Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25902 del 19/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25902 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: VIVALDI ROBERTA

SENTENZA

sul ricorso 4324-2008 proposto da:
SASA ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI S.P.A.,

in

persona del dirigente con procura dott. ETTORE SAVINO
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI PRISCILLA
4, presso lo studio dell’avvocato COEN STEFANO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati STERN
2013

PAOLO, SPINOGLIO LUCIA giusta delega in atti;
– ricorrente –

1772

contro

CRAGNO ILARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
TAZZOLI 2, presso lo studio dell’avvocato NISSOLINO

1

Data pubblicazione: 19/11/2013

LAURA, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato AGRIZZI GABRIELE giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

MASOTTI GIUSEPPINO MAURIZIO;

avverso la sentenza n. 630/2006 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 19/12/2006 R.G.N. 372/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 01/10/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTA
VIVALDI;
udito l’Avvocato STEFANO COEN;
udito l’Avvocato LAURA NISSOLINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

– intimato –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ilaria Cragno convenne, davanti al tribunale di Udine,
Giuseppina Maurizio Masotti e l’assicurazione spa Sasa
Assicurazioni e Riassicurazioni chiedendone la condanna al
risarcimento dei danni subiti il 30.7.1994 quando, trovandosi

da Giancarlo Marzolla, era ricaduta pesantemente sulla schiena
in esito al sobbalzo provocato dall’urto di un’onda sullo
scafo, riportando la frattura della prima vertebra lombare.
Si costituì la sola compagnia di assicurazioni contestando il
fondamento della domanda.
Il tribunale, con sentenza del 21.1.2005, rigettò la domanda.
A diversa conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con
sentenza dell’11.12.2006, accolse l’appello proposto dalla
Cragno condannando in solido gli appellati Masotti e spa Sasa
Assicurazioni e Riassicurazione al risarcimento dei danni come
quantificati in sentenza.
Ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi la spa
Sasa Assicurazioni e Riassicurazione.
Resiste con controricorso illustrato da memoria Ilaria Cragno.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza
pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio
2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in

3

a bordo dell’imbarcazione di proprietà del Masotti e condotta

materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi,
delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.
Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del
decreto – i motivi di ricorso devono essere formulati, a pena
di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare,
nei casi previsti dall’

art.

360,

n.

1),

2),

3)

e 4,

l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la
formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso
previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5), l’illustrazione di
ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione.
Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c.,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione; e la relativa censura deve contenere
un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne
circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare
incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione
della sua ammissibilità (S.U. 1.10.2007 n. 20603; Cass.
18.7.2007 n. 16002).
4

..

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione
risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di
diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere
formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la
violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il
vizio denunciato alla fattispecie concreta ( v. S.U. 11.3.2008
n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art.
366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui
quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere
generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo
della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie
in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a
definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non
potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od
integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale
abrogazione del suddetto articolo).
La funzione propria del quesito di diritto – quindi

è quella

di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del
solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della
questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal
giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del
ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass.7.4.2009 n.
8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).
Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di
formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso
5

.

stesso – una diversa valutazione, da parte del giudice di
legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi
previsti dai numeri l, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma,
c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa
disposizione.
– come già detto – deve,

all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di
diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va
funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c.,
all’enunciazione del principio di diritto, ovvero a

dicta

giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare
importanza.
Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui
al n. 5 dell’art. 360 c. p.c. (il cui oggetto riguarda il solo
iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una

illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve
concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso ( cd. momento di sintesi) – in relazione al quale
la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende
inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. da
ultimo Cass. 25.2.2009 n. 4556; v. anche Cass. 18.11.2011 n.
24255).
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge
in relazione all’art. 345 c.p.c..

Il motivo non è fondato.
6

Nel primo caso ciascuna censura

La

mutati°, libelli

è ravvisabile con riferimento a quelle

ipotesi in cui sia avanzata una pretesa obiettivamente diversa
da quella originaria, introducendo nel processo un
diverso e più ampio, oppure una

causa petendi

petitum

fondata su

situazioni giuridiche non prospettate prima e, particolarmente,
su di un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che
si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i
termini della controversia.
Ciò che comporterebbe un disorientamento nella difesa
avversaria, alterando il regolare svolgimento del processo.
La semplice

emendati°,

invece, consegue alla sola modifica

della interpretazione o qualificazione giuridica del fatto
costitutivo del diritto (in tal modo incidendo sulla
petendi),

causa

oppure con l’ampiamento o la limitazione del petitum

al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo
soddisfacimento della pretesa fatta valere (Cass.20.7.2012 n.
12621; Cass. 27.7.2009 n. 17457; Cass. 28.3.2007 n. 7579).
Non è, infatti, precluso, al giudice l’esercizio del potere dovere di attribuire al rapporto controverso una qualificazione
giuridica diversa da quella data nel giudizio di primo grado
con riferimento alla individuazione della

causa petendi,

dovendosi riconoscere a tale giudice il potere-dovere di
definire l’esatta natura del rapporto dedotto in giudizio al
fine di precisarne il contenuto e gli effetti, in relazione
alle norme applicabili.

