Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25917 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. III, 15/10/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 15/10/2019), n.25917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1187-2017 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PASTEUR

77, presso lo studio dell’avvocato GIANLUIGI LALLINI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.S., D.A.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ALBERICO II 13, presso lo studio dell’avvocato MARIA

CECILIA FELSANI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4635/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato GIANLUIGI LALLINI;

udito l’Avvocato CARLA MARIA SODINI per delega.

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Con ricorso notificato il 29 dicembre 2016, C.A., medico responsabile della dimissione del paziente dell’ospedale (OMISSIS), impugna innanzi alla Corte di cassazione la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4635/2016, pubblicata il 20/7/2016 che lo ha condannato in sede civile al risarcimento dei danni, liquidati in oltre Euro 210.999,00 a favore delle eredi T.S. e D.A.S. (madre e moglie) della vittima, R.F., qui intimate, per avere provocato il decesso per una prematura dimissione dall’ospedale in cui era ricoverato in conseguenza di un intervento chirurgico alla mano. Per lo stesso fatto il medico qui ricorrente aveva subito un procedimento penale per omicidio colposo. La sentenza della Corte d’appello penale che aveva pronunciato l’inammissibilità dell’impugnazione delle parti civili della sentenza di assoluzione del medico dal reato di omicidio colposo, era stata annullata dalla Corte di cassazione su ricorso delle parti civili, con rinvio ex art. 622 c.p.p., alla Corte d’appello civile che ha pronunciato la sentenza di condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali qui impugnata. Le parti intimate hanno resistito e notificato controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il pubblico ministero ha depositato memoria.

Il giudizio, dopo la fissazione della trattazione in adunanza camerale, è stato rinviato a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza in ragione della sussistenza di questioni nomofilattiche.

Le parti hanno presentato memorie. Il pubblico ministero ha concluso come in atti.

2. Per quanto qui di interesse, la Corte di legittimità, con la sentenza n. 46812/011, aveva annullato la sentenza della Corte d’appello penale di Roma che aveva pronunciato l’inammissibilità della impugnazione della sentenza di assoluzione sull’erroneo assunto che l’impugnazione della parte civile fosse riferita a profili penalistici e non espressamente civilistici. La parte qui ricorrente, condannata al risarcimento del danno civile dalla Corte d’appello civile, con un unico motivo, denuncia che l’istituto di cui all’art. 622 c.p.p. non sia applicabile in caso di pronuncia di annullamento della sentenza assolutoria per motivi di merito, non indicata quale ipotesi nell’art. 576 c.p.p., cui rinvia l’art. 622 c.p.p., dovendosi fare la valutazione della responsabilità civile ex novo con giudizio civile nei due gradi di merito, in quanto il giudizio non consegue a un annullamento della sentenza penale per motivi processuali, ma di merito. In tal modo si sarebbe determinata una lesione del diritto della difesa e al doppio grado di giurisdizione, nonchè del diritto di accedere ai nuovi istituti di mediazione previsti per la fase in limine litis nel giudizio civile avente ad oggetto una responsabilità medica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia che la sentenza della Corte d’appello si pone in violazione dell’art. 622 c.p.p. e dell’art. 652 c.p.p., sull’assunto che l’art. 622 c.p.p. sarebbe circoscritto ai casi in cui il giudizio di assoluzione riguarda motivi processuali oppure al caso in cui il giudice penale ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, senza motivare in ordine alla responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, vale a dire in tutti i casi in cui la responsabilità penale è rimasta incerta, e soprattutto nei casi in cui il Giudice penale non si è espresso nel merito per motivi processuali. Pertanto, il ricorrente assume che il rinvio al giudice dell’appello in sede civile in tale caso, ove l’imputato è stato definitivamente assolto in sede penale perchè il fatto non sussiste con la sentenza di primo grado penale, non impugnata dal pubblico ministero, non può essere effettuato il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.c., determinandosi in tal modo l’eliminazione della garanzia di un grado di giudizio.

