Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25902 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. I, 23/09/2021, (ud. 08/06/2021, dep. 23/09/2021), n.25902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5719/2017 R.G. proposto da:

F.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Piero Mongelli, con

domicilio eletto in Roma, via Ovidio, n. 32, presso lo studio

dell’Avv. Guido Crastolla;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Prof.

Francesco Carbonetti, e dall’Avv. Fabrizio Carbonetti, con domicilio

eletto in Roma, via di San Valentino, n. 21;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 835/16,

depositata il 1 settembre 2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 giugno

2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha concluso

chiedendo la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.C. convenne in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in qualità di avente causa della Banca del Salento S.p.a. e della Banca 121, per sentir dichiarare la nullità o pronunciare l’annullamento di tre operazioni d’investimento poste in essere il 15 ed il 24 novembre e nel mese di dicembre 2000 ed aventi ad oggetto prodotti finanziari denominati BTP Tel e BTP Index, ed in subordine per sentir accertare l’inadempimento dei relativi contratti da parte della Banca, con la condanna della stessa alla restituzione della somma di Euro 77.971,65, pari alle perdite complessivamente cagionate dalle predette operazioni.

Premesso che i contratti erano caratterizzati dalla coesistenza di distinte operazioni finanziarie, consistenti rispettivamente nell’acquisto di normali titoli di Stato presenti nel portafoglio della Banca e nella vendita a quest’ultima di un’opzione put, collegata all’andamento dei valori di titoli azionari, molti dei quali quotati su mercati stranieri, sostenne che i contratti di opzione non recavano l’indicazione dei valori azionari di riferimento e dell’importo del premio, aggiungendo che l’ordine di acquisto dei BTP Tel era privo della doppia firma del cliente. Precisato inoltre che gl’investimenti, altamente rischiosi e riservati ad operatori professionali, erano stati effettuati con denaro proveniente da precedenti operazioni a basso rischio, affermò che l’incompletezza della documentazione consegnatagli ed il richiamo dei contratti ai titoli di Stato lo avevano tratto in errore, inducendolo a porre in essere operazioni che avevano determinato la perdita di oltre la metà del capitale investito. Aggiunse che la Banca, oltre ad aver agito in conflitto d’interessi, non correttamente segnalato dai contratti, era venuta meno ai propri doveri di correttezza e buona fede, avendo omesso di valutare l’adeguatezza degli investimenti e di fornirgli le necessarie informazioni, in modo tale da consentirgli di comprendere la rischiosità delle operazioni effettuate.

Si costituì la Banca MPS, ed eccepì la prescrizione del credito azionato, sostenendo inoltre che gl’investimenti effettuati dall’attore costituivano la risultante di operazioni distinte ma funzionalmente collegate, tali da garantire elevati rendimenti con una limitata esposizione ai rischi di mercato; aggiunse di aver regolarmente adempiuto i propri obblighi informativi, anche attraverso l’invio degli estratti conto al cliente, il quale era in grado di rendersi conto della rischiosità delle operazioni, avendo precedentemente effettuato altri investimenti.

1.1. Con sentenza del 27 novembre 2012, il Tribunale di Lecce accolse

parzialmente la domanda, dichiarando la nullità del contratto d’investimento e degli ordini di acquisto dei BTP Tel e dei BTP Index e condannando la Banca a restituire al F. la differenza tra l’importo da lui versato per l’acquisto degli strumenti finanziari e quello corrispostogli per effetto delle predette operazioni, ivi compreso l’ammontare delle cedole semestrali riscosse, oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda, ma rigettando la domanda di risarcimento dei danni.

2. L’impugnazione proposta dal F. è stata rigettata dalla Corte d’appello di Lecce con sentenza del 1 settembre 2016.

Premesso che la sentenza di primo grado era rimasta incensurata nella parte concernente la nullità del contratto d’investimento e degli ordini di acquisto, la Corte ha ritenuto infondate le censure riguardanti la restituzione dell’importo delle cedole, osservando che la nullità del contratto comporta l’obbligo di restituire le prestazioni ricevute; ha escluso, al riguardo, l’applicabilità della presunzione di buona fede, osservando che, ai sensi dell’art. 2033 c.c., gl’interessi sono dovuti con decorrenza dalla domanda giudiziale, salvo il caso di mala fede dell’accipiens, la cui prova spetta all’attore, aggiungendo che nella specie non era stata dedotta neppure la costituzione in mora della Banca.

Quanto alla restituzione degl’interessi maturati sui titoli di Stato, la Corte ha osservato che, indipendentemente dalla novità delle censure sollevate dall’appellante, non formulate in primo grado, le operazioni poste in essere dalle parti costituivano il risultato della combinazione di due negozi funzionalmente collegati, aventi come effetto l’acquisto immediato di titoli di Stato da parte del cliente e la vendita alla banca di opzioni put relative ad azioni, il cui esercizio era garantito dal deposito dei medesimi titoli acquistati presso la Banca. Rilevato che tali contratti, caratterizzati da un elevato grado di rischio e da un’accentuata asimmetria della posizione delle parti, comportavano un unico flusso finanziario, costituito nell’immediato dall’addebito del prezzo dei titoli e dall’accredito del premio relativo alla sottoscrizione dell’azione put, ed alla scadenza dall’accredito del valore nominale dei titoli e dall’addebito della differenza tra il prezzo strike ed il corso di chiusura, moltiplicato per la quantità dei titoli azionari di riferimento, ha qualificato tali prodotti come derivati, nell’ambito dei quali la componente opzionale prevaleva su quella obbligazionaria ed i titoli di Stato svolgevano una funzione di garanzia: ha escluso quindi la possibilità di attribuire effetti diversi alle singole parti dei contratti, aventi carattere unitario ed inscindibile, ribadendo che la dichiarazione di nullità comportava il totale ripristino della situazione originaria.

