Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25917 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2021, (ud. 16/09/2021, dep. 23/09/2021), n.25917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13437-2020 proposto da:

J.T., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avvocato Letizia Astorri, con cui

elettivamente domicilia in Roma, alla via Federico Confalonieri n.

2, presso lo studio dell’Avvocato Francesco Ventura;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1105/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il giorno 02/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 16/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza deliberata il 22 maggio 2019 e pubblicata il successivo 2 luglio 2019, la Corte di appello di Ancona, decidendo in sede di rinvio ex artt. 383 e 394 c.p.c., ha respinto il gravame promosso da J.T. contro l’ordinanza resa, D.Lgs. n. 25 del 2008 ex artt. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011 ex art. 15, dal Tribunale di quella stessa città il 22 gennaio 2016, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale o il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. In particolare, quella corte, pur non dubitando in toto della credibilità delle dichiarazioni rese dall’istante, ha ritenuto i motivi da lui addotti a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Avverso la menzionata sentenza, J.T. ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze denunciano rispettivamente:

I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) – e), agli artt. 112-132-156 c.p.c. ed all’art. 111 Cost., comma 6”. Si contestano alla corte distrettuale l’insufficiente valutazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente asilo circa la propria situazione personale ed il lacunoso esame circa l’attuale situazione socio-politica del suo Paese (Gambia) di provenienza;

II) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e art. 9, comma 2; violazione di legge in riferimento all’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”. Si ascrive alla corte territoriale di aver applicato retroattivamente la disciplina di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018, che aveva sostituito il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, già sussumibile nelle fattispecie del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, strettamente correlato al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con alcuni tipici permessi aventi motivazioni umanitarie per “cause speciali”, tra cui, a parere del giudicante, non rientrava la vicenda dell’appellante. Una siffatta applicazione retroattiva era stata poi disattesa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione;

III) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2”, per non avere la corte dorica valutato, in modo individuale ed imparziale, la domanda del richiedente, limitandosi ad un’analisi sommaria del vissuto dello stesso e della condizione socio-politica del Gambia al tempo dei fatti. Quel giudice, infatti, si era soffermata sulla mancanza di credibilità ed attendibilità delle dichiarazioni del richiedente protezione, piuttosto che analizzarne il contenuto.

2. In via pregiudiziale rispetto allo scrutinio dei riportati motivi, deve valutarsi la tempestività dell’odierno ricorso, accertamento consentito a questa Corte pure d’ufficio investendola formazione di un giudicato interno.

2.1. Nella specie, il ricorso si rivela tardivamente proposto e, come tale, inammissibile.

2.1.1. Invero, la sentenza impugnata (che J.T. assume non essergli stata notificata, ma esclusivamente comunicata dalla cancelleria, tramite posta elettronica certificata, il 13 gennaio 2020) risulta essere stata pubblicata, mediante il suo deposito, il 2 luglio 2019, laddove l’odierno ricorso risulta essere stato avviato alla notifica solo il 20 maggio 2020, oltre, quindi, il termine cd. lungo, semestrale, previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1 (nel testo, qui applicabile ratione temporis, modificato dalla L. n. 69 del 2009).

2.2. Ne’, in contrario, può rilevare l’assunto del ricorrente secondo cui la comunicazione dell’avvenuto deposito della sentenza impugnata era intervenuta quasi allo scadere dei termini previsti per l’impugnazione della stessa.

2.2.1. Invero, in assenza di notificazione, il termine cd. lungo per l’impugnazione della sentenza decorre dalla data di sua pubblicazione e non dalla comunicazione del deposito della stessa alla parte costituita (cfr. Cass. 11910 del 2003; Cass. n. 639 del 2003), a nulla valendo, quindi, l’omissione e/o la tardività della comunicazione da parte del cancelliere. Tanto deriva dal fatto che ciò che il giudice deve accertare per la decorrenza del termine predetto è il momento in cui la sentenza risulta conoscibile, vale a dire quello in cui la stessa, dopo il deposito ufficiale, è inserita nell’elenco cronologico delle sentenze con attribuzione del numero identificativo (cfr. Cass., S.U., n. 18569 del 2016. Circa le sentenze redatte in formato digitale, si veda, con conclusioni analoghe, Cass. n. 2362 del 2019).

2.2.2. Peraltro, la recente Cass. 10 luglio 2020, n. 14821, resa in fattispecie affatto analoga a quella odierna, ha opportunamente precisato che “nelle controversie in materia di protezione internazionale celebrate ratione temporis secondo il rito sommario introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello deve essere proposto nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della decisione, come previsto in via generale dall’art. 327 c.p.c., comma 1, non essendovi disposizioni particolari che riguardino l’impugnazione delle pronunce di gravame all’esito di un procedimento sommario, e non trovando applicazione il disposto 702-quater c.p.c., che attiene alla proposizione dell’appello contro le ordinanze di primo grado. Ne deriva, pertanto, che, ai fini del decorso di tale termine, non assume alcun rilievo la tardiva comunicazione del deposito della decisione impugnata da parte della cancelleria”.

2.3. Infine, è doveroso evidenziare che non rilevano, nel caso di specie, le misure adottate dal legislatore per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19, in particolare quanto disposto dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 27 del 2020), che ha sospeso, per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, successivamente allungato fino all’11 maggio 2020 dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 40 del 2020), il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Nell’odierna fattispecie, infatti, il termine ultimo per la proposizione del ricorso, tenuto conto pure della sospensione feriale (1-31 agosto 2020), è scaduto il 2 febbraio 2020, ampiamente prima, quindi, della descritta, sopravvenuta disciplina emergenziale.

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

 

 

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