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. La Corte di cassazione, nel primo giudizio di annullamento ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 576 c.p.c., la parte civile possa proporre impugnazione (con il mezzo previsto per il pubblico ministero), ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (529-532).

Pertanto, ai soli fini della valutazione da operarsi in sede di giudizio civile in relazione al risarcimento dei danni richiesto dalle parti civili, ha rinviato gli atti alla Corte d’appello civile ex art. 622 c.p.p. sull’assunto che ” la pretesa del riconoscimento della responsabilità per un fatto illecito penale, appare inequivocabilmente costituire anche una domanda civile di accertamento dell'”an debeatur” risarcitorio e quindi una valida richiesta di rivisitazione della sentenza di assoluzione ai fini civili”.

1.4. La Corte di legittimità ha ritenuto di dovere rinviare il procedimento civile, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore, effettuando il rinvio al giudice civile in ossequio all’orientamento che individua la ratio dell’art. 622 c.p.p., che prevede una transiatio iudicii, nel principio di economia, che vieta il permanere del giudizio civile in sede penale, in mancanza di un residuale interesse penalistico nella vicenda (cfr. Cass. S.U. penali sentenza n. 40109/2013, sentenza Sciortino), e impone che il giudizio, qualora ritorni nella sua naturale sede civile in grado di appello.

1.5. La Corte d’appello civile adita quale giudice del rinvio, con la sentenza qui impugnata, operando una rivalutazione del fatto sotto il profilo squisitamente civilistico, e sulla base delle prove raccolte in sede penale, ha ritenuto sufficientemente provata la responsabilità per grave negligenza del medico nel dimettere il paziente, dimesso nonostante la presenza di un quadro clinico complesso che avrebbe richiesto una visita approfondita dopo l’intervento ortopedico effettuato in narcosi, avendo egli già manifestato segni di una emorragia interna, di tipo esofageo, del tutto sottovalutata. Pertanto, rivalutando le prove acquisite nel giudizio penale sotto il profilo della responsabilità civile, e con i canoni della “colpa” civile, il Giudice del rinvio ha motivato in punto di responsabilità ex novo, da una prospettiva civilistica, e ha ritenuto che le dimissioni del paziente fossero avvenute sulla base di una valutazione incompleta, imprudente e imperita, e ciò in relazione alle prove per testi acquisite e a una perizia acquisita dal pubblico ministero che evidenziava che il paziente, pur ricoverato per una frattura al polso, presentava un quadro clinico complesso e già compromesso, perchè tossicodipendente,affetto da cirrosi epatica, con pregressa infezione da epatite B e C, portatore di alterazione dei parametri coagulativi e riduzione del numero dei globuli rossi.

1.6. In questa sede di giudizio di legittimità è oggetto di prima censura il fatto che il giudizio di rinvio (che, come è noto, è un giudizio chiuso), si sia svolto al di fuori della cornice processuale delineata nell’art. 622 c.p.p. in relazione al richiamato art. 576 c.p.p., in tesi non espressamente previsto per le ipotesi di assoluzione nel merito, e che la Corte di appello investita non abbia pronunciato una sentenza di inammissibilità del giudizio celebrato in secondo grado. Si interroga pertanto la Corte di legittimità sulla questione, peraltro implicitamente già decisa dalla Corte di legittimità, se tale disposto possa ricomprendere anche le ipotesi di impugnazione della sentenza, con riguardo agli effetti civili, in caso di assoluzione con formula piena, ex art. 530 c.p.p., comma 1, perchè il fatto non sussiste, non contemplata tra le ipotesi di cui all’art. 576 c.p.p. che determinano il rinvio ex art. 622 c.p.p..

