Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2592 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 31/01/2017, (ud. 15/12/2016, dep.31/01/2017),  n. 2592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21210-2015 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ELIO CANNIZZARO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 388/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA del 20/03/2015, depositata il 31/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato MAURO RICCI, difensore del controricorrente, che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 388/2015 la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di I.S. intesa al conseguimento delle prestazioni di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13.

Il decisum del giudice d’appello è stato fondato sulle seguenti considerazioni: dalla consulenza tecnica d’ufficio di primo grado, incontestata tra le parti, emerge la sussistenza dell’invalidità civile nella percentuale dell’80% a decorrere dalla data della visita peritale del 7 giugno 2011, del 76% a decorrere dal 10.7.2006 e del 70% a decorrere dalla data della domanda amministrativa presentata il 29.9.2005; a prescindere dal requisito reddituale, il diritto all’assegno di assistenza è condizionato dalla sussistenza del requisito dell’incollocamento al lavoro, in relazione al quale, nonostante nella sentenza di primo grado si evidenzi che a riguardo nulla è stato allegato o provato, nulla è dedotto nell’atto di gravame che risulta in parte qua inammissibile; nè la prova di tale requisito può desumersi dai certificati dell’Agenzia delle entrate versati in atti posto che se il mancato svolgimento di attività lavorativa può desumersi indiziariamente dalla mancanza di redditi, nel caso di specie esso è efficacemente escluso dalla esistenza del dato fattuale inerente alle percezione di redditi di varia entità da parte della I. negli anni dal 2005 al 2011.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso I.S. sulla base di un unico motivo. L’INPS ha resistito con tempestivo controricorso.

Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto violazione della L. n. 118 del 1971, art. 13, della L. n. 68 del 1999, art. 1, comma 1 lett. b) e a), del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1, comma 1 e tabella A, del D.P.R. n. 333 del 2000, art. 1, comma 1, della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6. Premesso che non avendo la Corte territoriale pronunziato sul requisito reddituale lo stesso doveva ritenersi acquisito alla stregua della documentazione in atti, ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo che, in base alla normativa richiamata, per le donne ultrasessantenni, il requisito dell’incollocazione, inteso come stato di effettiva disoccupazione o non occupazione, poteva essere dimostrato a prescindere dalla iscrizione nella liste speciali del collocamento obbligatorio o ordinario, sulla base del ricorso a presunzioni semplici. Il motivo è inidoneo alla valida censura della decisione impugnata.

Il giudice di appello ha rilevato la inammissibilità in parte qua dell’appello per non avere parte appellante specificamente investito l’affermazione del giudice di prime cure in ordine alla mancata allegazione e prova del requisito dell’incollocamento al lavoro.

Tale affermazione della sentenza impugnata si configura quale ratio decidendi idonea a sorreggere il rigetto dell’appello a prescindere dal profilo della carenza in atti di prova del detto requisito – profilo integrante una diversa e autonoma ratio decidendi – sul quale pure si è soffermato il giudice di appello. E’ del tutto evidente, infatti, che la mancata impugnazione dell’accertamento di primo grado in punto di rilevata carenza di allegazione e prova del requisito cd. dell’incollocamento, assume efficacia preclusiva al riconoscimento del diritto alla prestazione in controversia, stante la natura costitutiva del requisito in questione. (cfr, ex plurimis, Cass., n. 4067 del 2002, n. 13967 del 2002, n. 14035 del 2002, n. 13046 del 2003, n. 13279 del 2003, n. 13966 del 2003, n. 14696 del 2007, n. 22899 del 2011).

A tanto consegue, in adesione alla proposta formulata dal Consigliere relatore, la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione avendo parte ricorrente limitato le proprie censure al solo profilo attinente alla carenza in concreto di prova del requisito dell’incollocazione, senza in alcun modo contrastare l’ulteriore affermazione del giudice di seconde cure in ordine alla mancata impugnazione dell’accertamento di primo grado.

Secondo quanto ripetutamente affermato da questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (ex plurimis Cass. ord. n 22753 del 2011).

Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione all’INPS delle spese di lite che liquida in Euro 2.000,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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