Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25917 del 19/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 25917 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 29799-2010 proposto da:
CONCERIA ALBA S.P.A. (C.F. 01758840480), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA M. PRESTINARI 15, presso lo
studio dell’avvocato CALVIERI VALTER, rappresentata e
difesa dall’avvocato BACCHI SILVIA, giusta delega in
2013

atti;
– ricorrente –

2733

contro

SEDIQI

AKKA

SDQKKA61C10Z3300,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 17, presso

Data pubblicazione: 19/11/2013

lo studio dell’avvocato PENZAVALLI GIANCARLO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 998/2010 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 06/07/2010 r.g.n. 1788/2007;

udienza del 01/10/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato PENZAVALLI GIANCARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. n. 29799/10
Ud. 1 ott. 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

intimato dalla Conceria Alba S.p.A. a Sediqi Akka con lettera del
24 ottobre 2006, ordinandone la reintegrazione nel posto di lavoro
e condannando la società a corrispondergli, a titolo risarcitorio, le
retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a
quella dell’effettiva reintegra.
Proponeva impugnazione la società e la Corte d’Appello di
Firenze, con sentenza del 2 – 7 luglio 2010, in parziale riforma
della decisione anzidetta, limitava il risarcimento del danno al
pagamento delle retribuzioni sino al 23 maggio 2007, data in cui il
lavoratore aveva reperito altra occupazione. Confermava nel resto
l’impugnata sentenza.
Ha osservato la Corte di merito, con riguardo al licenziamento,
che esso era stato intimato prima che fossero trascorsi cinque
giorni dalla contestazione del fatto che vi aveva dato causa, e ciò in
violazione dell’art. 7, comma 5, St. lav. La contestazione degli
addebiti era stata infatti ricevuta dal lavoratore il 19 ottobre 2006,
come risultava dalla attestazione rilasciata dall’ufficio postale,
mentre il recesso era stato intimato con lettera del 24 ottobre
2006.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso la
società sulla base di dieci motivi. Il lavoratore ha resistito con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente, denunziando
violazione e falsa applicazione degli artt. 116, primo comma, cod.
proc. civ. e 2700 cod. civ., deduce che la lettera raccomandata di

Il Tribunale di Firenze ha dichiarato illegittimo il licenziamento

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contestazione degli addebiti è stata ricevuta dal lavoratore il 18
ottobre 2006, come risulta dall’avviso di ricevimento sottoscritto
dal medesimo. La Corte d’Appello “invece si è soffermata sulla

“attestazione delle Poste»…. che in realtà non era affatto una
attestazione bensì una c.d. “volanda” sul quale vi era apposto un
aggiungeva che non vi era la firma o sottoscrizione del ricorrente”.
2. Con il secondo motivo è denunziata violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 116, primo comma, cod. proc. civ. e 2702
cod. civ.. Si deduce che l’avviso di ricevimento rientra negli atti
pubblici ex art. 2700 cod. civ. e che comunque, anche a voler
ritenere che costituisca una scrittura privata, esso fa piena prova
contro chi l’ha sottoscritto, onde non può essere da questi
contestato.
3. Con i motivi dal terzo al settimo, la ricorrente denunzia
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio nonché “violazione del
procedimento” (sesto e settimo motivo).
Rileva che, diversamente da quanto affermato nella sentenza
impugnata, l’attestazione rilasciata dall’ufficio postale non
costituiva prova idonea, trattandosi di una “volanda” priva di
sottoscrizione del destinatario, sulla quale vi era un orario di
consegna del tutto inattendibile (ore 06,55); che “la c.d. postilla a

mano vergata sulla busta contenente la lettera” era di incerta
provenienza, così come la “volanda”; che in data 18 ottobre 2006,
prima della lettera del licenziamento, “il lavoratore formulò le

proprie difese facendo pervenire al datore di lavoro il certificato
medico e consegnandolo di persona fornendo le proprie
giustificazioni al riguardo”; che il giudice di primo grado ha violato i
principi in materia di onere della prova e di produzione
documentale, disponendo l’acquisizione di documenti (certificazioni
dell’ufficio postale) e consentendo al lavoratore la loro produzione
nel corso del giudizio.

orario di consegna H. 06,55 assolutamente inattendibile ed a ciò si

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4. Con l’ottavo motivo è denunziata violazione degli artt. 1334
e/o 1335 cod. civ. nonché dell’art. 7 L. 300/70.
Si deduce che, anche a voler ritenere che la lettera di
contestazione degli addebiti venne consegnata al lavoratore il 19
ottobre 2006, il licenziamento non venne intimato prima che
comunicazione del licenziamento il 26 ottobre 2006, ancorchè
fosse stata spedita il 24 ottobre 2006.
5. Con il nono motivo, denunziando violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 7 della legge n. 300/70, la ricorrente deduce
che, ove si ritenga che il lavoratore non abbia mai fatto pervenire le
proprie giustificazioni, non può “trovare applicazione la tutela

prevista dall’art. 7 della Legge n. 300/1970. Diversamente
argomentando, si svuoterebbe tale importante tutela di ogni
significato e si ridurrebbe la stessa ad uno svilimento che non le è
proprio”.
6. Con il decimo motivo si denunzia nullità della sentenza,
violazione del procedimento, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
e dell’art. 24 Cost., vizio di motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
Si deduce che il giudice di primo grado, con statuizione
confermata dalla Corte di merito, ha disposto la reintegrazione del
lavoratore nel posto di lavoro, pur non essendo stata avanzata una
siffatta richiesta.
7.