7

Unico limite è quello di non esorbitare dalle richieste
contenute nell’atto di impugnazione e di non introdurre nuovi
elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al suo
esame (fra le varie Cass. 29.9.2006 n. 21244).
E, sotto questo profilo, deve sottolinearsi che è compito del

applicabile, con l’unico limite rappresentato
dall’impossibilità di immutare l’effetto giuridico che la parte
ha inteso conseguire (Cass. 28.6.2010 n. 15383; v. anche Cass.
3.4.2009 n. 8142; Cass. 11.9.2007 n. 19090).
Nel caso in esame la ricorrente, che nel giudizio di primo
grado – come risulta dalla sentenza impugnata – si era limitata
a prospettare i fatti di causa, senza proporre alcuna
qualificazione giuridica ( il che peraltro sarebbe anche stato
irrilevante essendo riservata l’interpretazione della domanda
al giudice di merito, v. per tutte Cass. 24.7.2012 n. 12944)
con l’atto di appello avrebbe secondo la tesi della
ricorrente – per la prima volta sostenuto l’applicabilità alla
fattispecie dell’art. 2054 c.c., come richiamato dall’art. 47
1.

n. 50 del 1971, così mutando la

causa petendi

dell’originaria domanda.
L’infondatezza di una tale argomentazione è di solare evidenza
sol che si tenga presente che i fatti costitutivi della pretesa
ed il

petitum

erano gli stessi e che il contraddittorio in

primo grado aveva avuto modo di svolgersi attraverso

8

giudice (anche d’appello) individuare correttamente la legge

l’i truttoria probatoria che aveva toccato tutti i temi oggetto
delle difese delle parti.
La diversa qualificazione giuridica, fermi restando i fatti
costitutivi della pretesa e gli accertamenti probatori, è
quindi, pienamente legittima e non integra alcun mutamento

giudiziario.
Con il secondo motivo si denuncia

violazione di legge in

relazione agli artt. 414 cod. nav. e 46 L. 50/71; falsa
applicazione in relazione all’art. 2054 c.c. nonché agli artt.
47 L. 50/71 e D.Lgs. 171/2005.
Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono.
La ricorrente sostiene l’erroneità della decisione che ha
ritenuto applicabile nella specie l’art. 2054 c.c., anziché
l’art. 414 cod. nav..
La Corte di merito, infatti, ha stabilito che la responsabilità
del conducente di un’unità da diporto, per il danno riportato
da un trasportato a titolo di cortesia, va ricondotto
nell’ambito di applicazione dell’art. 2054 c.c., come
richiamato dagli artt. 46 e 47 l. n. 50 del 1971, e non – come
ritenuto dal primo giudice – in quello dell’art. 414 cod. nav.,
norma questa che prevede un’ipotesi di responsabilità
extracontrattuale per dolo o colpa grave a carico del soggetto
che trasporti persone o cose a titolo amichevole.

9

degli originari termini della questione sottoposta al vaglio

Le conclusioni,

cui giunge la Corte di merito sono

condivisibili, ma necessitano di un’integrazione dell’impianto
argomentativo.
La giurisprudenza della Corte di legittimità ha affrontato il
tema del risarcimento del danno a favore del terzo trasportato

circolazione stradale.
In primo luogo, è stata affermata la distinzione del trasporto
di cortesia

da quello

gratuito

per l’assoluta mancanza, nel

vettore, di un interesse, sia pure mediato ma giuridicamente
rilevante, ad eseguire la prestazione (v. per una puntuale
distinzione Cass. 5.7.1989 n. 3223; Cass. 5.3.1990 n. 1700).
Quanto al tema specifico, per molti decenni è stato consolidato
nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento diretto ad
escludere l’applicabilità della disposizione dell’art. 2054
c.c., ai terzi trasportati a titolo di cortesia, ai quali
risultava preclusa la possibilità, sia di invocare la colpa
presunta del conducente, sia di chiedere la condanna del
proprietario del veicolo in solido con il conducente (art.
2054, commi l e 3 c.c.).
L’esclusione era giustificata dall’assunto secondo cui il
trasportato poteva preventivamente valutare il rischio della
circolazione stradale, che conseguentemente accettava con
l’instaurazione del rapporto (contrattuale o di cortesia) del
trasporto.

