Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25892 del 14/10/2019

Cassazione civile sez. I, 14/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 14/10/2019), n.25892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23995/2018 proposto da:

I.B.N., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato

MARIO LOTTI giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI MILANO n. 3346/2018, depositato

l’11.7.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13.9.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

I.B.N. propone ricorso, affidato a sei motivi, per la cassazione del decreto indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Milano aveva respinto il ricorso presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, di protezione umanitaria;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Nigeria, regione dell’Edo State) dovuti al suo vissuto personale, narrando di essere fuggito dal proprio paese dopo che era stato aggredito con il compagno da alcune persone avevano fatto irruzione di notte nella casa ove convivevano, e che mentre il compagno era stato ucciso, egli era riuscito a fuggire, motivo per il quale, dopo essere stato denunciato alla Polizia e temendo di essere arrestato, aveva deciso di lasciare il Paese raggiungendo l’Italia;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 8, lett. d) e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata in quanto, pur avendo ritenuto attendibili le dichiarazioni del richiedente circa il proprio orientamento sessuale, aveva poi respinto la domanda ritenendo non credibile il ricorrente circa gli atti persecutori che assumeva posti in essere nei suoi confronti a causa dell’omosessualità;

1.2. con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 1, lett. a), della Convenzione di Ginevra del 1951, come modificata dal Protocollo di New York ratificato con L. n. 95 del 1970 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,14 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver respinto la domanda del richiedente sul solo presupposto della mancata credibilità del suo racconto nonostante nel Paese di provenienza l’omosessualità sia punita come reato dal codice penale;

1.3. con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed omessa valutazione della situazione generale presente nel paese di origine del richiedente e della sussistenza del rischio del danno grave della forma della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di riconoscere la protezione sussidiaria, pur in presenza di una minaccia grave e individuale alla vita e alla persona del richiedente derivante dal suo orientamento sessuale;

1.4. le censure, da esaminare congiuntamente, sono fondate;

1.5. va premesso che il Tribunale ha ritenuto attendibile quanto dichiarato dal richiedente circa il proprio orientamento sessuale, respingendo tuttavia la richiesta di tutela sul presupposto della genericità e lacunosità del racconto, ritenendo inverosimile la relazione con il compagno e la frequentazione di altri uomini, conosciuti in luoghi pubblici, “nonostante il clima omofobo e la persecuzione legale dell’omosessualità in Nigeria”;

1.6. va evidenziato che la nozione di “rifugiato”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), quale “cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese” ricomprende, grazie al riferimento al “determinato gruppo sociale”, anche i timori di persecuzione collegati all’orientamento sessuale;

1.7. inoltre il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, vieta l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione anche per motivi di orientamento sessuale e questa Corte ha al proposito affermato che per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza che può anche essere attuata sul plano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione; tale situazione si concretizza allorchè le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del loro paese e a esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, sì che ben si può ritenere che ciò costituisca una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini che compromette grandemente la loro libertà personale;

1.8. tale violazione si riflette, automaticamente, sulla condizione individuale delle persone omosessuali, ponendole in una situazione oggettiva di persecuzione tale da giustificare la concessione della protezione (cfr. Cass. n. 15981/2012);

1.9. risulta quindi erronea l’affermazione compiuta dal Tribunale, sia perchè non è necessaria la consumazione di atti persecutori, ma è sufficiente il timore, ragionevolmente fondato, del richiedente di esservi esposto, sia perchè assumono rilievo anche gli atti persecutori basati su una discriminazione sessualmente orientata, atteso che proprio l’esistenza di una legislazione contraria alla libera e piena esplicazione dei diritti fondamentali della persona nel Paese di origine del richiedente la protezione espone quest’ultimo non soltanto al rischio, ma alla certezza di subire, a causa del suo orientamento sessuale, un trattamento umanamente degradante, in ogni caso non paritetico e comunque non in linea con gli standard internazionali in tema di diritti umani (cfr. Cass. n. 13448/2019 in motiv.);

1.10. non può trascurarsi, peraltro, che il Tribunale ritiene “non credibile” il racconto e finisce con il giudicare quanto narrato dall’appellante non verosimile e credibile, e che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-02; Sez. 6-1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571-01);

1.11. nella fattispecie, tuttavia, il Tribunale ha attribuito dirimente rilievo, al fine del giudizio di credibilità, all’indifferenza del richiedente alle conseguenze sociali e penali della scoperta di siffatte condotte e questa Corte ha avuto modo, al riguardo, di affermare che in tema di protezione internazionale del cittadino straniero, la dichiarazione del richiedente di avere intrattenuto una relazione omosessuale, ove la valutazione circa la credibilità del dichiarante, secondo i parametri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, si sia fondata esclusivamente sull’omessa conoscenza delle conseguenze penali del comportamento, impone al giudice del merito la verifica, anche officiosa, delle conseguenze che la scoperta di una tale relazione determina secondo la legislazione del Paese di provenienza dello straniero, perchè qualora un ordinamento giuridico punisca l’omosessualità come un reato, questo costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo (cfr. Cass. n. 26969/2018);

1.12. nella specie il Tribunale ritrae il giudizio di non credibilità del richiedente anche dal semplice fatto dell’esistenza nel Paese di provenienza di una legislazione penale repressiva delle condotte omosessuali, con assoluta incoerenza e discontinuità logica fra premessa e conclusione, quasi che l’esistenza di un divieto penale, fra l’altro recante intollerabile ingerenza nella sfera personale degli individui, assicurasse l’impossibilità di una sua violazione;

2. l’accoglimento delle suddette censure determina l’assorbimento dei rimanenti motivi con cui si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. a), della Convenzione di Ginevra del 1951, come modificata dal Protocollo di New York ratificato con L. n. 95 del 1970, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,14 e 17 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di considerare la situazione di violenza indiscriminata e di gravi violazioni dei diritti umani sussistente in Libia, paese di transito in cui il richiedente aveva soggiornato per due anni prima di raggiungere l’Italia, nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed omessa valutazione della situazione generale presente nel paese di origine del richiedente e della sussistenza del rischio del danno grave della forma della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di riconoscere la protezione sussidiaria, pur in presenza di una minaccia grave e individuale alla vita e alla persona del richiedente derivante dalla violenza indiscriminata per conflitto interno nel Paese di provenienza, senza assumere informazioni precise e aggiornate sul contesto di provenienza, ed il mancato riconoscimento della protezione internazionale umanitaria;

3. il decreto impugnato deve quindi essere cassato in relazione al primo, secondo e quarto motivo (assorbiti i rimanenti motivi), con rinvio al Tribunale di Milano in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, secondo e quarto motivo di ricorso, assorbiti i rimanenti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Milano in diversa composizione.

Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 2.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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