldi.
Così deciso in Roma in date 23 maggio — 10 ottobre 2013
Il Presidente

8.- L’inesistenza di un valido motivo di impugnazione della
sentenza sul punto specifico, dall’esistenza del quale possa trarsi la
conclusione che la questione del risarcimento del danno è ancora sub
indice, non consente di esaminare l’ulteriore questione, sollevata da
Poste Italiane a proposito dell’applicabilità al caso di specie dello ius
superveniens costituito dall’art. 32 della legge 4.11.10 n. 183, nella parte
in cui dispone che in caso di conversione del rapporto il giudice
condanna il datore al pagamento di una indennità onnicomprensiva.
9.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato,
con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, così
come di seguito liquidate.
I compensi professionali vanno liquidati in C 2.500 sulla base del
d.m. 20.07.12 n. 140, tab. A-Avvocati, con riferimento alle tre fasi
previste per il giudizio di cassazione (studio, introduzione, decisione)
ed allo scaglione relativo al valore indeterminato, con distrazione a
favore del difensore dichiaratosi antistatario.

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