10

a titolo di cortesia con riferimento alla materia della

Il

trasportato a titolo amichevole risultava sprovvisto sia

della tutela forte dell’art.

2054 c.c.,

sia di quella

accordata, in tema di trasporto, dall’art. 1681 c.c. potendo
soltanto proporre l’azione aquiliana dell’art. 2043 c.c., con
tutte le conseguenze di carattere sostanziale e processuale ad

La decisiva svolta sul tema si ebbe con Cass. 10 ottobre 1998,
n. 10629, la quale, per la prima volta, affermò che l’art. 2054
c.c., esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono,
principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti
che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi
anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di
cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito).
Il trasportato, quindi, indipendentemente dal titolo del
trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione
citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del
conducente ed il terzo comma per far valere quella solidale del
proprietario, che può liberarsi solo provando che la
circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà,
ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per
evitare il danno (v. fra le varie Cass. 11.6.2010 n. 14068;
Cass. 23.6.2009 n. 14644; Cass. 1.6.2006 n. 13130).
Il principio è ormai pacifico nella giurisprudenza di
legittimità.
L’estensione della disciplina dell’art. 2054 c.c. al terzo
trasportato e l’individuazione in essa di principi a carattere
11

essa connesse.

generale applicabili a tutti i soggetti che ricevano danni
dalla circolazione ha, poi, avuto riflessi sulla materia
dell’assicurazione obbligatoria.
Così si è giunti ad affermare – S.U. 16.3.2009 n. 6316 – che,
in tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità

modifica apportata dal d.l. 23 dicembre 1976, n. 857
(convertito nella legge 26 febbraio 1977, n. 39) al secondo
comma dell’art. l della legge 24 dicembre 1969, n. 990 ha
introdotto – in base ad un’interpretazione compatibile con le
direttive comunitarie in materia e che tenga conto
dell’evoluzione giurisprudenziale relativa all’art. 2054 c.c. la regola generale dell’estensione dell’assicurazione stessa ai
danni prodotti alle persone dei trasportati, già prima
dell’entrata in vigore dell’ulteriore modifica introdotta dalla
legge 19 febbraio 1992, n. 142.
Il problema che si pone, ora, all’esame della Corte di
legittimità riguarda l’applicabilità, al terzo trasportato a
bordo di un’unità da diporto, dell’art. 2054 c.c., richiamato
espressamente, dall’art. 47 L. n. 50 del 1971; con conseguente
riduzione del campo di operatività dell’art. 414 cod.nav..
A questo proposito, va detto che il tema della responsabilità
nell’utilizzazione delle unità da diporto è stato oggetto di
un susseguirsi di interventi normativi conclusi con il “codice
della nautica da diporto” (d. lgs. 18 luglio 2005, n. 171 che
rappresenta un riordino della legislazione sul diporto
12

civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la

nautico), nel quale è riprodotta una disciplina sostanzialmente
coincidente con quella introdotta dalla legge 11 febbraio 1971,
n. 50, sulla navigazione da diporto, modificata dalla 1. 6
marzo 1976, n. 51, dalla l. 26 aprile 1986, n. 193, dal d.l. 16
giugno 1994, n. 378, e dalla l. 8 luglio 2003, n.172.

civilistica relativa alla circolazione dei veicoli senza guida
di rotaie, di cui all’art. 2054 c.c..
Essa, introdotta dalla l. n. 50 del 1971 solo per le
imbarcazioni e i natanti da diporto, ed estesa alle navi da
diporto dalla 1. 8 luglio 2003, n. 172, è stata confermata
dall’art. 40, primo comma del codice della nautica da diporto,
il quale, al secondo comma, ha più puntualmente individuato il
soggetto avente la disponibilità del bene, responsabile in
solido con il conducente in luogo del proprietario, estendendo
tale responsabilità solidale al locatario.
Ed, in questo senso, è stato affermato in dottrina che la
navigazione da diporto rivela, rispetto all’ordinamento
generale (diritto comune), un livello di specialità inferiore
di quanto non sia per la navigazione propriamente detta o
navigazione mercantile, in ragione della minore intensità con
cui si presenta il fattore tecnico, posto alla base della
specialità e dell’autonomia del diritto della navigazione.
Ciò che si vuol dire è che la normativa sul diporto nautico e
la relativa disciplina evidenziano caratteri meno speciali

