Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25903 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 16/09/2016, dep.15/12/2016),  n. 25903

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21666/2013 proposto da:

S.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DE

CAROLIS 98, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MASCIONE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE TRIOLO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI

35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO NIORALES,

giusta procura speciale alle liti allegata al controricorso;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO DITTA R.A. SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso il decreto con Numero Repertorio 497/2013 del TRIBUNALE di

BELLUNO, emessa il 05/07/2013 e depositata il 06/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito l’Avvocato Marco Vincenti che si riporta agli scritti e

deposita cartolina;

La Corte, rilevato che sul ricorso n. 21666/13 proposto da

S.M. nei confronti del Fallimento Ditta R.A. Srl in

Liquidazione il consigliere relatore ha depositato ex art. 380 bis

c.p.c., la relazione che segue.

Fatto

FATTO E DIRITTO

“Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

S.M. ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi avverso il decreto reso dal Tribunale di Belluno che aveva rigettato la sua richiesta di ammissione al passivo del credito di 567.147,51 Euro in privilegio nella misura minore o maggiore accertata in corso di causa in applicazione dei crediti ritenuti idonei alla valutazione di ogni danno subito oltre interessi e rivalutazione monetaria e aveva dichiarato la litispendenza fra la detta domanda di accertamento del credito con il procedimento n. 1003/06 RG ed inoltre aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva della società INA Assitalia spa.

Il fallimento ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo adduce l’inesistenza della litispendenza affermando che il tribunale fallimentare risulta avere la competenza funzionale ed inderogabile a decidere su ogni domanda a contenuto patrimoniale svolta nei confronti del soggetto fallito.

Con il secondo motivo lamenta l’inadeguata e insufficiente motivazione in ragione del fatto che la pronuncia si limiterebbe semplicemente a rimarcare la sussistenza dell’identità di parti e di petitum e causa petendi.

Con il terzo motivo ritiene la motivazione illogica e contraddittoria in relazione alla dichiarata litispendenza.

Va preliminarmente rigettata l’istanza di inammissibilità del ricorso per mancanza di idonea procura dal momento che la stessa risulta conferita a margine del ricorso con espressa menzione della proposizione del giudizio per cassazione avverso il provvedimento del tribunale di Belluno del 5.7.13.

Il primo motivo è fondato.

Va premesso che questa Corte ha ripetutamente affermato che l’identità di due cause pendenti davanti allo stesso giudice non può determinare il rapporto di litispendenza governato dall’art. 39 c.p.c., comma 1, che presuppone la contemporanea pendenza della “stessa causa” dinnanzi a “giudici diversi”, ma solo una situazione riconducibile alla fattispecie dell’art. 274 c.p.c., che, nel caso di identità di cause pendenti dinnanzi allo stesso giudice, consente e prescrive la loro riunione. (Cass. 11357/06, Cass. 21727/06).

Nel caso di specie il Tribunale ha erroneamente affermato la litispendenza sotto tale profilo.

A prescindere da ciò nel sistema delineato dalla L. Fall., artt. 52 e 95, qualsiasi ragione di credito nei confronti della procedura fallimentare deve essere dedotta, nel rispetto della regola del concorso, con le forme dell’insinuazione al passivo. Qualora pertanto, a seguito della dichiarazione di fallimento, la parte che aveva agito in giudizio nei confronti del debitore coltivi la propria azione nei confronti del curatore, subentrato all’originaria parte ai sensi della L. Fall., art. 43, la domanda dev’essere dichiarata improcedibile, in quanto inidonea a condurre ad una pronuncia di merito opponibile alla massa, a meno che il creditore non dichiari espressamente di voler utilizzare tale titolo dopo la chiusura del fallimento, per agire esecutivamente nei confronti del debitore ritornato in bonis (giurisprudenza fermissima; da ultimo: Cass. 22 dicembre 2005, n. 28481; Cass. 5 agosto 2011, n. 17035; Cass. 26 giugno 2012, n. 10640).

Questa Corte ha inoltre chiarito che tale improcedibilità, poi, non soggiace ad alcun limite preclusivo, se non – a tutto concedere e per mera ipotesi – il giudicato interno, correttamente inteso. Infatti, le questioni concernenti l’autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato a fallimento, anche se impropriamente formulate in termini di competenza, sono, in realtà (e prima ancora), questioni attinenti al rito. (Cass. 19975/13).

Pertanto, proposta una domanda volta a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa creditoria soggetta, invece, al regime del concorso, il giudice (erroneamente) adito è tenuto a dichiarare (non la propria incompetenza ma) l’improcedibilità o l’improponibilità della domanda, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, trovandosi in presenza di una vicenda litis ingressus impediens, concettualmente distinta da un’eccezione d’incompetenza (Cass. 19975/13).

Pertanto, la relativa questione, non solo non soggiace alla preclusione prevista dall’art. 38 c.p.c., comma 1 (nella sua formulazione in vigore dopo il 30 aprile 1995) per le eccezioni di incompetenza, ma può essere dedotta o rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass. 23 aprile 2003, n. 6475; Cass. 26 febbraio 2008, n. 5063; sulla prima parte, v. pure Cass. 12 maggio 2011, n. 10485).

E di giudicato interno non può parlarsi in alcun modo nella fattispecie, perchè non vi è stata nessuna pronuncia, nemmeno implicita, sulla proseguibilità delle domande oltre che contro gli altri soggetti citati innanzi alla sezione ordinaria del tribunale con l’azione risarcitoria anche nei confronti della curatela o sulla conseguente opponibilità delle condanne dei primi anche alla massa fallimentare (v. Cass. 19975/13)

Il primo motivo è quindi fondato.

Restano assorbiti gli altri.

Ricorrono i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c., per la trattazione in camera di consiglio.

PQM..

Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione

in Camera di Consiglio.

Roma 16.06.2016 Il Cons. rel.

Considerato:

che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra;

che pertanto il primo motivo del ricorso va accolto, assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della ordinanza impugnata e rinvio anche per le spese al Tribunale di Belluno in diversa composizione.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso,assorbiti gli altri,cassa l’ordinanza impugnata e rinvia anche per le spese al Tribunale di Belluno in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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