La Corte ha confermato infine l’infondatezza della domanda di risarcimento, rilevando che, nel censurare la sentenza di primo grado, nella parte in cui l’aveva ritenuta non provata, l’appellante non aveva specificato la prova offerta, e reputando insufficiente il mero riferimento alla finalità di salvaguardia del potere di acquisto del capitale perseguita attraverso gl’investimenti, nonché all’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sulla Banca, estranei alla domanda di accertamento della nullità dei contratti.

3. Avverso la predetta sentenza il F. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. La Banca MPS ha resistito con controricorso.

Il ricorso è stato quindi esaminato in Camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, si rileva che nelle conclusioni scritte depositate ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, il Pubblico Ministero ha eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione, osservando che il ricorso risulta privo della sottoscrizione del difensore ed allo stesso non risulta allegata la procura speciale conferita dal ricorrente.

La difesa di quest’ultimo ha replicato che l’atto, firmato digitalmente, notificato a mezzo di posta elettronica certificata e depositato in Cancelleria in formato cartaceo, è stato sottoscritto con firma CADES, la cui utilizzazione, diversamente da quanto accade nel caso in cui la sottoscrizione abbia luogo con firma PADES, non determina l’apposizione di alcun contrassegno grafico alla copia analogica; precisa comunque di aver depositato, unitamente alla copia del ricorso, le ricevute di invio ed accettazione della notifica e le prescritte attestazioni di conformità, da cui si evincono con chiarezza l’utilizzazione della firma CADES e l’allegazione della procura speciale.

1.1. Si osserva al riguardo che la copia cartacea del ricorso depositata in Cancelleria, recante nell’intestazione la precisazione che la procura speciale è stata rilasciata in calce al medesimo atto, risulta effettivamente priva della sottoscrizione del difensore ed alla stessa non è allegata la copia della procura recante la sottoscrizione del ricorrente, autenticata dal difensore. L’atto risulta peraltro notificato a mezzo di posta elettronica certificata, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis (inserito dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-quater, comma 1, lett. d), a sua volta introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 19, n. 2)), e la relata di notifica reca l’attestazione di conformità di cui al comma 2, di tale disposizione, in cui si dà atto dell’avvenuta apposizione della firma digitale e dell’allegazione della procura, confermate anche dall’indicazione, tra gli allegati del messaggio di posta elettronica, di due file denominati rispettivamente “Ricorso per Cassazione F.-MPS” e “mandato”, entrambi nel formato “pdf.p7m”, che contraddistingue le copie informatiche recanti la firma CADES. Alla copia analogica del messaggio e dei relativi allegati depositata in Cancelleria è poi acclusa l’attestazione di conformità ai documenti informatici prescritta dalla L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis, nella quale si dà ulteriormente atto dell’allegazione al messaggio dei predetti file.

Il deposito della copia analogica dei documenti informatici, accompagnata dalla predetta attestazione, deve ritenersi sufficiente, ai sensi dell’art. 9 cit., comma 1 ter, a fornire la prova non solo dell’avvenuta notificazione del ricorso, ma anche della sua provenienza dal difensore del ricorrente, non assumendo alcun rilievo, al riguardo, la circostanza che la copia cartacea dello atto non rechi la firma autografa dell’avvocato, dal momento che l’avvenuta notificazione del documento informatico a mezzo di posta elettronica certificata nel formato “pdf.p7m” garantisce l’avvenuta sottoscrizione dello stesso con firma digitale CADES (cfr. Cass., Sez. VI, 18/07/2019, n. 19434). Ininfluente, ai fini della validità del ricorso, deve ritenersi anche l’utilizzazione di tale tipo di firma, in luogo di quello denominato PADES, trattandosi, come già ripetutamente affermato da questa Corte, di procedimenti di firma digitale entrambi ammessi ed equivalenti, in quanto previsti dal D.Dirig. 16 aprile 2014, art. 12, emesso ai sensi del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 34 e conformi agli standard contemplati dal Regolamento UE n. 910 del 23 luglio 2014 (cfr. Cass., Sez. Un., 27/04/2018, n. 10266; Cass., Sez. II, 29/11/2018, n. 30927).

Quanto invece alla procura speciale, l’allegazione della copia informatica dell’originale, autenticata dal difensore con firma digitale, al messaggio di posta elettronica certificata con cui è stato notificato il ricorso potrebbe ritenersi idonea, ai sensi del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5, a farla considerare apposta all’atto al quale si riferisce, nonostante l’avvenuto rilascio della stessa su un foglio separato, ma non consente anche di ritenere che essa sia stata ritualmente depositata in Cancelleria, come prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3, non essendo stata la copia cartacea del documento informatico allegata a quella del ricorso: in mancanza di tale adempimento, risulta impedito qualsiasi riscontro in ordine all’esistenza ed al contenuto della procura, nonché alla sussistenza dei requisiti prescritti dall’art. 83 c.p.c., comma 3, richiamato dall’art. 365, la cui necessità, ai fini della rituale introduzione del giudizio di legittimità, comporta la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso per cassazione.

2. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento. Da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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