1.7. Il giudice del rinvio, nell’incipit della motivazione, dimostra di averne compreso la portata della sentenza di annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili, nel senso che il giudizio di rinvio ha avuto la funzione di correggere il dictum della Corte di appello penale nel ritenere inammissibile l’impugnazione della parte civile, e di riportare il processo civile sino al punto in cui si è verificato l’error in procedendo commesso, consistito nel non avere dato ingresso all’impugnazione della sentenza penale per le “restituzioni civili” e il risarcimento rimasti insoddisfatti dopo la pronuncia di piena assoluzione dell’imputato, intervenuta nel primo grado di giudizio. Si tratta, pertanto, di un giudizio che ha avuto una sua prima fase di pieno merito nel giudizio penale, come previsto nell’ordinamento processuale interno che, ab immemorabile, nel giudizio penale ammette l’esercizio dell’azione civile da parte del danneggiato, giovandosi dell’azione esercitata dalla pubblica accusa.

1.8. Ed invero, la parte civile è legittimata a proporre appello anche avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato “perchè il fatto non sussiste”. Il termine “proscioglimento” di cui all’art. 576 c.p.p., deve essere interpretato non già in senso restrittivamente tecnico, vale a dire limitato ai casi di improcedibilità dell’azione penale o di estinzione del reato, ma – per il principio del favor impugnationis – in senso estensivo, così da comprendere tutte le ipotesi di assoluzione che compromettano l’interesse della parte civile al risarcimento del danno (cfr. cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019; Sez. 4, Sentenza n. 22614 del 06/04/2017; Cass. pen. 16/5/96 n. 4950).

1.9. La formula di assoluzione “perchè il fatto non sussiste”, ampiamente liberatoria perchè presuppone che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie penale contestata risulti provato, viene infatti pronunciata allorquando manchi uno degli elementi oggettivi del reato (azione, evento, nesso di causalità) ed è resa superflua ogni valutazione della condotta dell’imputato. Proprio perchè prevede l’esclusione del fatto di reato, la sentenza di assoluzione “perchè il fatto non sussiste” compromette l’interesse della parte civile al risarcimento del danno, tenuto conto dell’effetto altrimenti preclusivo della sentenza dibattimentale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile di danno. La parte civile, se omette di proporre impugnazione avverso la decisione del Giudice di primo grado di assoluzione dell’imputato, è da considerarsi difatti acquiescente alla decisione pregiudizievole al suo interesse circa il risarcimento del danno, con conseguente formazione del giudicato tra le parti in ordine al rapporto civilistico.

1.10. Pertanto, al di fuori dei casi in cui il giudicato penale di piena assoluzione ha una forte valenza e predominanza, il giudizio civile che segue ad un annullamento disposto dal giudice di legittimità in sede penale per accoglimento del ricorso della parte civile contro una sentenza di proscioglimento o di assoluzione non patisce alcun tipo di condizionamento, e pertanto si estende all’intera pretesa risarcitoria, sia per l’aspetto inerente al fondamento della stessa che per quello dell’eventuale determinazione dell’ammontare risarcitorio (cfr. cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5460 del 2014; Cass. pen. 30.1.2013, n. 11994; Cass. pen. 11.7.2012, n. 35922).

1.11. Difatti, solo nella ristretta ipotesi di impugnazione del proscioglimento o dell’assoluzione la parte civile, ai sensi dell’art. 576 c.p.p. ha una piena legittimazione ad impugnare la decisione al fine di ottenere la rimozione dell’effetto preclusivo all’accertamento del suo diritto. In tale ipotesi può chiedere una diversa valutazione in ordine alla sussistenza dei fatti ed alla responsabilità dell’imputato al fine del proprio esercizio dell’azione risarcitoria e con assoluto rispetto dell’intangibilità del giudicato penale, sul presupposto che le due responsabilità (civile e penali) corrono su piani differenti (Cfr. Cass. pen. 3/6/96 n. 2491).

