Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2592 del 02/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 2592 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BOGHETICH ELENA

ORDINANZA

sul ricorso 6357-2013 proposto da:
CANO’ GIOVANNI C.F. CNAGNN86D26F839Z, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio
dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
2017
4050

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– con troricorrente –

Data pubblicazione: 02/02/2018

avverso la sentenza n. 2246/2012 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 11/04/2012 R.G.N. 1393/2010.

n. 6357/2013 R.G.

RILEVATO
che con sentenza depositata 1’11.4.2012 la Corte d’Appello di Roma confermava la
pronuncia di prime cure che aveva dichiarato legittimo il contratto di lavoro a termine
stipulato tra Giovanni Canò e Poste Italiane spa, relativo al periodo 14.4.2006 30.6.2006 e stipulato ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 per
lo svolgimento di mansioni di smistamento della posta;

avendo riguardo alla ricostruzione teleologica nonché al tenore lessicale dell’art. 2,
comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 – la natura aggiuntiva (nel senso di tipizzata e
speciale) di tale tipologia di contratti a termine, in quanto contratti acausali previsti
per il settore dei servizi postali, legittimi in quanto rispettosi dei determinati limiti
temporali e quantitativi ivi previsti;
che avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, il lavoratore propone ricorso
per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria;
che la società intimata resistite con controricorso;
CONSIDERATO
che il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 d. Igs. n.
368 del 2001, dell’art. 6 del d.lgs. n. 261 de( 1999 e dell’art. 2697 cod.civ. (in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), avendo la Corte, trascurato
di verificare l’adibizione del lavoratore ad attività non connesse con i servizi postali (a
fronte dell’applicabilità dell’art. 2, comma

1

bis, d.lgs. n. 368 del 2001 ai soli

lavoratori addetti ai servizi postali) nonchè il rispetto della clausola di
contingentamento pari al 15%, avendo invertito 11 riparto degli oneri probatori e
ritenuto assolto l’onere probatorio sulla base di una prova documentale inidonea in
quanto redatta unilateralmente dalla società;
che la censura relativa al campo di applicazione delle ipotesi di assunzione a termine
ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis, d.lgs. n. 368 del 2001 non è fondata avendo questa
Corte già statuito che il tenore lessicale della disposizione, il raffronto con il comma

1

nonché il fondamento della legittimità costituzionale della disposizione in esame
individuato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 241/2009) con riguardo al servizio
universale postale svolto su tutto il territorio nazionale, rendono chiaro che il
riferimento è effettuato alla tipologia dell’impresa presso cui avviene l’assunzione
1

che la Corte distrettuale, per quel che qui rileva, a sostegno del decisum, rimarcava –

n. 6357/2013 R.G.

(“imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste”) e non alla tipologia delle
mansioni a cui è destinato il lavoratore assunto (Cass. n. 2324/2016);
che la censura relativa al rispetto della clausola di contingentamento è questione
espressamente affrontata dalla Corte territoriale, la quale, lungi dall’applicare
impropriamente la regola dell’onere delle prova ovvero dal considerare irregolarmente
le fonti di prova sottoposte alla sua valutazione, ha ritenuto che la società, cui

contingentamento, rilevando la tempestiva deduzione e produzione di documentazione
da parte della società e l’assenza di contestazioni del lavoratore;
che la censura è, pertanto, inammissibile sia in quanto sollecita una nuova lettura
delle risultanze probatorie sia a fronte della mancata specifica e tempestiva
contestazione – alla prima occasione processuale utile – delle modalità di redazione
della documentazione (prospetto dell’organico) prodotto in primo grado dalla società
ell dell’ambito di valutazione della percentuale dettata dall’art. 2, comma 1 bis, d.lgs.
n. 368 del 2001, a fronte della indubbia circolarità tra oneri di allegazione, oneri di
contestazione ed oneri di prova, con reciproco condizionamento, peculiarità tipica del
processo del lavoro (cfr. sul punto, S.U. nn.761/2002, 11353/2004, 8202/2005; Cass.
n. 12636/2005);
che il ricorso va, pertanto, rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio
della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228 art. 1 comma
17 (legge di stabilità 2013);
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed in euro
4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al

15% ed accessori di

legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore

2

incombeva il relativo onere, avesse dimostrato il rispetto della c.d. clausola di

n. 6357/2013 R.G.

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 ottobre 2017.

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