Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25911 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2021, (ud. 16/09/2021, dep. 23/09/2021), n.25911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8378-2020 proposto da:

D.M.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Michele La Francesca

(michele.lafrancesca.avvocatitrapani.legalmal.it), il quale dichiara

di voler ricevere le comunicazioni previste dall’art. 135 disp. att.

c.p.c..

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) – Ente per l’orientamento e la formazione

professionale, in persona del curatore Avv. Giovanni Troja,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al

controricorso, dall’Avvocato Mario Parisi, con cui elettivamente

domicilia in Roma, alla via Vicenza n. 26, presso lo studio

dell’Avvocato Giuseppe Fabio.

– controricorrente –

avverso il decreto n. 21/2020 del TRIBUNALE di PALERMO, depositato il

14/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.M.G. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, contro il decreto del Tribunale di Palermo del 14 gennaio 2020, reiettivo della sua opposizione ex art. 98 L. Fall. contro la declaratoria di inammissibilità di una sua domanda ex art. 101 L. Fall. di ammissione al passivo del fallimento “(OMISSIS)” perché proposta oltre il termine di dodici mesi dal deposito dello stato passivo relativo alle domande tempestive. Resiste, con controricorso, la curatela fallimentare.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale, richiamata la disciplina di cui all’art. 101 L. Fall.: i) ha preliminarmente rimarcato che “l’opponente – pur non contestando di aver depositato istanza tempestiva di insinuazione al passivo (e, in definitiva, di essere stato sin da subito a conoscenza dell’intervenuto fallimento dello (OMISSIS)) – ha dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato, assumendo che, a causa della particolare complessità della procedura, il termine ultimo per la trasmissione delle domande tardive sarebbe stato di diciotto mesi (anziché di dodici) e, dunque, sarebbe scaduto il 17 marzo 2019, con conseguente ammissibilità dell’istanza trasmessa il 17 ottobre 2018, ai sensi del combinato disposto dell’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4), e dell’art. 101 L. Fall., avendo il Tribunale, in seno alla sentenza dichiarativa del fallimento dell’ente pubblicata il 21 dicembre 2015, fissato l’adunanza per l’esame delle domande dei creditori in data 22 aprile 2016 (e, quindi, ad una distanza di oltre centoventi giorni) e, inoltre, in considerazione del fatto che gli organi della procedura avevano provveduto alla verifica del passivo frazionando di volta in volta il deposito del relativo progetto da parte del curatore”; il) successivamente ha ritenuto non condivisibile l’assunto del D.M., evidenziando che “nella sentenza dichiarativa di fallimento dello (OMISSIS), il termine per l’accertamento del passivo non è stato prorogato a diciotto mesi, con conseguente operatività – alla luce del chiaro tenore letterale del cit. art. 101 L. Fall., comma 1, – del termine ordinario di dodici mesi. Ne’ (…) può pervenirsi a differenti conclusioni in considerazione del fatto che l’adunanza dei creditori per l’esame dello stato passivo sia stata fissata oltre il termine di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento previsto dall’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4 (precisamente dopo 122 giorni). Sul punto va, infatti, osservato che, sebbene tale ultima norma qualifichi come perentorio il predetto termine, il mancato rispetto del medesimo non può comportare alcuna decadenza inerendo ad un atto del giudice delegato (e non essendo – com’e’ ovvio – ipotizzabile che non si faccia luogo all’esame del passivo), né del resto, a fronte del chiaro disposto dell’art. 101 L. Fall., comma 1, può fondatamente ritenersi derogabile la necessità dell’espressa previsione della proroga del termine per l’accertamento del passivo (di cui non vi è traccia nella pronuncia di fallimento dello (OMISSIS))”; ha aggiunto che “parimenti non merita accoglimento l’ulteriore argomentazione contenuta in ricorso, atteso che una tacita proroga dell’ordinario termine di centoventi giorni non può certamente farsi discendere dalla mera circostanza che, nella fattispecie, il giudice delegato abbia autorizzato il curatore a procedere al deposito frazionato del progetto di stato passivo, tenuto conto dell’elevato numero delle domande di ammissione pervenute”; iv) ha concluso, quindi, considerando corretta “la decisione del giudice delegato di rigettare la domanda tardiva di ammissione al passivo del D.M.G. in quanto inammissibile, per essere stata presentata il 17 ottobre 2018, ovvero oltre il termine di dodici mesi dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo avvenuta il 18 settembre 2017, pur essendo lo stesso opponente a conoscenza del fallimento per essersi già insinuato tempestivamente al passivo in relazione ad altri crediti. Nel caso di specie, d’altronde, il predetto termine non era neppure soggetto alla sospensione durante il periodo feriale”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

1) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: artt. 16 e 101 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, insistendosi nella tempestività della domanda ex art. 101 L. Fall. in questione sul presupposto che, diversamente da quanto opinato dal tribunale, proprio in considerazione del fatto che l’adunanza dei creditori per l’esame dello stato passivo era stata fissata oltre il termine di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento previsto dall’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4 (precisamente dopo 122 giorni), doveva ritenersi che, così operando, si era implicitamente sancita la particolare complessità della procedura, come peraltro testimoniato anche dal fatto che il giudice delegato aveva autorizzato il curatore a procedere al deposito frazionato del progetto di stato passivo, tenuto conto dell’elevato numero delle domande di ammissione pervenute. Pertanto, dovendosi considerare prorogato a 180 giorni il termine di cui all’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, per le insinuazioni tempestive, doveva parimenti ritenersi prorogato a diciotto mesi (in luogo dei dodici normalmente previsti) dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo il termine per la proposizione delle domande tardive ex art. 101 L. Fall..

II) “Violazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, quanto all’avvenuta condanna dell’opponente soccombente al pagamento delle spese processuali, malgrado la novità della questione affrontata dal tribunale avrebbe consentito a quest’ultimo di disporre la loro compensazione parziale o integrale.

2. La prima doglianza è infondata alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.

2.1. Giova premettere che risulta pacifico, in fatto, che: i) la sentenza con cui, in data 21 dicembre 2015, il Tribunale di Palermo dichiarò il fallimento dello (OMISSIS), ebbe a fissare l’adunanza dei creditori, per l’esame dello stato passivo, giusta l’art. 16 L. Fall., comma 4, per il giorno 22 aprile 2016. Nulla, peraltro, la menzionata sentenza aveva specificato circa la configurabilità, o meno, di una particolare complessità della procedura; i:) lo stato passivo relativo alle domande tempestive fu dichiarato esecutivo dal giudice delegato il 18 settembre 2017; il D.M., pur non contestando di aver depositato una precedente istanza tempestiva di insinuazione al passivo (così palesando di essere stato fin da subito a conoscenza dell’intervenuto fallimento di “(OMISSIS)”), propose anche una domanda tardiva, ex art. 101 L. Fall., trasmessa al curatore il 17 ottobre del 2018, riguardante l’indennità di mancato preavviso a seguito del licenziamento intimatogli dalla curatela fallimentare.

2.2. Il Tribunale di Palermo, come si è già anticipato (cfr. p. 1.1. dei “Fatti di causa”), condividendo la precedente decisione del giudice delegato, e nel respingere l’opposizione del D.M., ha considerato la predetta domanda ex art. 101 L. Fall. di quest’ultimo inammissibile per essere stata presentata il 17 ottobre 2018, ovvero oltre il termine di dodici mesi (non soggetto a sospensione feriale, perché si era in presenza di un credito di lavoro. Cfr. Cass., SU, n. 10944 del 2017) dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo avvenuta il 18 settembre 2017, pur essendo lo stesso opponente a conoscenza del fallimento per essersi già insinuato tempestivamente al passivo in relazione ad altro credito.