1.12. Questa Corte è consapevole del fatto che, nell’evenienza sopra considerata, per parte della dottrina l’art. 622 c.p.p. appare inapplicabile. L’argomento a fondamento di tale tesi è nel senso che nella successiva iniziativa la parte civile al più potrà aspirare ad ottenere una pronuncia che elida gli effetti pregiudizievoli della sentenza assolutoria, consentendole di intraprendere il giudizio civile senza incorrere negli effetti vincolanti derivanti dal giudicato penale. Ciò in quanto all’accoglimento pieno della sua domanda in sede penale osta il principio contenuto nell’art. 538 c.p.p., comma 1, per il quale soltanto in caso di sentenza condanna il giudice si pronuncia anche sulla domanda per le restituzioni e sul risarcimento del danno. Un rinvio in sede civile al giudice di appello, in tale ipotesi, parrebbe, dunque, del tutto superfluo in quanto il danneggiato dovrebbe agire ex novo nella sede propria del giudizio di primo grado per far affermare la fondatezza delle sue pretese, mentre il rinvio previsto nell’art. 622 c.p.p. varrebbe solamente nei casi in cui il proscioglimento afferisca a motivi processuali, e non di merito.

1.13. La giurisprudenza di questa Corte tuttavia ha ritenuto, con argomenti che si intendono qui confermare, di dovere utilizzare, anche in questi casi, la “passerella” processuale di cui all’art. 622 c.p.c.. L’art. 622 c.p.p. consente alla parte civile che ottiene l’annullamento della sentenza penale nei suoi confronti una piena transiatio del procedimento avviato in sede penale sulla pretesa civile, rimasta pretermessa o non accolta nel giudizio penale, posto che in tali casi “fermi gli effetti penali della sentenza” il giudice di legittimità “annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato”, e quindi anche laddove, come nel caso in esame, ha accertato l’assoluzione dell’imputato perchè il fatto non sussiste. Tutto quello che occorre decidere in ordine all’azione civile esercitata nell’ambito del processo penale costituisce, quindi, l’oggetto del giudizio di rinvio, per sua natura chiuso.

Difatti la rimessione è diretta “al giudice civile competente per valore in grado di appello”, in quanto sulla domanda civile un giudizio di merito è già stato espletato, non potendo la Costituzione di parte civile essere effettuata dopo il compimento degli adempimenti introduttivi del dibattimento del giudizio penale di primo grado ex art. 79 c.p.p., (cfr. cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019; Sez. 3 -, Sentenza n. 32930 del 20/12/2018; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 15182 del 20/06/2017).

1.14. Ove la parte civile abbia chiesto in sede penale il pieno accertamento dei danni, il giudice remittente non può dunque neanche comprimere la domanda civile, poichè l’art. 622 c.p.c. non attribuisce il potere di imporre, a chi ha esercitato l’azione civile in sede penale in modo completo, una scissione della decisione sull’an da quella sul quantum, costringendolo ex novo ad un processo ulteriore, e quindi a un incremento del tempo necessario per far valere compiutamente il proprio diritto, anche ove il giudice penale si sia limitato a una condanna generica. Nè, peraltro, è sostenibile che in tale situazione il danneggiato assuma una posizione differente da quella già assunta in sede penale. Neppure, per la medesima ragione, può sostenersi la sussistenza di una lesione del diritto di difesa della controparte, in quanto anch’essa parte del giudizio penale in cui il danneggiato ha esercitato l’azione civile, dunque ritualmente posta nelle condizioni di difendersi dalla domanda della parte civile (cfr. cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019; Cass. 20 giugno 2017, n. 15182; in senso conforme, Cass. 25 settembre 2018, n. 22570 e 20 dicembre 2018, n. 32930).

1.15. Il giudizio civile che ne deriva mantiene comunque una natura impugnatoria sugli effetti civili dell’illecito escluso sul piano penale, nel limitato senso che restituisce alla parte civile risultata in situazione di soccombenza la facoltà di ottenere un nuovo giudizio sull’illecito di natura civile e sul diritto alle restituzioni civili in base ai normali oneri probatori propri del diritto civile, senza però più il supporto della pubblica accusa.

