Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25891 del 15/12/2016

Cassazione civile, sez. II, 15/12/2016, (ud. 29/09/2016, dep.15/12/2016),  n. 25891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28205/2012 proposto da:

D.E.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA FLAMINIA 357, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DI SIMONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROSA MAURO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI MONTERENZIO, (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. PAOLICCI DE’ CALBOLI 60, presso lo

studio dell’avvocato STEFANO MARZANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA SALOMONI, in virtù di procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

A.C., R.A., B.E.;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

25/05/2012; (RGVG. 1405/11);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

D.E.L. accettò con beneficio di inventario l’eredità del padre D.E.R., deceduto a (OMISSIS) senza lasciare testamento ed a seguito di rinunzia all’eredità da parte degli altri eredi legittimi.

Dopo la redazione dell’inventario, essa trasmise ai creditori l’invito a formulare le rispettive dichiarazioni di credito, facendosi successivamente autorizzare dal Tribunale di Bologna alle alienazioni necessarie per la liquidazione delle attività; tale ultimo incombente si rivelò particolarmente difficoltoso, poichè nell’asse ereditario erano compresi cespiti immobiliari gravati da ipoteche ed il cui valore appariva difficilmente stimabile.

Nel contesto della procedura, la Banca di Credito Cooperativo di Monterenzio, affermatasi creditore del de cuius, chiese al tribunale la fissazione di un termine per la liquidazione delle attività; con ordinanza del 22.9.2009 il Tribunale di Bologna assegnò un termine di dodici mesi per la liquidazione e di tre mesi per la formazione dello stato di graduazione, termini successivamente prorogati – su istanza dell’erede ed in ragione delle richiamate difficoltà – sino al 30.4.2011, per la liquidazione delle attività ereditarie, e sino al 30.5.2011 per la formazione dello stato di graduazione.

Avverso tale provvedimento ha proposto reclamo la D.E., insistendo per la revoca o modifica dello stesso in considerazione delle enormi difficoltà di definizione della procedura, instando per la concessione di un termine non inferiore a tre anni.

Anche la Banca di Credito Cooperativo di Monterenzio proponeva reclamo, chiedendo il rigetto dell’istanza di proroga e la declaratoria di decadenza dell’erede dal beneficio di inventario.

Il reclamo della D.E. era rigettato con ordinanza collegiale del Tribunale di Bologna del 25/5/2012, osservandosi che a seguito di istanze di diversi creditori erano stati assegnati all’erede due diversi termini, laddove la legge impone che il termine sia unico.

Ne scaturiva altresì che la proroga del secondo termine era stata richiesta dalla ricorrente, allorchè il primo termine era già scaduto, sicchè non poteva essere ulteriormente prorogato.

Quanto al reclamo della banca, osservava che la richiesta di decadenza andava proposta con autonoma azione giudiziaria, non potendo trovare spazio in quella sede.

Avverso tale decreto D.E.L. ha proposto ricorso straordinario per cassazione affidato ad un solo motivo, lamentando la violazione degli artt. 112 e 739 c.p.c., in quanto era stata ravvisata l’illegittimità della proroga perchè richiesta dopo la scadenza del primo termine a suo tempo concesso, laddove nessuno aveva mai contestato la legittimità del secondo termine, relativamente al quale la richiesta di proroga era anteriore.

La società intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

La ricorrente invoca una precedente statuizione delle Sezioni Unite (sent. n. 1521/2005) che ha consentito la proposizione di ricorso straordinari() per cassazione ex art. 111 Cost., avverso il provvedimento con il quale il tribunale, pronunciando in sede di reclamo ex art. 749 c.p.c., ha disposto la revoca della proroga del termine assegnato ex art. 500 c.c., all’erede accettante con beneficio di inventario per liquidare le attività ereditarie e formare lo stato di graduazione.

Il richiamo non è tuttavia pertinente; la fattispecie presa in esame dalle Sezioni Unite riguarda infatti un provvedimento idoneo ad incidere su posizioni sostanziali di diritto soggettivo dell’erede, in contrapposizione ai creditori del defunto, e proprio sul presupposto che il diritto pregiudicato scaturisca dal provvedimento di proroga, di cui si contesta l’illegittimità della successiva revoca. In particolare si trattava di un provvedimento successivamente adottato dal Tribunale con il quale era stato revocato un provvedimento di proroga a suo tempo già accordato all’erede beneficiato, e che aveva fatto quindi sorgere il diritto del beneficiato a compiere le ulteriori attività nel termine a tal fine concesso.

Tutt’affatto diversa è la presente fattispecie, nella quale si discute in merito alla stessa concessione della proroga; provvedimento, questo, sempre modificabile o revocabile e, come tale, privo dei requisiti fissati dalla giurisprudenza per ammettere il ricorso straordinario per cassazione.

stato infatti affermato che “in tema di assegnazione di termine all’erede per liquidare le attività ereditarie, il decreto con il quale il tribunale rigetta l’istanza di proroga del termine per completare la procedura di liquidazione non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 Cost., in quanto, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, esso chiude un procedimento di tipo non contenzioso privo di un vero e proprio contraddittorio e non statuisce in via decisoria e definitiva su dette posizioni, stante la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell’art. 742 c.p.c.. Ciò anche nell’ipotesi in cui si tratti di richiesta di proroga di termine in precedenza assegnato a seguito di istanza dei creditori” (v. Cass. n. 20132/2014; Cass. n. 2721/2010).

Il Collegio intende dare continuità al proprio orientamento ed a tanto consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei confronti della controricorrente.

Nulla a disporre nei confronti delle altre parti intimate.

L’apparente contrasto esistente nella giurisprudenza della Corte sul tema esclude la possibilità di poter ravvisare la responsabilità ex art. 96 c.p.c., comma 3, della ricorrente.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al rimborso della spese di lite in favore della contro ricorrente che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% sui compensi per spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2016

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