2.2.1. Secondo quel tribunale, non poteva pervenirsi a differenti conclusioni in considerazione del fatto che l’adunanza dei creditori per l’esame dello stato passivo era stata fissata oltre il termine di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento previsto dall’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, atteso che malgrado l’espressa natura perentoria di detto termine, la sua inosservanza non avrebbe potuto comportare alcuna decadenza, inerendo ad un atto del giudice delegato (e non essendo ipotizzabile che non si faccia luogo all’esame del passivo), né, a fronte del chiaro disposto dell’art. 101 L. Fall., comma 1, poteva fondatamente ritenersi derogabile la necessità dell’espressa previsione della proroga del termine per l’accertamento del passivo (inesistente nella pronuncia di fallimento dello (OMISSIS)). Infine, neppure poteva ricavarsi una proroga, asseritamente tacita, dell’ordinario termine di centoventi giorni di cui all’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, dalla mera circostanza che, nella fattispecie, il giudice delegato avesse autorizzato il curatore a procedere al deposito frazionato del progetto di stato passivo, tenuto conto dell’elevato numero delle domande di ammissione pervenute.

2.3. Tanto premesso, osserva il Collegio che l’art. 16 L. Fall., comma 1, nn. 4 e 5, (nel testo, qui applicabile ratione temporis, modificato, da ultimo, dal D.Lgs. n. 169 del 2007), sanciscono, rispettivamente, che la sentenza con cui il tribunale dichiara il fallimento “stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura” ed “assegna ai creditori e ai temi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza di cui al numero 4 per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione”. Ne consegue che, per essere considerate “tempestive”, le domande di insinuazione dei creditori devono essere presentate entro il termine di 30 giorni dalla data dell’adunanza fissata per l’esame dello stato passivo. Tale adunanza, peraltro, deve essere fissata entro centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento, “ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura”.

2.3.1. Quest’ultima dicitura, dunque, lascia intendere che la concreta configurabilità di una situazione di particolare complessità della procedura, quale ragione giustificatrice della fissazione della predetta adunanza dei creditori entro il maggior termine di 180 giorni (invece che 120) dalla sentenza di fallimento, debba essere ivi motivata, seppure concisamente. Ne deriva che al fatto che l’adunanza medesima sia eventualmente fissata (come pacificamente accaduto nella specie) dal tribunale oltre il termine di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento, senza, però, nulla argomentarsi circa la riscontrata particolare complessità della procedura, non può attribuirsi, di per sé, attesa la non univocità di una conclusione tal senso, alcun significato di implicito riconoscimento di una siffatta complessità. Del resto, benché l’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, qualifichi come “perentorio” il termine ivi previsto, la sua mera inosservanza (se del caso rilevante in altra sede) non potrebbe comportare alcuna decadenza, inerendo ad un atto del giudice delegato ed essendo inipotizzabile che non si faccia luogo all’esame del passivo.

2.3.2. A tanto deve solo aggiungersi che neppure può condividersi l’argomentazione del D.M. in forza della quale l’autorizzazione a procedere al deposito frazionato dello stato passivo avrebbe comportato una tacita proroga del termine ordinario. E’ palese, infatti, che un siffatto modus procedendi può essere conseguenza di urla prassi dovuta ad esigenze meramente pratiche, spesso dettata dal numero di domande da trattare e dalla organizzazione discrezionale del ruolo di udienza da parte di ciascun giudice delegato.

2.4. Parzialmente diverso si rivela, poi, il tenore letterale dell’art. 101 L. Fall. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, modificato, da ultimo, dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), recante la disciplina delle domande tardive di credito. In particolare, per quanto di interesse specifico nell’odierna controversia, il comma 1 dell’appena menzionata disposizione sancisce che “le domande di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo sono considerate tardive; in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, può prorogare quest’ultimo termine fino a diciotto mesa”. In altre parole, sono da considerarsi domande tardive di credito, regolamentate dalla citata norma, quelle proposte dai creditori una volta scaduto il termine (fino a trenta giorni prima dell’adunanza dei creditori di cui all’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4) per le domande cd. tempestive e sempre che siano trasmesse al curatore entro dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Lo stesso articolo precisa, inoltre, che il termine da ultimo indicato “può” essere prorogato dal tribunale, con la sentenza dichiarativa di fallimento, in caso di particolare complessità della procedura.