Pertanto, il fatto che il passaggio del giudizio alla sede civile avvenga in grado di appello, per il principio del favor impugnationis espresso nell’art. 622 c.p.p., ha una sua logica di fondo, trattandosi di un’ impugnazione con effetto pienamente devolutivo e restitutorio che, essendo circoscritta all’azione civile per come esercitata in sede civile, non determina la violazione di alcun diritto costituzionale di difesa per il convenuto, già assolto in sede penale, nè tantomeno per la parte civile che ha già ottenuto un accertamento del fatto illecito, passibile di incidere sui suoi diritti. Viene infatti costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, soprattutto ai fini dell’individuazione del giudice competente, che il giudizio di rinvio avanti al giudice civile designato, che abbia luogo a seguito di sentenza resa dalla Corte di cassazione in sede penale ai sensi dell’art. 622 c.p.p., è da considerarsi come un giudizio civile del tutto riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio, quale espressa dall’art. 392 c.p.c. e ss. (Cass. 9 agosto 2007, n. 17457; in senso conforme, da ultimo, Cass. 20 dicembre 2018, n. 32929).

1.16. In ogni caso, sia sotto il profilo costituzionale (art. 24 Cost.), che della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (art. 6Conv. Edu), il giudizio che ne deriva non può considerarsi celebrato in violazione del diritto al doppio grado di merito, poichè esso prevede un giudizio a cognizione piena e a parità di condizioni innanzi a un giudice imparziale, seguito dalla possibilità di impugnazione, anche se ristretta alle questioni di legittimità.

Il c.d. “doppio grado di giurisdizione”, nei sistemi tradizionali Europei, non è convenzionalmente garantito, laddove sussista la garanzia di un giudizio impugnatorio di legittimità, come nel caso in questione; mentre è il caso di sottolineare che, nel sistema processuale interno, l’obbligo del giudice del rinvio di valutare il merito della controversia civile per come è stata posta al suo incipit, nel giusto contraddittorio delle parti e nel rispetto dei diritti di azione e di difesa, esclude l’astratta configurabilità delle violazioni degli artt. 3 e 24 Cost. (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 21233 del 14/10/2011).

1.17. Sotto il profilo sistematico, a riprova di quanto sopra detto, è sufficiente richiamare la natura eccezionale del potere del giudice di appello civile di rimettere la causa al primo giudice ove questi non abbia – erroneamente – affrontato questioni di merito nel giudizio di primo grado: potere che, concretandosi in una deroga al principio per il quale i motivi di nullità si convertono in motivi di gravame, può essere esercitato solo nei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c.. (Sez. 3, Sentenza n. 18691 del 06/09/2007; Sez. 1, Sentenza n. 18571 del 15/09/2004).

1.18. Il processo civile che deriva dal rinvio operato ai sensi dell’art. 622 c.p.c., anche se in grado di appello, non è dunque in grado di interferire sul diritto di azione protetto e garantito dall’art. 24 Cost., in quanto la giurisprudenza, sul punto, ha statuito alcuni importanti principi, oramai divenuti irretrattabili, al fine di consentire una piena trattazione dell’azione civile dopo il rinvio “restitutorio” operato dal giudice di legittimità, che impediscono di definire il procedimento che ne consegue come un vero e proprio giudizio impugnatorio.