13

Tale disciplina è caratterizzata dal richiamo di quella

rispetto al diritto della navigazione, tali da avvicinarla – e
non da allontanarla – al diritto comune.
La conseguenza che se ne ricava è che alcune norme di diritto
comune, non applicabili con riferimento alla navigazione
mercantile, lo divengono in relazione alla navigazione da

Ed un esempio di quel che si è detto lo si può rinvenire nelle
norme che disciplinano la responsabilità extracontrattuale
derivante dalla circolazione delle unità da diporto.
In particolare, l’art. 40, primo comma del D.Lgs n. 171 del
2005 (codice della nautica da diporto) disciplina la
responsabilità extracontrattuale relativa alla circolazione di
tutte le unità da diporto (navi, imbarcazioni, natanti) come
segue ” La responsabilità civile verso i terzi derivante dalla
circolazione delle

unità

da

diporto, come definite

dall’articolo 3, é regolata dall’articolo 2054 del codice
civile e si applica la prescrizione stabilita dall’articolo
2947, comma 2, dello stesso codice”.
Il richiamo

tout court alla disposizione dell’art. 2054 c.c.,

che – come si è visto -, in materia di circolazione stradale, è
stata

oggetto

di

una

vasta

ed

evolutiva produzione

giurisprudenziale allora deve essere inteso nella sua
interezza.
Il che implica una uniformità di interpretazione della norma
nel settore della navigazione da diporto come nella materia
della circolazione stradale.
14

diporto.

Le ragioni che militano in questo senso si possono trarre
agevolmente dall’essere, la tutela del danneggiato, elemento
unificante delle relative discipline, essendo eguali, sia
l’esigenza di garantire il risarcimento al danneggiato, sia il
bene giuridico, di rilevanza costituzionale, da salvaguardare:

Non senza richiamare il principio per il quale – come già detto
– l’art. 2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo
compongono, principi di carattere generale, come tali
applicabili, ricorrendo la medesima

ratio,

a tutti i soggetti

che dalla circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche
ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto.
Non vi è, quindi, alcuna ragione per assegnare, nel diporto
nautico, all’art. 2054, primo comma c.c. un ambito applicativo
diverso da quello che gli è stato riconosciuto nella
circolazione stradale.
Pertanto, nel trasporto amichevole, effettuato con unità da
diporto, la responsabilità del conduttore (vettore amichevole o
di cortesia) è retta dall’art. 2054, primo comma, c.c..
Con la conseguente residualità della norma dell’art. 414 cod.
nav. sul trasporto amichevole, che resta riferibile alla sola
navigazione mercantile.
Da ultimo, come ulteriore avallo di quanto si è fin qui detto è
utile ricordare che l’art. 123 del Codice delle assicurazioni
4.

(D.Lgs 7.9.2005 n. 209), per le unità da diporto dotate di
motore, prevede che esse non possano essere poste in
15

quello cioè della tutela della salute e della integrità fisica.

navigazione

«se non siano coperte dall’assicurazione della

responsabilità civile verso terzi prevista dall’articolo 2054
del codice civile».
Anche tale norma richiama espressamente l’art. 2054 c.c. e va
letta unitamente all’art. 40 c. dip., prevedendo una copertura

del “conducente” e/o “proprietario” (ovvero dell’usufruttuario,
del locatario, in caso di leasing, o dell’acquirente con patto
di riservato dominio) per la navigazione in acque ad uso
pubblico (od equiparate).
Il C.A.P., poi, analogamente alla l. n. 990/1969, all’art. 129
dispone che non viene considerato terzo (e non ha diritto ai
benefici dell’assicurazione obbligatoria) il solo conducente
del veicolo responsabile del sinistro.
Anche sotto questo profilo, pertanto, l’analogia di situazioni
è stata resa evidente dal legislatore che ha equiparato prevedendo una normativa analoga – situazioni che rivestono il
medesimo interesse sociale, indipendentemente dal settore di
provenienza.
Il microsistema giuridico dell’assicurazione obbligatoria, in
questo caso, si è adeguato al il macrosistema della
responsabilità civile in generale.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
La novità e complessità delle questioni trattate giustifica la
compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

16

assicurativa obbligatoria per la responsabilità verso i terzi

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di
cassazione.
Così deciso in data 1 ottobre 2013 in Roma, nella camera di

consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione.

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