Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25893 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25893

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24622/2018 proposto da:

J.I., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’Avvocato

Valentina Valeri, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giacomo

Cainarca giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI MILANO n. 3568/2018, depositato

il 16.7.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13.9.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

J.I. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione del decreto indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Milano aveva respinto il ricorso presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, di protezione umanitaria;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Gambia) narrando che il padre era stato incarcerato e che, recatosi con il fratello a trovarlo, il genitore gli aveva suggerito di lasciare il Paese “perchè conosceva la sua situazione in carcere”, motivo per il quale era fuggito raggiungendo dapprima la Libia e poi l’Italia;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo di ricorso si lamenta nullità del decreto impugnato per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10, 11, avendo il Tribunale di Milano omesso di rilevare la mancanza di videoregistrazione del colloquio del ricorrente nella fase amministrativa e di disporre nuova audizione del ricorrente;

1.2. le censure sono infondate;

1.3. come già chiarito da questa Corte (cfr. Cass. nn. 5973/2019, 3029/2019) nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale, al che consegue che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero;

1.4. il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, si limita, quindi, a prevedere che nel caso di mancata acquisizione della videoregistrazione dell’audizione in sede amministrativa, il giudice deve fissare, come in concreto è avvenuto, l’udienza, il che priva di fondamento le censure del richiedente;

2.1. con il secondo motivo di ricorso si lamenta “violazione dell’art. 10 Cost., comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, censurandosi il mancato riconoscimento della protezione cd. umanitaria;

2.2. con il terzo motivo di ricorso si lamenta “violazione dell’art. 14 del D.Lgs. n. 251 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, censurandosi il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;

2.3. le censure, malgrado il diverso oggetto delle doglianze rispettivamente poste, sono suscettibili di decisione unitaria perchè entrambi affette dalla medesima ragione di infondatezza;

2.4. occorre premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato il decreto reso il 26 giugno 2018), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

2.5. il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativa, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017), e non, invece, gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014);

2.6. occorre poi rilevare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”;

2.7. il mancato assolvimento, da parte del ricorrente, dell’onere da ultimo descritto, rende, di per sè, inammissibili i profili di doglianza riflettenti asserivi vizi motivazionali del decreto impugnato;

2.8. è opportuno comunque evidenziare, anche con riferimento alle prospettate violazioni di legge, che il provvedimento oggi impugnato ha compiutamente esaminato la situazione fattuale, operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente (Gambia), indicando le fonti del proprio convincimento, e ha correttamente ricostruito i presupposti per la invocata protezione sussidiaria (escludendone la sussistenza nel caso concreto), sicchè i motivi in esame sono, nel loro complesso, insuscettibili di accoglimento, posto che le argomentazioni utilizzate dal ricorrente si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale o di violazione di legge, una diversa valutazione di quelle stesse risultanze istruttorie: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017);

2.9. inammissibile infine, è anche la doglianza che critica il decreto impugnato per aver disatteso la richiesta di positivo accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria sul presupposto, in primo luogo, della mancata allegazione di fatti diversi da quelli posti in generale a fondamento delle altre forme di protezione;

2.10. a causa della riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari la situazione interna del paese di provenienza ovvero l’allegato percorso di integrazione sociale non sono, infatti, decisive fonti ricognitive dei diritto, in ragione delle quali possa essere accordata la misura richiesta;

3. il ricorso va in conclusione rigettato;

4. nulla sulle spese stante la mancata costituzione del Ministero.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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