1.19. Ad esempio, in ordine al contenuto dell’atto di riassunzione, è consolidato il principio (di recente, v. Cass. 19 dicembre 2017, n. 30529) secondo cui l’atto di riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio, poichè non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma ad una prosecuzione dei precedenti gradi di merito, non deve contenere, ai fini della sua validità, la specifica riproposizione di tutte le domande, eccezioni e conclusioni originariamente formulate, essendo sufficiente che siano richiamati l’atto introduttivo del giudizio ed il contenuto del provvedimento in base a cui avviene tale riassunzione. Ne consegue che il giudice innanzi al quale è stato riassunto il processo non incorre nel vizio di ultrapetizione qualora pronunci su tutta la domanda proposta nel giudizio (civile) ove fu emessa la sentenza annullata e non sulle sole diverse conclusioni formulate in sede di impugnazione penale o nell’atto di riassunzione. E’ altrettanto ovvio, pertanto, che simili aperture valgono anche sul lato passivo del diritto di difesa, che non può essere specularmente conculcato per effetto di eventuali preclusioni o inerzie riscontrate nelle diverse fasi del giudizio penale (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019).

1.20. Per quanto riguardai criteri di valutazione della responsabilità civile, ove si discuta degli effetti civili risarcitori dell’illecito che conseguono all’applicazione di “sanzioni civili di natura afflittiva” (v. Corte Cost n. 63/2019 e Corte Edu, caso Engel dell’8 giugno 1976), prevale l’indirizzo giurisprudenziale in base al quale il giudizio civile di responsabilità, in quanto completamente affrancato dal giudizio penale che si è celebrato in parallelo e che non è in grado di interferire con il giudizio civile di responsabilità da fatto illecito, avviato in sede penale e traslato in sede civile, segue le regole di giudizio sue proprie, diverse da quelle penali in tema di nesso di causalità, di elemento soggettivo dell’Illecito e di valutazione dei danni da risarcire, anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale di rinvio, essendo inteso a far valere le conseguenze risarcitorie dell’illecito sul piano privatistico (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15859 del 12/06/2019; Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; Sez. 3, Sentenza n. 21619 del 16/10/2007).

1.21. In tal senso, vale quanto già sancito da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21619 del 16/10/2007, ove si è indicato che nel cosiddetto sottosistema civilistico, il nesso di causalità (materiale) – la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale (ove vale il criterio dell’elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla “certezza” – consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del “più probabile che non”; esso si distingue dall’indagine diretta all’individuazione delle singole conseguenze dannose (finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria) e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell’autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell’accertamento dell’elemento soggettivo (colpevolezza)” (nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato il nesso causale tra il comportamento omissivo del sanitario che aveva ritardato di inviare il paziente presso un centro di medicina iperbarica e l’aggravamento delle lesioni subite dal paziente che probabilmente avrebbe potuto essere evitato).

1.22. Sul piano della valutazione del fatto che integra un illecito civile, occorre rammentare che detto illecito ha un maggiore raggio di azione, proprio per le caratteristiche che nel nostro sistema ha acquisito l’illecito aquiliano, definito a struttura atipica. Esso ha infatti la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto ex art. 2043 c.c., intendendosi come tale il danno arrecato “non iure”, il danno, cioè, inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo.

Peraltro, avuto riguardo al carattere atipico del fatto illecito delineato dall’art. 2043 c.c., non è possibile individuare, differentemente dal sistema penale, in via preventiva gli interessi meritevoli di tutela: spetta, pertanto, al giudice, attraverso un giudizio di comparazione tra gli interessi in conflitto, accertare se, e con quale intensità, l’ordinamento appresta tutela risarcitoria all’interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, una esigenza di protezione (Cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9345 del 17/05/2004; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6005 del 15/03/2007).

1.23. Pertanto, anche sul piano dell’elemento oggettivo e soggettivo dell’illecito, nel caso concreto ha inciso il rilievo della sussistenza di una condotta negligente del direttore del reparto ortopedico, che ha consentito le dimissioni di un paziente che versava in condizioni di assoluta debilitazione, note sin dal suo ingresso nel reparto, per esser venuto meno alle proprie funzioni. Le valutazioni sul piano della causalità e della colpa civile, come sopra detto, risultano conformi a quelle civilistiche in tema di condotta negligente e di nesso causale tra condotta ed evento, ai sensi dell’art. 2043 c.c., non potendosi sovrapporre a quelle penalistiche che hanno condotto all’assoluzione penale del medico del reparto perchè il fatto non sussiste, ove i criteri di valutazione sono sempre più rigorosi, implicando l’esercizio di una potestà punitiva statale che incide sulla libertà personale in funzione special-preventiva.

