Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25898 del 15/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 15/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep.15/12/2016),  n. 25898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17375-2015 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANDREA

DORIA 16/C, presso lo studio dell’avvocato CONSOLATO MAFRICI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO CIUFFREDA; giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5670/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LANA RUBINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione: ” C.E. conveniva in giudizio F.E. dinanzi al Tribunale di Roma per sentir accertare la cessazione del contratto di comodato intercorso tra le parti in relazione all’appartamento sito in (OMISSIS), e sentir condannare la convenuta al rilascio del bene ed al risarcimento del danno per occupazione abusiva dell’immobile dal 2008.

Il Tribunale accoglieva la domanda di accertamento della cessazione del comodato, condannando la F. alla restituzione dell’appartamento, ma rigettava la domanda risarcitoria.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 5670/2014, depositata il 16.1.2015, qui impugnata, rigettava l’appello della F. ad anche l’appello incidentale della comodante volto ad ottenere la condanna della comodataria la risarcimento del danno, in mancanza della prova della sussistenza e della entità del danno subito per la ritardata restituzione del bene.

C.E. propone un solo motivo di ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza, con il quale denuncia la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1226, 2697, 2727 e 2729 c.c. laddove la corte d’appello ha ritenuto non provata, da parte sua, la sussistenza di un danno per la ritardata riconsegna dell’immobile, e per aver ritenuto non configurabile l’esistenza di un danno in re ipsa, per non aver potuto destinare l’immobile ai suoi impieghi naturalmente fruttiferi, procedendo ad una determinazione in via equitativa di esso. Faceva presente di aver proposto una determinazione del danno ancorata alla somma dei canoni mensili per ogni mese di occupazione abusiva, rimettendosi in via subordinata alla determinazione equitativa del giudice.

Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

La corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado laddove qualificava il contratto intercorso tra le parti come comodato a tempo indeterminato fondato su vincoli di solidarietà familiare, in quanto concesso a suo tempo dal padre della Lavale in favore della figlia, e poi proseguito tra la C., seconda moglie del F. divenuta proprietaria dell’immobile, e la F., contratto in cui il consenso al godimento gratuito dell’immobile era revocabile ad nutum dalla comodante, come era avvenuto nel 2008.

Ha escluso il diritto della odierna ricorrente al risarcimento del danno per la ritardata consegna dell’immobile, affermando:

– che non si tratti di un danno in re ipsa;

– che la ricorrente avrebbe dovuto allegare ed anche provare l’esistenza di un pregiudizio;

– che le ragioni di solidarietà familiare in virtù delle quali era stato originariamente costituito il rapporto di comodato inducevano ad un maggior rigore in ordine agli oneri di allegazione e prova di un effettivo pregiudizio;

– che la quantificazione equitativa del danno non prescinde ma anzi presuppone l’avvenuta soddisfazione degli oneri di allegazione e prova. Tali affermazioni appaiono in linea con i principi di diritto più volte enunciati da questa Corte in relazione alla facoltà del giudice di procedere alla valutazione equitativa del danno, in generale (v. da ultimo Cass. n. 127 del 2016; v. anche, tra le altre, Cass. n. 8615 del 2006:” Il potere discrezionale che l’art. 1226 cod. civ. conferisce al giudice del merito è rigorosamente subordinato al duplice presupposto che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che sia impossibile, o molto difficile, la dimostrazione del loro preciso ammontare, non già per surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza” e Cass. n. 3794 del 2008: “L’attore, che abbia proposto una domanda di condanna al risarcimento dei danni da accertare e liquidare nel medesimo giudizio, ha l’onere di fornire la prova certa e concreta del danno, così da consentirne la liquidazione, oltre che la prova del nesso causale tra il danno ed i comportamenti addebitati alla controparte; può, invero, farsi ricorso alla liquidazione in via equitativa, allorchè sussistano i presupposti di cui all’art. 1226 cod. civ., solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione”), ed agli oneri di allegazione e prova a carico dell’attore nelle domande volte al risarcimento del danno per ritardata riconsegna dell’immobile in un rapporto di godimento, con la precisazione che la prova può essere fornita anche a mezzo di presunzioni, ma che non si può prescinderne (v. Cass. n. 5051 del 2009 e Cass. n. 1372 del 2012).

Si propone pertanto la declaratoria di rigetto del ricorso”.

Non è stata depositata memoria.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione stessa, con le seguenti precisazioni:

esistono nella giurisprudenza della sezione alcune pronunce nelle quali si afferma che, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario sia in re ipsa, discendendo dalla perdita stessa della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso (Cass. n. 10498 del 2006, Cass. n. 3251 del 2008, Cass. n. 3223 del 2011, fino a Cass. n. 9137 del 2013).

Deve però ritenersi che la soluzione prescelta non si ponga in contrasto con tali affermazioni, in quanto il riferimento al danno in re ipsa va inteso in senso descrittivo, di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilità stessa di disporre del bene, e non fa comunque venir meno l’onere per l’attore in primo luogo quanto meno di allegare, ed anche di provare – con l’ausilio delle presunzioni – il fatto base da cui il pregiudizio discende ovvero il fatto che, ove il proprietario comodante avesse immediatamente recuperato la disponibilità della casa l’avrebbe effettivamente impiegata per una finalità produttiva, fosse essa il godimento diretto o la locazione.

Il ricorso proposto va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva. Infine, il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, pertanto deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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