Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25916 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 15/12/2016, (ud. 14/09/2016, dep.15/12/2016),  n. 25916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27413-2011 proposto da:

G.M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA B. CAIROLI 2 C/0 STUDIO DELL’ASSOCIAZIONE HOLDING

FAMIGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA CONCETTA

GUERRA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, C.F. (OMISSIS);

– intimato –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, giusta delega in calce alla

copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 189/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/03/2011 R.G.N. 1772/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato RICCI MAURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10/2 – 9/3/2011 la Corte d’appello di Catanzaro ha accolto l’impugnazione proposta dall’Inps avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Crotone, che l’aveva condannato ad erogare a G.M.G. l’assegno di invalidità civile a decorrere dal 21.6.2007, e per l’effetto ha riformato la gravata decisione dopo aver accertato che l’assistita non aveva diritto a percepire la suddetta provvidenza.

La Corte territoriale ha spiegato che la G. non aveva provato in primo grado il possesso del concorrente requisito reddituale necessario per il riconoscimento dell’invocato beneficio, avendo omesso al riguardo ogni produzione, mentre l’Inps aveva dimostrato in appello che la controparte aveva goduto, in relazione agli anni di riferimento, di redditi superiori a quelli previsti per l’accesso alla prestazione in esame. Per la cassazione della sentenza ricorre la G. con tre motivi.

Per l’Inps c’è delega al difensore in calce alla copia notificata del ricorso, mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze rimane solo intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c. in relazione alla L. n. 118 del 1971, art. 13 in combinato disposto con gli artt. 421 e 437 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), contestando la decisione impugnata nella parte in cui è stato ritenuto non dimostrato il requisito reddituale per il conseguimento dell’assegno di invalidità. Al riguardo la difesa della G. assume che il deposito della dichiarazione sostitutiva dell’atto notorietà sin dal primo grado di giudizio, non contestata dall’Inps, avrebbe consentito al giudice d’appello di avvalersi dei poteri d’ufficio per l’integrazione della prova del requisito reddituale, mentre il giudicante non ha spiegato le ragioni del mancato esercizio di tali poteri, nonostante l’esistenza di elementi già presenti in causa.

2. Col secondo motivo, dedotto per violazione di legge e vizio di motivazione, la medesima si duole del fatto che il giudice d’appello, nel dare rilievo alla prova contraria fornita dall’Inps in ordine al superamento dei limiti reddituali per l’accesso al beneficio in esame, lo avrebbe erroneamente negato anche per gli anni successivi al 2007, epoca, questa, in cui si arrestava la prova fornita dall’istituto previdenziale per la dimostrazione dell’insussistenza del predetto requisito. A tal riguardo la ricorrente assume che, in ogni caso, già a decorrere dal 2008 versava nelle condizioni socioeconomiche per beneficiare della provvidenza oggetto di causa.

3. Col terzo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 13 in relazione alla L. n. 482 del 1968, art. 1, comma 2, ed alla L. n. 68 del 1999, art. 1 la ricorrente ripropone, nei termini di cui al giudizio d’appello, la questione della incollocazione che la Corte di merito ha, invece, ritenuto assorbita in conseguenza della accertata insussistenza del requisito reddituale.

4. Osserva la Corte che i tre motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

5. Invero, le censure non superano il dato di fondo rappresentato sia dalla accertata mancanza di prova da parte della ricorrente, sin dal primo grado di giudizio, del possesso del requisito reddituale, necessario per il conseguimento del beneficio di cui trattasi, sia dal riscontrato superamento dello stesso limite reddituale per effetto della prova contraria fornita in proposito dall’Inps in sede di appello.

Oltretutto, nemmeno giova il richiamo alla originaria dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte (SS.UU. n. 5167 del 3.4.2003) hanno affermato che “la dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale, prevista dalla L. 13 aprile 1977, n. 114, art. 24 e, successivamente, dal D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403, art. 1, comma 1, lett. b), poi sostituito dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46, comma 1, lett. o), è idonea a comprovare detta situazione, fino a contraria risultanza, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei relativi procedimenti amministrativi, ma nessun valore probatorio, neanche indiziario, può esserle riconosciuto nell’ambito del giudizio civile, caratterizzato dal principio dell’onere della prova, atteso che la parte non può derivare da proprie dichiarazioni elementi di prova a proprio favore, al fine del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 c.c. (nella specie, la S.C., applicando tale principio in relazione all’accertamento del requisito reddituale prescritto per il riconoscimento del diritto a prestazione assistenziale, ha anche sottolineato l’onere di una specifica contestazione da parte della pubblica amministrazione convenuta, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., comma 3, in difetto della quale la prova del requisito reddituale non è richiesta, precisando, peraltro, che, a tali fini, non è necessaria una specifica allegazione, da parte della medesima p.a., di fatti contrastanti con l’affermata ricorrenza del predetto requisito).

6. In definitiva è dirimente il fatto, adeguatamente illustrato dalla Corte territoriale con motivazione esente da rilievi di legittimità, della mancanza di prova sin dal primo grado di giudizio del concorrente requisito reddituale, quale elemento costitutivo del diritto al preteso conseguimento della prestazione oggetto di causa, carenza probatoria iniziale, questa, che ha trovato puntuale riscontro nella successiva prova contraria fornita in appello dall’Inps in ordine al superamento dei limiti reddituali previsti dalla legge per l’accesso all’assegno di invalidità, di cui la stessa Corte ha tenuto conto nel momento in cui ha rigettato la domanda, dopo aver logicamente ritenuto assorbito l’esame dell’ulteriore requisito dell’iscrizione nelle liste speciali del collocamento.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore dell’Inps, mentre alcuna statuizione va adottata a tal riguardo nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze che è rimasto solo intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Inps nella misura di Euro 1000,00, di cui Euro 900,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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