I motivi dal primo all’ottavo, che vanno trattati

congiuntamente in ragione della loro connessione, non sono
fondati.
La Corte di merito, dopo aver affermato che l’avviso di
ricevimento della lettera raccomandata con cui era stato intimato
al lavoratore il licenziamento non era “agevolmente leggibile”, in
quanto prodotto in fotocopia, e che la odierna ricorrente era stata
più volte inutilmente invitata a produrre detto originale, ha
aggiunto che la difesa del lavoratore si è fatto carico di ottenere

fossero decorsi cinque giorni, essendo stata ricevuta la

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dall’ufficio postale apposita certificazione al riguardo, dalla quale
risultava che la lettera in questione venne effettivamente
consegnata a Sediqi Akka il 19 ottobre 2006. E poiché, ha rilevato,
il licenziamento è stato adottato con lettera del 24 ottobre 2006,
prima della scadenza dei cinque giorni liberi previsti dall’art. 7,

gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che
siano decorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto
che vi ha dato causa”), esso era illegittimo.
Tali argomentazioni sono state contestate dalla società
ricorrente, la quale ha dedotto che non sono state correttamente
valutate le risultanze istruttorie ed in particolare l’avviso di
ricevimento della lettera raccomandata, recante, secondo la stessa
ricorrente, la data del 19 ottobre 2006.
Senonchè, tali censure si risolvono sostanzialmente in una
richiesta di riesaminare e valutare il merito della causa, e cioè in
una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento del giudice di merito, e perciò in una richiesta
diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea
alla natura e alla finalità del giudizio di cassazione.
Ed allora è bene ricordare che, per consolidata
giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente
motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5, cod.
proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito,
quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o
deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può
invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in
senso difforme da quello preteso dalla parte perché la citata norma
non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e
valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il
profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la
valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta
individuare le fonti del proprio convincimento e all’uopo, valutarne

comma 5, St. lav. (“In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più

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le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere,
tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i
fatti in discussione.
Del tutto infondate sono poi le censure secondo cui il giudice
di primo grado avrebbe violato i principi in materia di onere della
prova e di produzione documentale, disponendo l’acquisizione di
lavoratore la loro produzione nel corso del giudizio.
Come risulta dalla sentenza impugnata l’acquisizione della
documentazione attestante la data dell’avvenuta ricezione della
lettera raccomandata venne disposta dal giudice di primo grado
dopo che la società ricorrente era stata inutilmente più volte
invitata a produrre l’originale dell’avviso di ricevimento.
A nulla rileva, poi, sotto altro profilo, che la lettera di
comunicazione del recesso venne ricevuta dal lavoratore il 26
ottobre 2006, e cioè dopo il decorso dei cinque giorni, dovendosi
aver riguardo, ai fini del rispetto del termine in questione, al
momento in cui è stata. esternata dal datore di lavoro la
determinazione di licenziare il dipendente (24 ottobre 2006), e non
già a quello in cui tale determinazione è venuta a conoscenza del
medesimo.
Quanto all’assunto della ricorrente, secondo cui il lavoratore
avrebbe fornito le proprie giustificazioni presentando al datore di
lavoro, in data 18 ottobre 2006, la certificazione medica
conseguente alla colluttazione avvenuta in azienda (che poi diede
luogo al licenziamento), è sufficiente rilevare – a prescindere che la
Corte di merito ha escluso che si trattasse di una “giustificazione
scritta” – che a quella data non era ancora pervenuta al lavoratore
la lettera di contestazione degli addebiti.
8. Il nono motivo è inammissibile. Esso infatti non contiene
alcuna censura alla sentenza impugnata, limitandosi la ricorrente
ad affermare – incomprensibilmente, dal momento che non viene
fornita alcuna spiegazione al riguardo – che, ove si ritenga che il

documenti (certificazioni dell’ufficio postale) e consentendo al

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lavoratore non abbia mai fornito alcuna giustificazione, “non possa

trovare applicazione la tutela prevista dall’art. 7 della Legge n.
300/1970. Diversamente argomentando, si svuoterebbe tale
importante tutela di ogni significato e si ridurrebbe la stessa ad uno
svilimento che non le è proprio”.
stata emessa, con riguardo alla reintegrazione nel posto di lavoro,
una pronuncia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..
Non solo infatti nel ricorso introduttivo il lavoratore ha
chiesto l’applicazione dell’art. 18 St. lav., ma, con riguardo ai
danni, ha esplicitamente domandato che essi fossero liquidati dalla
data del licenziamento sino alla “effettiva reintegra”.
10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con la
conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, come in dispositivo, con distrazione a
favore del difensore del resistente.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in
100,00 per esborsi ed 4.000,00 per compensi professionali, oltre
accessori di legge, con distrazione a favore del difensore del
resistente, Avv. Giancarlo Penzavalli.
Così deciso in Roma in data 1 ottobre 2013.

9. Infondato è infine il decimo motivo, secondo cui sarebbe

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