Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25897 del 23/09/2021

Cassazione civile sez. lav., 23/09/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 23/09/2021), n.25897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22940/2015 proposto da:

V.S., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO SARCONE;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato difeso dagli avvocati GIUSEPPE

MATANO, CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE

ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1104/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 09/06/2015 R.G.N. 1886/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/03/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Bari ha accolto l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti dell’avv. V.S. avverso la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva rigettato l’opposizione al precetto notificato all’Inps dall’avv. V. per le spese successive rispetto a quelle di lite liquidate da una sentenza del Giudice del lavoro di Foggia, in favore della suddetta avvocata, e corrisposte dall’INPS prima della notifica del precetto unitamente ad una maggiorazione per le spese successive alla formazione del titolo;

la Corte ha rilevato che era stato provato dall’Istituto il pagamento delle spese di lite come liquidate nella sentenza del Tribunale ed una somma per le spese successive anteriormente alla notifica del precetto, sicché la procedente difettava di un titolo esecutivo azionabile per le spese successive, come correttamente affermato dall’INPS ed in applicazione del principio secondo cui il creditore che ha ottenuto il pagamento delle somme liquidate da una sentenza per spese processuali non può intimare, sulla base dello stesso titolo, precetto per spese processuali successive all’emissione della sentenza ma deve, per tali spese, esperire azione di cognizione in via ordinaria;

per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’avv. V.S., affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso l’INPS.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione delle norme sulla competenza ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla omessa pronuncia sulla eccezione di incompetenza per materia del giudice dell’esecuzione, trattandosi di materia (differenze spese legali) estranea a quella attribuita al giudice del lavoro;

con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 437 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata non aveva statuito sul primo motivo d’appello proposto dall’INPS, relativo alla circostanza che il giudice di primo grado aveva ritenuto di non esaminare il motivo dell’opposizione proposta dall’INPS basato sulla circostanza che non risultava acquisita agli atti la sentenza del giudice del lavoro consacrante la liquidazione delle spese di lite sulla quale era stata spiegata l’opposizione; sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata, decidendo nel merito, non si sia conformata ad alcune sentenza emesse dal Tribunale di Foggia in casi analoghi che avevano ritenuto di non poter trattare l’opposizione a precetto proposta dall’INPS non avendo lo stesso Istituto depositato la sentenza che conteneva la liquidazione delle spese ritenute insufficienti; in ogni caso, nel merito, la ricorrente deduce la violazione del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, perché tale disposizione avrebbe consentito l’autoliquidazione delle spese legali successive alla emanazione della sentenza;

il primo motivo è infondato; decidendo nel merito, Corte d’appello ha implicitamente ritenuto infondata l’eccezione di incompetenza e ciò correttamente in quanto la ripartizione delle funzioni tra le sezioni specializzate e le sezioni ordinarie del medesimo tribunale non implica l’insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all’interno dello stesso ufficio (di recente e per tutte: Cass. n. 21774 del 27/10/2016; Cass. n. 27195 del 2018);

né ciò determina la violazione dell’art. 25 Cost., comma 1 e quindi la nullità della sentenza resa in causa decisa da Sezione diversa da quella destinata alla cognizione della controversia, giacché detta norma, nel disporre che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, considera la competenza dell’organo giudiziario nel suo complesso, non esclude che nell’ambito di questo possano verificarsi variazioni nella concreta composizione dell’organo giudicante (Cass. n. 12969 del 13/07/2004; Cass. n. 10219 del 15/07/2002; Cass. n. 5755 del 03/11/1982); ed infatti il principio di cui all’art. 25 Cost., non impone una immutabilità assoluta dei regimi di competenza già maturatisi in relazione alla singola fattispecie, ma è volto a garantire che nessuna variazione abbia a determinarsi in ragione di provvedimenti particolari strettamente connessi, o comunque strumentalmente preordinati, alla singola controversia;

neppure la trattazione della controversia, da parte del giudice adito, con un rito diverso da quello previsto dalla legge determina alcuna nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall’erronea adozione del rito le sia derivata una lesione del diritto di difesa (v. ancora da ultimo Cass. n. 23682 del 10/10/2017);

il secondo motivo si presenta inammissibile per genericità e difetto di interesse là dove lamenta il mancato esame di un motivo d’appello che avrebbe proposto l’INPS e sul quale la sentenza non avrebbe pronunciato;

per gli ulteriori aspetti dal medesimo prospettati, lo stesso motivo è infondato:

correttamente, l’impugnata sentenza – partendo dal principio secondo cui il creditore munito di titolo esecutivo può intimare al debitore l’adempimento della prestazione risultante dal titolo e contestualmente può chiedere le spese del precetto (relative alle attività espletate dal difensore nella fase intermedia tra il giudizio di cognizione e quello di esecuzione) – ha ritenuto che l’importo corrisposto fosse interamente satisfattivo quanto al titolo esecutivo fatto valere;

il precetto era stato azionato quindi con riferimento ad un titolo privo ormai di efficacia esecutiva in quanto l’obbligazione derivante dal titolo era stata adempiuta (vedi Cass. n. 9807 del 13 maggio 2015, che, in fattispecie analoga a quella in esame in cui l’INPS aveva effettuato il pagamento prima della notifica del precetto ed in quella occasione la Corte rispondendo al quesito di diritto “dica la Corte se l’avvenuto pagamento integrale dei crediti risultanti dal titolo esecutivo effettuato successivamente alla notifica di esso, legittimi a richiedere sulla base dello stesso titolo il pagamento dei diritti endoprocessuali conseguenti all’attività professionale effettuata successivamente all’emissione del titolo, senza dover far ricorso ad un ulteriore giudizio di cognizione per l’aggiudicazione” ha chiarito che “… allorché il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel titolo esecutivo, comprensiva delle spese processuali ivi liquidate, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base dello stesso titolo, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo l’emissione di quest’ultimo e necessarie per la sua notificazione, dovendo, per tali spese, esperire l’azione di cognizione ordinaria…”);

per tali motivi, il ricorso va rigettato;

le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1700,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2021

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