1.24. Oltretutto, la censura si limita a denunciare l’abnormità di un giudizio civile svoltosi per saltum direttamente in sede di appello, ma non indica specificamente quale menomazione al diritto di difesa sia conseguita a causa del passaggio diretto a tale unica fase di merito, onde consentire un vaglio del pregiudizio in concreto subito. Si censura, piuttosto, l’esito del giudizio civile di condanna al risarcimento, quasi che tale dictum sia conseguenza diretta delle preclusioni determinatesi nella fase rescindente penale, omettendo di mettere in questione la correttezza della motivazione della sentenza civile di merito all’interno delle griglie di valutazione di cui all’art. 360 c.p.c., valevoli per il giudizio di legittimità, e ciò in riferimento alle difese esplicate in sede di costituzione. Corrisponde, infatti, a un principio generale che l’impugnazione, per risultare ammissibile, deve tendere all’eliminazione della lesione di un diritto, non essendo prevista la possibilità di proporre un’impugnazione che miri unicamente all’esattezza giuridica della decisione o alla correttezza processuale, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente, o addirittura ne consegua un danno (cfr. Cass. civ. Sez. 1 -, Sentenza n. 2626 del 02/02/2018; Cass. civ. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15676 del 09/07/2014; Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 5659 del 09/03/2010; Cass. pen. Sez. 1, Sentenza n. 47675 del 24/11/2011).

1.25. Nè, infine, vi è ragione per dolersi della mancata possibilità di accedere

alle “novità” di cui alla L. n. 24 del 2017, art. 8 in tema di responsabilità medica, vale a dire al preventivo esperimento del tentativo di mediazione o della ATP ex art. 696-bis c.p.c., posto che anche nel giudizio civile di appello è sempre esperibile il tentativo di conciliazione, o l’avvio delle parti alla mediazione “demandata dal giudice”, e non risulta che nel giudizio sia mai stata formulata una volontà della parte di avvalersi dello strumento di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2-bis, anch’esso menzionato nella legge di riforma della responsabilità medica sopra citata.

2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio di omessa ed insufficiente motivazione della sentenza, in via del tutto inammissibile e al di fuori della cornice di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nuova formulazione, applicabile al giudizio in esame.

2.1. Anche volendo superare tale rilievo di inammissibilità, il motivo non appare integrare il requisito dell’autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6. Nel motivo si indica solamente che si sono utilizzati alcuni elementi probatori acquisiti nel procedimento penale, quali le testimonianze rese dalla moglie della vittima e da un’amica, per giungere alla conclusione che la vittima fosse stata dimessa imprudentemente ” decidendo arbitrariamente e per mera presunzione che ciò che avevano riferito i sanitari e il vicino di letto erano affermazioni inattendibili”, senza però dar conto degli elementi fattuali, non secondari e rilevanti ai fini del decidere, che avrebbero potuto condurre a una diversa valutazione della responsabilità civile. In sostanza, il motivo muove solo un’inammissibile critica alle valutazioni in fatto operate dl giudice di merito.

2.2. In più, il motivo torna ancora una volta a spendere argomenti in ordine alla “incompetenza del giudice dell’appello” a giudicare direttamente in secondo grado, al di fuori delle ipotesi considerate dall’art. 652 c.p.p., con le medesime censure indicate in riferimento al primo motivo, risultate infondate.

3. Conclusivamente il ricorso viene rigettato; le spese vengono compensate in ragione della complessità della controversia e della novità delle questioni, di rilievo nomofilattico.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

compensa le spese tra le parti;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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