2.5. Il complessivo quadro normativo descritto lascia chiaramente intendere che le norme di cui all’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, ed all’art. 101 L. Fall., comma 1, disciplinino termini affatto diversi. Invero: i) il primo è riferito ad un’attività da compiersi, poi, dal giudice delegato; il secondo è espressamente assegnato ai creditori per l’esercizio della facoltà ivi riconosciutagli; i:) quello del cit. art. 16 è ricompreso nell’intervallo temporale tra il deposito della sentenza di fallimento ed i centoventi (o centottanta) giorni ad essa successivi; il termine di cui all’art. 101 L. Fall., comma 1, invece, ha sostanzialmente, come dies a quo, il ventinovesimo giorno antecedente l’adunanza dei creditori predetta, e pende fino alla scadenza del dodicesimo mese dalla data di deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (relativo alle domanda tempestive). Il tribunale, peraltro, “può” prorogare questa scadenza fino al diciottesimo mese dal deposito del menzionato decreto, espressamente prevedendolo nella sentenza dichiarativa di fallimento e sempre che ritenga la procedura di particolare complessità Cass. nn. 16487-16488 del 2021, nonché Cass. n. 21226 del 2021 e Cass. nn. 16943-16946 del 2021, tutte rese in fattispecie assolutamente analoghe a quella odierna).

2.6. Quanto fin qui detto consente ragionevolmente di opinare che, attesa la chiara discrezionalità (testimoniata dall’utilizzo della locuzione verbale “può”) di una proroga come quella da ultimo indicata e la necessità che di essa sia fatta menzione espressa nella sentenza dichiarativa di fallimento, previo accertamento della particolare complessità della procedura, l’assunto ancora oggi sostenuto dal D.M. – secondo cui l’essere stata fissata l’adunanza dei creditori di cui all’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, oltre il 120 giorni dal deposito della sentenza di fallimento, avrebbe determinato, sic et simpliciter, la proroga (fino a 180 giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo) del termine per la proposizione delle domande tardive stante l’implicito riconoscimento della particolare complessità dell’aperta procedura fallimentare – non può essere condiviso.

2.6.1. Infatti, come è assolutamente pacifico tra le parti, alcunché il Tribunale di Palermo ha previsto, sul punto, nella sentenza dichiarativa di fallimento dello “(OMISSIS)”. A tanto deve aggiungersi che proprio il diverso tenore letterale dei due articoli prima esaminati induce alla conclusione che non può darsi alcuna “automaticità” (come, invece, sostanzialmente invocato dal D.M.) tra fissazione, seppure immotivatamente avvenuta, dell’adunanza dei creditori di cui all’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, oltre il centoventesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza di fallimento e la (oggi pretesa) proroga, affatto discrezionale, del termine di cui all’art. 101 L. Fall., comma 1.

2.6.2. Alteris verbis, ove pure si voglia ipotizzare che la particolare complessità di una procedura fallimentare legittimi (ovvero, nella specie, abbia legittimato implicitamente) il tribunale ad ampliare il termine di cui all’art. 16 L. Fall., comma 1, n. 4, benché senza darne espressamente conto, ciò non significa, né può automaticamente comportare, che il medesimo tribunale sia (ovvero, nella specie, fosse stato), implicitamente o esplicitamente, obbligato a prorogare, solo per questo, e senza un’inequivoca motivazione sul punto nella sentenza dichiarativa di fallimento, pure il diverso termine di cui all’art. 101 L. Fall., comma 1.

3. Il secondo motivo è inammissibile atteso che, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass. n. 11329 del 2019; Cass. n. 7607 del 2006; Cass., SU, n. 14989 del 2005).

4. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna D.M.G. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla curatela fallimentare controricorrente, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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